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RITORNO ALLA PESCA TRADIZIONALE NEL MEDITERRANEO PER EVITARE L’ESTINZIONE DEL TONNO ROSSO

di Omar el Arabi  (AG.RF  06.11.2013)

(riverflash) – Il tonno rosso, o pinne blu, è un grande pesce conosciuto nel Mediterraneo già dai tempi più antichi per le sue proprietà nutritive. Dopo aver attraversato l’Atlantico, i tonni adulti entrano nel Mediterraneo tra aprile e agosto per riprodursi, seguendo sempre una rotta scritta da millenni nel loro dna. A causa della pesante richiesta di tonno rosso da parte dei mercati asiatici e l’introduzione di nuove tecnologie nella pesca, questa specie viene considerata oggi a rischio estinzione e l’Unione Europea sta suddividendo le quote tra i paesi interessati, in particolare Spagna, Francia e Italia. Dalle quote sfuggono però i pescherecci non europei, in acque internazionali, che continuano ad abusare di questo limitato dono del mare. A causa del superamento della soglia di oltre l’80% del consentito, lo scorso anno l’UE ha bloccato anticipatamente la pesca. Le quote, volte alla preservazione di questa specie a rischio, non tengono oggi conto dell’impatto economico sulle comunità di pescatori locali, a vantaggio dei pescherecci che giungono nel mare di mezzo da altre sponde.

La pesca industriale, su cui puntano gli incentivi nel settore, non va verso il modello di sostenibilità economica ed ambientale che potrebbe garantire la pesca tradizionale, con la sua selettività rispetto agli strumenti utilizzati per la pesca, la tutela di chi lavora nel settore e il coinvolgimento diretto delle comunità costiere, evitando di usare reti a strascico, che causano gravi danni al fondale e ad altre specie marine non commerciabili. Migliaia di esemplari di tonno rosso vengono ogni anno individuati dai grandi pescherecci e ingabbiati per raggirare le quote, in una sorta di “allevamento mobile”. La rivista americana “Science” ha calcolato che, continuando con la pesca incondizionata, il tonno rosso scomparirà dai nostri mari entro quarant’anni, con gravi danni all’ecosistema e con la definitiva scomparsa della pesca tradizionali del tonno e di un ricco mercato rubato e devastato da una spietata concorrenza sleale. Per centinaia di anni l’uomo si è nutrito di questi pesci e i pescatori del Mediterraneo hanno potuto mantenere il controllo su questa merce prelibata. Oltre alla necessaria diminuzione della pesca del tonno, solo una presa di coscienza politica a livello mediterraneo e l’incentivo della pesca tradizionale possono salvare questa specie e il valore del suo mercato. In Italia, nelle Aree marine protette (AMP), vi è una parte destinata alla conservazione, mentre una porzione più grande rimane destinata ad attività umane, pesca inclusa, regolamentate in un’ottica di sostenibilità ecologica. Le AMP rappresentano oggi uno scenario interessante per sperimentare nuovi approcci alla pesca tradizionale, inserendo elementi innovativi e sensibilizzando i pescatori.

 

Carloforte e Portoscuso: pesca tradizionale e crescita sostenibile

La pesca del tonno in Sardegna venne praticata fin dai tempi dei Fenici agli albori del IX secolo a.C. che da abili navigatori ed esperti pescatori, individuarono alcuni branchi di tonni al largo delle coste sarde e siciliane che nei mesi di maggio e giugno percorrevano una rotta che li conduceva verso sud. Proprio ad essi si debbono le prime mattanze nella Sardegna occidentale.

I Romani, i Pisani e i Genovesi, nei periodi in cui operarono in terra sarda, continuarono la pesca del tonno iniziata allora dai Fenici.

Nel 1478 quando gli spagnoli presero possesso della Sardegna, l’Isola vide sorgere numerose tonnare calate esclusivamente lungo le coste del versante occidentale.

Oggi in Italia esistono solo quattro tonnare fisse: quelle sicule di Bonagia e Favignana e quelle sarde di Carloforte e Portoscuso. Tentativi di riaprire antiche tonnare sono stati abbandonati perché poco remunerativi.

Recentemente, grazie ad iniziative cittadine, le società “Carloforte Tonnare Piam” e “Su Pranu” di Portoscuso, hanno dato vita alla “Ligure Sarda Spa – Consociazione Consortile delle Tonnare Sarde di Carloforte e Portoscuso”. Da alcune stagioni la pesca di queste due tonnare è ritornata ad essere fruttuosa ed in ambedue continuano ad operare tonnarotti, dando lavoro stagionale a molti giovani del Sulcis Iglesiente.

Oltre al recupero storico-culturale delle tonnare, l’attenzione è data al rispetto delle quote previste annualmente dall’Unione Europea per la salvaguardia dei tonni e all’utilizzo di tecniche tradizionali: la tonnara fissa è un grande parallelepipedo formato da reti, cavi, ancore e galleggianti. All’intera struttura subacquea, “Isola”, viene collegata una rete chiamata “Coda” che si estende perpendicolarmente dall’Isola fino alla costa. Il tonno, una volta entrato in tonnara, attraverso il meccanismo delle porte, viene spinto verso la “Camera della morte”, l’unica camera che ha la rete anche sul fondo. Una volta che i tonni si trovano dentro la “Camera della morte” si è pronti per l’antico rituale della mattanza. Se nel ‘700 venivano pescati attorno ai 40mila tonni l’anno, oggi le tonnare in Sardegna hanno dei limiti inferiori a 4mila. I tonni da ingrasso vengono invece ingabbiati portati a Malta per la vendita.

 

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Fonte: http://www.medmagazine.net

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