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“WHIPLASH”: la recensione

whiplash

di Valter Chiappa

(AG.R.F. 17/04/2015) (riverflash)

Può la tecnica da sola essere arte? È la domanda che più immediatamente scaturisce dalla visione di questo film.

“Whiplash” è un’opera di ottima fattura; lo confermano, e non ce n’era bisogno, i 3 Oscar conquistati nella ultima edizione del premio (attore non protagonista, montaggio e sonoro). Premi ampiamente meritati. La regia di Damien Chazelle imponeva un ritmo serrato ed asfissiante: il montaggio di Tom Cross e il sound mixing di Craig Mann, Ben Wilkins e Thomas Curley la assecondano alla perfezione, tagliando rapidamente dal buio delle sale di prova allo sfavillio degli ottoni, dallo squillare dei fiati al silenzio sospensivo che acuisce il pathos del dramma.

La più facile ammirazione è riservata ovviamente alla performance di J.K. Simmons, nel ruolo del crudele docente che instaura una lotta senza esclusione di colpi col suo allievo più talentuoso e problematico. Nel suo pugno che si chiude fulmineo a far cessare il suono della musica e che pare voglia stringere il cuore e l’anima dei suoi allievi è la somma della sua recitazione, più che nel gelato cinismo o nella rabbia violenta che rovescia sulla sua classe.

Terminato l’excursus dei meriti tecnici del crew, rimane poco da dire.

“Whiplash” (“colpo di frusta”, guarda caso) è un brano dall’inusuale tempo dispari (un 7/4), che ne rende particolarmente difficile l’esecuzione; questo pezzo, insieme al classico “Caravan” di Duke Ellington, è il campo dove si svolge la battaglia fra Terence Fletcher, insegnante di Conservatorio che raccoglie nella sua band solo gli allievi più dotati e Andrew Neiman, precoce talento dal carattere scontroso e dal vissuto familiare poco limpido. Andrew non si cura di piacere al prossimo, di avere amici, nemmeno una fidanzata: vive rinchiuso con la sua batteria e il sogno di diventare il nuovo Buddy Rich. Fletcher lo metterà alla prova sino allo stremo, fisico e mentale; ma Andrew non subirà passivamente.

In sintesi “Whiplash” è l’ennesima riedizione del rapporto tra vittima e carnefice, declinato nella versione forse più rappresentata sugli schermi: la lotta fra allievo e maestro.

Però non tragga in inganno il raffinato ambito musicale: i personaggi interpretati da Miles Teller e J.K. Simmons non sono parenti della fragile ballerina e del cinico istruttore di “Il cigno nero”. Di ben altro spessore e complessità poi, i legami che avviluppano i protagonisti di “Shine”.

Il richiamo più diretto è ai campi di addestramento militare, anche se nemmeno nel “Palla di lardo” di “Full metal jacket” cercheremo l’antenato del nostro giovane musicista. Il paragone più appropriato per lui e per il suo dispotico maestro è con Zack Mayo e il sergente Foley: sì, proprio quelli di “Ufficiale e gentiluomo”! Sarà forse un caso se anche Lou Gosset jr., il protagonista di quella vecchia pellicola, fu, come J.K. Simmons, premiato con l’Oscar?

Potrà forse sembrare una provocazione, se definiamo “Whiplash” un “Ufficiale e gentiluomo” in salsa jazz. Ma quando il professor Fletcher impone, su un double swing, un ritmo percussivo di 400 colpi al minuto, quando le mani di Andrew sanguinano sul rullante, il pensiero, più che a David Helfgott e ai suoi esercizi ossessivi su Rachmaninov, va alle flessioni che Foley infligge a Mayo; quando il rapporto fra i due diventa un duello, come non ricordare l’analoga, liberatoria tenzone in cui Richard Gere e Lou Gosset jr. si affrontano a mani nude?

Forse anche superflue le critiche degli addetti ai lavori che hanno osservato come suonare, e suonare jazz, non sia, o meglio non sia solo, un esercizio ginnico estremo. Questo è solo un aspetto di una sceneggiatura per diversi aspetti insufficiente, povera nell’approfondimento dei personaggi, superficiale nell’analisi delle dinamiche, mai accattivante, solo serrata, solo veloce, solo asfissiante. Ma la velocità non è arte, nella musica come nel cinema. Né si può pensare di far arte supplendo al cuore con la tecnica.

È quanto osserviamo a chi osanna “Whiplash”, gridando al capolavoro. Ed è quanto ci diciamo per rispondere alla domanda da cui siamo partiti. Certo, lo sapevamo già. “Whiplash” ce lo ha confermato ancora una volta.

Voto 6+

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