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UN CONCERTO PER NON FARE DIMENTICARE L’AGONIA DELLO STADIO FLAMINIO

di Stefano Celestri (AG.RF 09.11.2014) ore 10:22

(riverflash) – Uno stadio che ha fatto la storia del calcio italiano ridotto a un rottame in completo abbandono. Parliamo dello stadio Flaminio, che nel 1934 fu teatro della finale Mondiale tra Italia e Cecoslovacchia. Allora si chiamava stadio Nazionale del PNF, ma il campo è lo stesso, contenente la mattonella da cui Raimondo “Mumo” Orsi segnò il pareggio permettendo agli azzurri di vincere il torneo mondiale con un gol di Schiavio nei supplementari. Nel 1958 lo stadio assunse il nome di Flaminio e nel 1960 ospitò il calcio alle Olimpiadi di Roma. Una struttura solida in cemento armato, ma lo strutturalismo dell’ingegner Pierluigi Nervi fu la sua condanna, perché il progetto del figlio, l’architetto Antonio Nervi, l’ha reso un impianto troppo piccolo per il grande calcio e il grande rugby, ma troppo grande per il calcio di Lega Pro, che una volta si chiamava Serie C. Uno stadio con meno di 20.000 posti, dai 38.000 originali ridotti per motivi di sicurezza, non serve alla Roma e alla Lazio, così come non serve al 6 Nazioni di Rugby, che occupa i 70.000 posti dell’Olimpico in prevendita. Se anziché innamorarsi dell’abilità strutturale del padre ingegnere, Antonio Nervi avesse pensato con lungimiranza all’utilizzo dell’impianto, avrebbe fatto tribune e curve quasi verticali sul campo, tipo San Siro o il Bernabeu, per ospitare almeno 60.000 spettatori. Invece la capienza ridotta, con le curve spanciate tipo Barcaccia, ne ha fatto il campo casalingo prima della Tevere Roma e poi della Lodigiani, che portavano un migliaio di persone, a parte eventi come la finale del 2011 tra Juve Stabia e Atletico Roma (ultima derivazione della Lodigiani) per un posto in Serie B. Vinsero i campani, l’Atletico Roma si sciolse e per il Flaminio è iniziato il periodo più oscuro. Anche il rugby lo aveva rifiutato, dopo averlo eletta sua casa nel 2.000, con l’ingresso dell’Italia nel 6 Nazioni. Solo 24.000 posti usando strutture metalliche per ampliare le curve maldestramente progettate da Antonio Nervi erano scarsi. Gli eredi Nervi mettevano i bastoni tra le ruote e scavando furono trovati a lato i ruderi di una villa romana, probabilmente gli stessi visibili sotto al pavimento di vetro dell’Auditorium Parco della Musica, sorto dove erano i parcheggi degradati dello stadio Flaminio. Chi trova reperti archeologici recinta l’area, ci mette destro un’escavatrice e una gru arrugginite per passare al comune a incassare l’impiego di mezzi. Così recintato il prato tra viale Pilsudski e la tribuna secondaria non è utile nemmeno a chi ci scioglieva il cane. Da tre anni il Coni cerca di restituirlo all’Amministrazione capitolina che non lo prende in carica. Così, senza gestore, sono andate in malora le altre attività ospitate nella pancia dello stadio Flaminio: una piscina di 25 metri x 10, le palestre per pugilato, scherma, ginnastica e atletica pesante. Un totale abbandono che aspetta solo di essere invaso dai numerosi senzatetto, che avvenne all’ippodromo Parioli.

Oggi, per sensibilizzare i romani sul problema, si terrà una manifestazione «Diamo un calcio alla disoccupazione, riapriamo lo stadio Flaminio», perché sono i disoccupati a offrirsi di mantenere la struttura a costo molto basso, considerando che il Comune spende 200.000 euro l’anno per utenze di luce e acqua che nessuno utilizza. Dalle 14 si alterneranno sul palco, posto in piazzale Ankara alle spalle della Curva Sud, diversi artisti, tra cui Radici nel Cemento, Villa Ada Posse, Er Piotta e Il Muro del Canto. Del resto il vecchio stadio ha ospitato in passato concerti rock prestigiosi come quelli dei Duran Duran, di Prince, di David Bowie e degli Spandau Ballet.

Temiamo, tuttavia, che ciò non basterà a salvare lo stadio. Un’area edificabile ai piedi dei Monti Parioli fa gola ai palazzinari romani, che hanno pagato per cenare accanto al nuovo Messia Matteo Renzi. Quando i palazzinari pagano, vuol dire che hanno la certezza di riprendere almeno il triplo.

Il cemento armato di qualità, come ha voluto l’ingegner Pierluigi Nervi, prima o poi cederà senza manutenzione e ristrutturarlo costerà di più che abbatterlo e ricostruirlo. Ma la Roma e la Lazio vogliono costruire in periferia i loro stadi per guadagnarci edificando nuove urbanizzazioni. Per il rugby, il Golden Gala di Atletica Leggera e la finale di Coppa Italia di calcio c’è il vicino stadio Olimpico. La domanda è: perché costruire un altro stadio? La risposta: luogo adatto per case di lusso, nel verde e a due passi dal centro.

Allora, visto che al suo interno si è scritta la storia dello sport italiano, sarebbe il caso di accompagnare lo stadio Flaminio dolcemente alla fine. Un museo che racconti quella zona, comprendendo le caserme da demolire a via Guido Reni, il già demolito ippodromo di Villa Glori e La Rondinella, il campo storico della SS Lazio. Una morte dignitosa, con eventi di prestigio chiamando artisti e musicisti da tutto il mondo. Così com’è oggi, ridotto a una discarica circondata da nomadi e senza tetto, lo stadio Flaminio ha perso la propria dignità.

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foto di Alessandro Verga

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