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TERREMOTO: VECCHI SCIACALLI E SOLITE BUGIE

Terremoto-Amatrice

di Valter Chiappa

(AG.R.F. 27/08/2016)

(riverflash) Un nuovo, terribile terremoto. Centinaia di morti, paesi distrutti. Ora, mentre sfuma il momento della partecipazione emotiva, incominciano i dibattiti. La domanda che giunge da ogni voce è una: perché non si è fatta prevenzione? Perché il nostro patrimonio edilizio non è stato adeguato, nonostante la frequenza con cui i terremoti si susseguono in tutta Italia? Mille soloni dalla TV, dalla radio, dai giornali pontificano, citando norme, descrivendo tecniche, mettendo in ballo cifre, facendo programmi. Ma è proprio dopo ascoltato costoro, che abbiamo ritenuto urgente fare chiarezza su alcuni punti.

Il sonno normativo

È bene saperlo: l’antisismica ha una storia antichissima. Le prime norme risalgono addirittura ai Borboni e danno indicazioni in linea di principio valide ancora oggi (il cosiddetto “telaio alla beneventana”). Ma in Italia per legiferare si è sono dovuti attendere sempre eventi catastrofici.

Il primo provvedimento nazionale è il Regio Decreto n°193 del 1909, dopo il catastrofico terremoto di Reggio e Messina. Ma bisogna attendere addirittura il 1974 e la Legge n°64 per entrare definitivamente nella cogenza della normativa antisismica. Da allora, e sono 40 anni, gli edifici rientranti nelle zone a rischio devono essere progettati e costruiti in previsione del terremoto. La Normativa del 2008, universalmente citata, ha semplicemente raccolto gli standard europei. Ma già nel 2003 (13 anni fa), al domani dei tragici eventi di San Giuliano, un’Ordinanza emanata direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ridefiniva la classificazione sismica (ovvero il grado di sismicità attendibile del territorio) e soprattutto sanciva l’obbligo di adeguamento sismico per i cosiddetti “edifici strategici”, ovvero quelli che devono restare in piedi ed operativi anche dopo un terremoto: ospedali, caserme, scuole, municipi etc. E che invece continuano puntualmente a crollare.

Ma se c’è tanta storia dietro, se le Normative esistono e danno obblighi espliciti, perché continuiamo a registrare anno dopo anno cronache di drammi attesi e per cui non si è fatto nulla? Dobbiamo allora capire cosa vuol dire adeguare sismicamente un edificio.

L’adeguamento sismico, questo sconosciuto

Partiamo da un presupposto chiaro: l’adeguamento sismico è estremamente oneroso ed invasivo. Perché per operare sulle strutture portanti occorre metterle a nudo: può essere necessario rimuovere intonaco, impianti, infissi, pavimenti, controsoffitti, tutto ciò che usualmente occulta le parti strutturali. Perché in generale non è sufficiente il rinforzo di alcuni elementi, ma si deve ripensare l’organismo nel suo complesso. Perché l’intervento deve essere spinto capillarmente fino ai minimi dettagli: ogni singolo nodo fra una trave e un pilastro in cemento armato può essere l’innesco di un crollo, una trave in legno appoggiata precariamente sui muri può, in seguito all’oscillazione, sfilarsi e venire giù. E così via. Perché il pericolo può arrivare dalle fondazioni: il terreno sottostante può, in determinate condizioni, amplificare la scossa o “liquefarsi”, ovvero perdere completamente la sua consistenza e scorrere via come acqua. Perché l’adeguamento riguarda anche le parti non strutturali: si può morire per un comignolo che ti cade in testa, per una tamponatura (la muratura con cui si chiudono le maglie della struttura) espulsa e ribaltata, per un tramezzo che si schianta, addirittura (è il caso degli edifici industriali colpiti dal sisma dell’Emilia) per il cedimento di grosse scaffalature o semplicemente per il rovesciamento del loro contenuto. Tutto deve essere concepito come antisismico. E nella complessità di questi interventi, per quanto eseguiti con la massima cura, non si può escludere che qualcosa sfugga, non visto.

Non date retta a chi dice che basterebbe poco, che è facile, che è poco costoso: non è vero, non è assolutamente vero.

Non date retta a chi evoca le nuove tecnologie come strumenti miracolosi capaci di risolvere in quattro e quattr’otto il problema, citando paroline magiche come isolatori sismici, controventi dissipativi, fibre di carbonio. C’è business anche in questo: avvolgete i vostri pilastri con una bella rete in carbonio e dimenticatevi del terremoto, dice il produttore. Non è vero: lo fai e la scuola viene giù lo stesso. Questi sono indubbiamente strumenti meravigliosi, ma non una panacea; solo armi più potenti in mano ai progettisti, che sono comunque chiamati a comprendere perfettamente il comportamento complessivo del fabbricato. Sennò l’edificio crolla.

Ed allora: ci vogliono competenze elevatissime, ditte estremamente qualificate ed un mare di soldi. Se si vuole fare un adeguamento serio. Sennò si possono mettere dei rattoppi, ma le conseguenze sono sotto i nostri occhi. Lungi dal voler esprimere un giudizio che potrà essere formulato solo dopo accurate perizie, ma i 700 milioni circa utilizzati per la ristrutturazione della scuola di Amatrice, parte dei quali spesi per opere non strutturali (infissi, impianti etc.), appaiono onestamente pochi per un edificio di quelle dimensioni e di quell’importanza.

Non basta: ci vuole tanto tempo a disposizione. Sia ben chiaro. Quando si vuole adeguare un Ospedale, una Scuola, un Municipio, una Prefettura si deve mettere in conto di chiuderli per un anno, trovando, se possibile, collocazioni provvisorie. Ci si riesce?

Come prevenire

Vero quanto sopra, ne discendono una serie di conclusioni immediate.

Per quanto riguarda gli edifici pubblici non è sufficiente stanziare ingentissime risorse; è necessaria una oculata e lungimirante pianificazione a monte. Si devono pensare strategie operative che non abbiano come obiettivo il semplice consolidamento di un certo numero di fabbricati, ma un ripensamento complessivo dei centri abitati e dell’intero territorio.

È nostro convinto parere che costruire ex novo costi meno, sia più rapido e dia risultati più affidabili. Ed allora si deve pensare sin d’ora a localizzare le aree per i nuovi edifici strategici, ove quelli esistenti non offrano sufficienti garanzie: si spenderà di meno e l’attività nel transitorio sarà garantita.

La dismissione del vecchio è un concetto difficile da digerire. Ma dove la sicurezza deve essere garantita non si può esitare: basta col continuo salasso per le casse dell’Erario per mettere rappezzi a fabbricati che sono malati cronici. Via con il nuovo e poi si mettano in moto le ruspe.

Altro fronte è quello dei Beni Culturali. È vero sono tanti, tantissimi; ma sono la nostra ricchezza, non solo economica. Vanno protetti, punto. Una preghiera: affidateli a specialisti; al tecnico amico fategli  progettare una bella piazza o una rete fognaria efficiente; ma la torre medievale, la chiesetta romanica, il palazzo gentilizio adeguateli davvero.

Rivolgiamoci invece all’edilizia privata. Si può chiedere alla vecchina del paesino marchigiano o abruzzese di uscire di casa e spendere un patrimonio per consolidare la sua abitazione di sassi? O immaginate che belle riunioni di condominio, se si dovesse affrontare la spesa e il disagio per la messa a norma della palazzina in cui abitiamo, sapendo che, qualora pure riusciamo a mettere mano al portafogli, ci tocca provvisoriamente trasferirci dalla suocera.

Ed allora lo si dica forte e chiaro: se si vuole, come si deve, perseguire l’adeguamento sismico del nostro patrimonio edilizio, esso non può essere messo a carico dei cittadini, ma deve essere incentivato o meglio ancora sostenuto dallo Stato, con un programma di rinnovo ad ampio raggio. Il terremoto può colpire non solo i borghi pittoreschi che devono ovviamente essere tutelati, ma anche anonimi fabbricati eredità di qualche condono, grigi quartieri figli di vecchie speculazioni, obsoleti capannoni tirati su alla bell’e meglio. Non si comprende allora l’opposizione alle tante vituperate “new town”. Accumoli, Arquata, la meravigliosa Amatrice andranno ricostruite com’erano e dov’erano, magari con le stesse pietre. Ma altrove, dove non c’è pregio artistico o storico, il cittadino Mario Rossi deve poter accedere alla possibilità di avere una casa che non crolli sulla testa dei suoi figli, senza che questa richiesta gravi sulle sue spalle. Perché se oggi ha una casa insicura, spesso, molto spesso, non è colpa sua.

Vecchi sciacalli e solite bugie

Di fronte ad una nuova tragedia si allunga puntuale l’ombra degli sciacalli. No, non i ladri di polli che si aggirano fra le macerie. Ma quelli in giacca e cravatta che, come vampiri, hanno sentito l’odore del sangue. Non si sono sentite le risate telefoniche di tristissima memoria, ma la loro eco è giunta ugualmente. Un noto conduttore di talk show, il più noto, nella sua trasmissione ha sottolineato, con l’usuale ghigno sardonico, quale opportunità sia, per l’economia nazionale, un nuovo sisma. Non ha messo aggettivi accanto alla parola “economia”, ma noi sappiamo quali si adatterebbero bene. Il Direttore di una delle più importanti testate giornalistiche, in cerca di sensazionalismo a buon mercato da perseguire con qualche j’accuse, ha affermato durante un GR1 che l’adeguamento sismico si può realizzare con poche centinaia di euro. Disgustoso.

I rappresentanti delle categorie professionali si sono subito mostrati pronti a vendere la loro merce, sciorinando concetti raffazzonati di cui è evidente che hanno solo un’infarinatura. I geologi dicono che è tutta colpa della sottovalutazione della problematiche geotecniche e auspicano l’obbligatorietà di nuove indagini. Eseguite da loro, ovviamente. Gli ingegneri rivendicano le competenze professionali, ma non dicono che ad oggi una struttura antisismica può essere progettata anche da un ingegnere informatico o da un ingegnere junior con la laurea breve acquisita presso un’Università telematica. Vabbè, non tutti sono bravi, ma devono lavorare tutti. Peccato che non paghi Pantalone, ma noi.

Vecchie favole riproposte per l’ennesima volta: ancora l’effetto suolo, ancora i soliti tetti in cemento armato (sanno che i solai rigidi sono suggeriti dalla Normativa?). Vogliamo smontare solo una di queste, perchè ricorrente come un mantra: il fantasma insopprimibile del Fascicolo del fabbricato.

Questo documento dovrebbe fotografare lo stato di salute di un edificio. Peccato che per farlo come si deve (ovvero onestamente) siano necessarie le stesse indagini necessarie a redigere un progetto. Senza però redigerlo. Un’analisi storica che spesso è estremamente complessa perché non suffragata da documenti, saggi sui terreni e sui materiali, prove in situ ed in laboratorio, rilievi strutturali anch’essi onerosi perché, si sa, travi e pilastri sono usualmente nascosti e ancor più lo sono i ferri che ci sono dentro. Insomma si vuole imporre che la vostra casa venga sforacchiata, che il vostro stipendio venga prosciugato per pagare la parcella del tecnico per sentirvi dire cosa? Che la vostra palazzina degli anni ’50 o che la casetta al paesino di nonna Adelina non sono antisismici. Lo sapevate, lo sappiamo già. Vi siete fatti le analisi, ma non vi hanno dato cura. Oppure: imponendovi una tassa occulta vi hanno solo spillato soldi.

Non serve nessun fascicolo, non è colpa di un tetto più o meno pesante. Le case di Amatrice, di Accumoli, di Arquata sono crollate perchè nessuno ha fatto niente prima, preferendo magari fare dopo, quando l’emergenza e l’odore del sangue dei morti stendono un velo opaco ed impenetrabile su ogni possibile manipolazione. Sono crollate perchè non c’è competenza e, se c’è, non conta niente. Le voci dell’avidità e della disonestà sono molto più forti.

 

 

 

 

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