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TANTI AUGURI “GATTOPARDO”!

 

(riverflash) – Ebbene sì, il capolavoro di Luchino Visconti compie 50 anni!

Una di quelle meraviglie, di quelle perle, rare, del cinema destinate ad essere eterne, oggi 27 marzo 2013, festeggerà con 50 candeline la sua nascita.

Era il 27 marzo 1963 quando al cinema Barberini di Roma, davanti ad un parterre di publico di alta qualità, stile ed eleganza, veniva proiettato per la prima volta la pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, aggiudicandosi la Palma d’oro come miglior film al 16° Festival di Cannes. E ancora oggi il “Gattopardo” viene considerato uno dei migliori film della storia del cinema per raffinatezza e presenza scenica degli interpreti, composto da un cast d’eccezione.

Il Gattopardo è un romanzo scritto da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, scritto frà il 1954 ed il 1957, dapprima rifiutato da Arnoldo Mondatori ed Einaudi, fù pubblicato postumo nel 1958 un anno dopo la morte dell’ autore, da Feltrinelli con la prefazione di Giorgio Bassani. Nel 1959 ricevette il “Premio Strega” divenendo il primo Best-Seller italiano con oltre 100.000 copie vendute!

L’autore trasse ispirazione da vicende della sua antica famiglia e in particolare dalla vita del suo bisnonno, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, vissuto negli anni cruciali del Risorgimento e noto anche per le sue ricerche astronomiche e per l’osservatorio astronomico da lui realizzato. Per il tema trattato è spesso considerato un Romanzo Storico, benché non ne soddisfi tutti i canoni.

Il titolo del romanzo ha l’origine nello stemma di famiglia dei Tomasi ed è così commentato nel romanzo stesso: «Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalli, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra.»

Nel film di Luchino Visconti, la figura del protagonista si ispira a quella del bisnonno dell’autore del libro, il Principe Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, che fu un importante astronomo e che nella finzione letteraria diventa il Principe Fabrizio Salina, e della sua famiglia tra il 1860 e il 1910, in Sicilia (a Palermo e nel feudo agrigentino di Donnafugata ossia Palma di Montechiaro e Santa Margherita di Belice in provincia di Agrigento).

Al centro della trama troviamo appunto le vicende della famiglia aristocratica, ormai in decadenza che non accetta l’evoluzione e i cambiamenti che l’avanzare del tempo porta inevitabilmente con sé, lasciando il posto al nuovo che bussa alle porte.

Burt Lancaster veste i panni del Principe Don Fabrizio Salin, spietata immagine della bigottagine della nobile classe una classe, sbigottita di fronte all’ascesa di una borghesia sempre più ricca e spregiudicatamente potente.

Ancora oggi il Gattopardo viene considerato uno dei migliori film della storia del cinema per raffinatezza e presenza scenica degli interpreti, composto da un cast d’eccezione. Tantissimi gli attori che, sapientemente e meravigliosamente, guidati dal regista, ebbero o confermarono l’ascesa verso il successo.

Ricordiamo:  Burt Lancaster: Principe Don Fabrizio Salina; Claudia Cardinale: Angelica Sedara/Donna Bastiana; Alain Delon: Tancredi Falconeri; Paolo Stoppa: Don Calogero Sedara; Rina Morelli: Principessa Maria Stella Salina; Romolo Valli: Padre Pirrone; Terence Hill: Conte Cavriaghi; Pierre Clémenti: Francesco Paolo; Lucilla Morlacchi: Concetta; Giuliano Gemma: Generale di Garibaldi; Ida Galli: Carolina; Ottavia Piccolo: Caterina; Carlo Valenzano: Paolo; Brook Fuller: Principe; Anna Maria Bottini: Mademoiselle Dombreuil, Governante; Lola Braccini: Donna Margherita; Marino Masé: Tutore; Howard Nelson Rubien: Don Diego.

E poi ancora; Tina LattanziErnesto AlmiranteMarcella RovenaRina De Liguoro: Principessa di Presicce; Valerio RuggeriGiovanni Melisenda: Don Onofrio Rotolo; Vittorio DuseVanni MaterassiOlimpia Cavalli: Mariannina; Winni RivaStelvio RosiIvo Garrani: Colonnello Pallavicino; Leslie French: Cavaliere Chevally; Serge Reggiani: Don Francisco Ciccio Tumeo; Lou CastelMaurizio MerliMichela Roc (comparsa non accreditata).

Uno sforzo economico e fisico degni di un Kolossal, un grande impegno fu posto nella ricostruzione degli scontri tra garibaldini ed esercito borbonico. A Palermo nei vari set prescelti (piazza San Giovanni Decollato, piazza della Vittoria allo Spasimo, piazza Sant’Euno), l’asfalto fu ricoperto di terra battuta, le saracinesche sostituite da persiane e tende, pali e fili della luce eliminati. Tutto questo per iniziativa di Visconti, poiché il produttore Lombardo si era raccomandato che non vi fossero scene di combattimento.

Anche per le scene girate nella residenza estiva dei Salina, Castello di Donnafugata, che nel romanzo sostituiva Palma di Montechiaro, si scelse un sito alternativo, Ciminna. Visconti s’infatuò per la Chiesa Madre e il paesaggio circostante. L’edificio a tre navate presentava uno splendido pavimento in maiolica. L’abside decorata con stucchi rappresentanti apostoli e angeli di Scipione Li Volsi (1622) era inoltre provvista di scranni lignei del 1619 intagliati con motivi grotteschi, particolarmente adatti ad accogliere i principi nella scena del Te Deum. Il soffitto originale della chiesa, in parte danneggiato durante le riprese è stato poi rimosso e oggi non è più in sito. Inoltre la situazione topografica della piazzetta di Ciminna sembrava ottimale, mancava solo il palazzo del principe. Ma in 45 giorni la facciata disegnata da Marvuglia fu innalzata davanti agli edifici a fianco della chiesa. L’intera pavimentazione della piazza fu rifatta eliminando l’asfalto e rimpiazzandolo con ciottoli e lastre. Gran parte delle riprese ambientate all’interno della residenza furono girate a Palazzo Chigi di Ariccia.

Ottimo era invece lo stato di manutenzione di Palazzo Gangi, a Palermo, in cui fu ambientato il ballo finale, la cui coreografia venne affidata ad Alberto Testa. In questo caso, il problema da affrontare era l’arredamento degli ampi spazi interni. Contribuirono generosamente all’opera gli Hercolani e lo stesso Gioacchino Lanza Tomasi con mobili, arazzi, suppellettili. Alcuni quadri (la stessa Morte del giusto) e altre opere artigianali furono commissionate dalla produzione. Il risultato finale valse uno scontato “Nastro d’Argento alla migliore scenografia“.

Un altro “Nastro d’Argento” andò alla Fotografia a colori di Giuseppe Rotunno (che lo aveva vinto anche l’anno precedente con Cronaca familiare). Degna di note, in particolare, l’illuminazione dei locali cui, per volontà del regista che voleva ridurre al minimo l’uso delle luci elettriche, contribuivano migliaia di candele che dovevano essere riaccese all’inizio di ogni sessione di riprese. La preparazione del set, la necessità di vestire centinaia di comparse richiesero per queste scene turni estenuanti.

In pochi sanno che la pellicola era più lunga di circa 12 minuti rispetto all’edizione ufficiale. Le scene dimenticate sono riemerse grazie all’Operazione Gattopardo e tra queste ricordiamo quelle in cui Don Fabrizio ha degli incubi, con un flashback beveva champagne con una cocotte parigina e Tancredi, interpretato da Alain Delon che esortava don Calogero a usare i militari contro i contadini. Quest’ultima in modo particolare è stata oggetto di censura in quanto rivelava troppo chiaramente l’approccio ideologico di Visconti.

I costumi approntati (oltre agli otto per gli attori principali) furono 393: gli abiti femminili erano tutti diversi tra di loro e per almeno cento di questi si prevedevano cappotti e sorties varie

Facciamo quindi gli auguri, noi appassionati del “bel cinema”, per questo mezzo secolo volato come un soffio di vento.

Si un soffio di vento perchè frasi come:  “Cambiare tutto perché niente cambi” ; “L’amore? Già, certo, l’amore… Fuoco e fiamme per un anno, e cenere per trenta”; “Noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene. E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra” oppure  “Io penso spesso alla morte. Vedi, l’idea non mi spaventa, certo voi giovani queste cose non le potete capire, perché per voi la morte non esiste, è qualcosa ad uso degli altri”, sono vive e vegete ancora oggi, ben radicate ancora nei nostri pensieri e modi di agire.

lobo-(AG-RF) 26.03.2013

 

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