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SOLE ALTO – La recensione

 SOLE-ALTO-poster-800x1136di Valter Chiappa

(AG.R.F. 17/05/2016)

(riverflash) L’odio e l’amore. Come possano coesistere e combattersi, sfidandosi in tenacia; come l’uno limiti l’altro e come questo sfugga alle stringenti catene del primo. Questo il tema portante; ma, come tutti i grandi film, “Sole alto” é anche altro: il racconto di un’epoca apparentemente breve nella durata assoluta, vent’anni, ma densa di sconvolgimenti; di una storia, quella della guerra nei Balcani, che l’Occidente non ha voluto vedere e che oggi sembra non voler ricordare; una storia che il regista Dalibor Matanic ha vissuto sulla sua pelle e che sembra voler diventare lo sfondo necessario di ogni possibile racconto. 1991, 2001, 2011: l’inizio di tre decenni, di tre pagine completamente diverse: la nascita dell’odio che condusse a una guerra sanguinosa ed inspiegabile, la devastazione che ne è conseguita, il nuovo paese che rinasce sulle macerie del primo. Tre fondali per tre storie che in realtà sono una sola.

1991. La Jugoslavia è ancora un paese rurale. Due ragazzi, Jelena e Ivan, sono fidanzati e sognano di andare a vivere in città. Ma la serenità viene bruscamente interrotta dallo sferragliare dei carri armati; al suono della musica si sostituisce il crepitio delle armi. Lei è serba, lui croato. L’odio irrompe a dividere gli amanti gioiosi, la morte assurda, incomprensibile, è uno sparo nel silenzio. La felicità è rotta per sempre.

2001. La Jugoslavia è un deserto di case diroccate. Una madre e una figlia non vogliono restare in città e decidono di tornare nel fantasma del paese natale. Vogliono ristrutturare la loro vecchia casa, vogliono ritornare a vivere. Le aiuta Ante, un giovane carpentiere silenzioso e infaticabile. Ma loro sono serbe e lui è croato. E Natasa, la figlia, chiusa in un rancore senza redenzione, non ne accetta la presenza. Ma i due si osservano e il richiamo dell’eros si farà sentire irresistibile. Il rapporto carnale fra i due sarà breve, silenzioso, violento, come la guerra appena conclusa. È ancora presto per le parole, è ancora presto per l’amore.

2011. La Jugoslavia non esiste più: A cancellare definitivamente il passato arriva il richiamo delle sirene dei modelli occidentali. Due ragazzi ritornano al paese natio, dove si svolgerà un rave. C’è voglia di divertirsi, ma di un divertimento che è evasione, fuga che si concretizza nello stordimento della musica e delle droghe. Luka, uno dei due ragazzi, non ha chiuso i conti con il passato: c’è una donna lì, Marija, che lui ha abbandonato per andare a studiare in città; c’è una donna lì, la madre di suo figlio. Luka torna per farsi perdonare. Ma lei è serba e lui è croato. Il dialogo è difficile, quasi impossibile: l’odio, ora sedimentato, è tenace come una roccia. Ma Luka ha deciso: è lì che deve tornare, è lì la sua casa e, incrollabile, attenderà sulla porta.

“Sole alto”, premiato al Cannes Film Festival 2015 nella sezione “Un certain regard”, è un film pressoché perfetto. A partire dalla regia che cesella ogni inquadratura, che dosa ogni movimento di macchina.

Ma soprattutto si avvale di una struttura narrativa meravigliosa. Tre periodi, tre coppie diverse, ma sempre gli stessi attori, i bravissimi Tihana Lazovic e Goran Markovic. Perché gli uomini sono sempre gli stessi. Odio ed amore albergano in loro, pronti a cedere o a prendere il sopravvento; la colpa della storia è quella di alimentare il primo e farlo prevalere.

Leitmotiv ricorrenti, intrisi di potente simbolismo: il lago, Eden incancellabile, pronto ad accogliere nelle sue acque per un bagno purificatore; il sole, perennemente alto, la fonte di luce che non può essere oscurata. È la Natura, intesa come la Terra Madre, ad offrire ciò che è costantemente, immutevolmente buono; il rifugio sicuro dove i personaggi, rifiutata la città, fanno ritorno; è la zolla fertile dove piantare i semi delle nuove piante, i semi della rinascita.

Infine, da depositare nella memoria, momenti di narrazione poetici e potentissimi, come la sfida pacifica del giovane musicista che oppone il suono della sua tromba al rumore aspro dei mitragliatori.

O la struggente scena finale. Non c’è trionfo dell’amore in “Sole alto”: è predestinato a convivere con l’odio, a dover lottare contro di esso per far breccia nella sua dura corazza. Ma se, trovata la via di casa, tenace saprà perseverare nell’attesa, al mattino, quando il sole torna alto nel cielo, inevitabilmente per lui una porta si aprirà.

Voto: 8.5

 

 

 

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