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SI FA PRESTO A DIRE ISLAM: IL DIBATTITO SUL FONDAMENTALISMO DOPO LA STRAGE DI PARIGI

Digital StillCameradi Andrea Pranovi (AG.RF. 08.02.2015) (ore 18,57) (riverflash) – Sono negli occhi di tutti le immagini diffuse dall’Isis delle decapitazioni degli ostaggi occidentali e della terribile morte del pilota giordano Muas Kasassbeah, bruciato vivo. L’efferatezza e la ferocia dei terroristi corrono sul web: in un mondo globalizzato anche il terrorismo, attraverso le nuove tecnologie, assume dimensioni internazionali.

Se i crimini compiuti nei territori conquistati dai miliziani dello Stato Islamico provocano orrore e paura, l’allarme cresce quando ad essere colpita è una capitale europea. Anche a Roma, infatti, sono state rafforzate le misure di sicurezza dopo l’attentato alla sede di Charlie Hebdo a Parigi dello scorso 7 gennaio. Ad alimentare il clima di preoccupazione sono anche le minacce che in più di un’occasione sono state rivolte a Roma. In un messaggio audio diffuso a settembre, il portavoce dell’Isis Abu Muhammed Al Adnani affermava: “vi promettiamo che sarà l’ultima vostra crociata. Non ci invaderete questa volta, ma vi invaderemo noi. E con la volontà di Dio, conquisteremo Roma, distruggeremo le vostre croci, ci impadroniremo delle vostre donne”. In un video dell’Isis circolato nel mese scorso tra le immagini che scorrono ad accompagnamento delle minacce ci sono quelle del Vaticano, dei Fori Imperiali e del Colosseo.

Pochi giorni dopo la strage di Parigi alcuni organi d’informazione italiani hanno riportato la notizia secondo la quale sarebbero in corso indagini su alcune persone di nazionalità straniera residenti in Italia (alcune a Roma) che avrebbero dei collegamenti con i fondamentalisti. L’attentato avvenuto nella capitale francese è stato biasimato senza mezzi termini da Abdellah Redouane, segretario generale del Centro islamico culturale d’Italia: “come comunità islamica abbiamo espresso indignazione e abbiamo fermamente condannato questo attacco terroristico”. “Ogni atto di violenza è condannabile di per sé”, ha commentato l’imam di Roma Hassn Zeinah.

Come già avvenuto dopo l’attacco alle Torri Gemelle di New York e gli attentati di Madrid e Londra, la strage di Parigi ha di nuovo riaperto il dibattito sull’islam e sulla sua deriva fondamentalista anche nel nostro paese, dove, secondo una stima del Dossier Statistico Immigrazione 2011 di Caritas e Fondazione Migrantes, un milione e 505mila degli stranieri residenti sono musulmani. Si tratta però di un dibattito confuso, ricco di stereotipi e pregiudizi, spesso oggetto di strumentalizzazioni politiche e a volte influenzato dalle rappresentazioni distorte prodotte dai media.

Nel libro La politica del sacro. Laicità, religioni, fondamentalismi nel mondo globalizzato (Guerini, 2004), Roberto Gritti, professore associato presso la Sapienza – Università di Roma, prova a fare chiarezza sui diversi livelli di appartenenza religiosa della popolazione musulmana. Proprio per quanto riguarda il termine “musulmano“, va specificato che tutti coloro che appartengono ad una determinata società “vengono definiti in base a una matrice religiosa intesa come identificazione culturale. Così – genericamente – gli italiani o i polacchi sono cattolici, gli inglesi anglicani, gli statunitensi cristiani, gli egizi o i libici musulmani e via dicendo”. Un musulmano, quindi, non è necessariamente islamico, così come un italiano non è necessariamente cattolico. Gli islamici sono i credenti, “coloro che si definiscono tali e praticano sia pure con intensità diverse, la religione”.

Musulmano non è sinonimo di islamico e islamico non è sinonimo di fondamentalista. Gritti spiega come “fondamentalismo è diventato un termine chiave che ricorre frequentemente nei discorsi di politici, esperti, media e dell’opinione pubblica” e che è un concetto “troppo dilatato, che tende a identificare fenomeni tra loro diversi e distanti”. Una distinzione necessaria è quella che esiste tra i gruppi fondamentalisti che hanno il solo obiettivo di tornare ai fondamenti della religione, convinti che la modernità abbia in qualche modo allontanato l’uomo dai principi divini, e quelli che invece sostengono che un ritorno alla vera fede richieda che anche la società, la politica e gli stati siano modellati sui fondamenti religiosi. Da un lato, quindi, ci sono i “puritani”, ossia coloro che “scelgono di praticare devotamente la propria religione”; dall’altro, invece, si trovano gli “estremisti” e i “terroristi”, i quali “usano la fede, la devozione e l’identità religiosa per fini meramente politici”.

Un’altra parola il cui significato è spesso travisato, secondo il docente della Sapienza, è “jihad” (usata al maschile, differentemente da come siamo abituati): “la parola araba jihad deriva dalla radice jhd- che indica solitamente lo sforzo interiore dell’uomo”; “normalmente questo concetto è inserito nel Corano nell’espressione jihad fi sbil Allah che si può tradurre come ‘sforzo sul cammino di Dio'”. Gritti sostiene che “il jihad – così come è inteso dalla stragrande maggioranza dei musulmani – non ha nulla a che vedere con la sua degenerazione lessicale, ideologica e politica, lo jihadismo”.

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