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PARTISAN – Proteggi le persone che ami

 

partisan_poster (3)di Sabrina Sciabica (AG. RF. 26.08.2015)

(riverflash) – Cosa succederebbe se un bambino venisse portato in un ambiente chiuso in cui può cantare e giocare con altri bimbi ma senza aver mai contatti con l’esterno, e se gli venisse insegnato che il resto del mondo è nemico, è aggressivo, e rappresenta qualcosa da cui difendersi?

Esce nelle sale italiane Partisan, opera prima del regista australiano Ariel Kleiman, con uno straordinario ed espressivo Vincent Cassel.

ll plot racconta le vicende di un gruppo di donne disagiate e dei loro bambini che vengono raccolti da un enigmatico personaggio (Gregori/Vincent Cassel) e dell’assurdo e crudele modo in cui l’insolita comunità vive e sopravvive.

Ma la pellicola è qualcosa in più rispetto alle storie di infanzia negata già narrate; rappresenta, infatti, una sorta di studio sull’educazione, sui difficili equilibri familiari, su ciò che i genitori proiettano sui figli, oltre che un’analisi sulla violenza – fisica e psicologica – e sulle conseguenze alle quali può portare.

L’ispirazione – dice il regista – è arrivata leggendo un articolo sui Sicarios colombiani, ragazzi addestrati alla violenza “per professione”, per costrizione o perché è l’unica realtà che conoscono. In Partisan  non c’è nessun riferimento a periodi storici o luoghi precisi poiché si vuole semplicemente narrare una favola nera, una vicenda tragica, estrema ma allo stesso tempo realistica.

Con pochi dettagli sui personaggi e sulle loro storie, i numerosi primi piani rendono molto più delle parole. Ottimo il cast, i bambini sono attori eccezionali e i paesaggi aridi (molte scene sono state girate nella Georgia, ex Repubblica Sovietica e ancora oggi terra di povertà e desolazione) aumentano la sensazione di angoscia, così  come gli spazi chiusi e i numerosi cunicoli creano un profondo senso di claustrofobia.

Per presentare il film, il regista trentenne cita il grande maestro Luis Buñuel che affermò “non riesco ad immaginare un’immagine più surreale di un uomo che spara ad un altro uomo” e termina la storia sottolineando che la violenza porta soltanto ad altra violenza, lasciando allo spettatore molti interrogativi su cui riflettere.

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