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“Mia madre” di Nanni Moretti: tra sdoppiamenti e ambiguità

mia-madre-margherita buydi Marino Demata (RiveGauche) AG.RF 29.04.2015 – ore 17:27

(riverflash) – “Mia madre” rappresenta sicuramente ad un tempo l’opera più nuova e matura di Nanni Moretti, con la quale il regista opera una sorta di rivoluzione Copernicana rispetto a tutti i suoi film precedenti. Finora la carriera artistica di Nanni Moretti è stata caratterizzata, proprio in senso tolemaico, dallo stare al centro dell’universo, dal raccontare storie che avevano come protagonista il suo “io”. Tutto questo è iniziato nel 1977 con “Sono un autarchico” e poi col successivo “Ecce bombo”, allorché Moretti cominciò a farsi interprete del disaggio giovanile di una generazione uscita malconcia dalle esperienze del ’68. Quell’esperienza cinematografica Moretti la ha portata avanti senza rimpianti e disperazioni. Al contrario ha fatto della generazione post-sessantottina il prototipo di una tipologia disillusa, e però capace anche di scherzare sui propri limiti e le proprie sconfitte, trovando utili e importanti surrogati al tramonto delle utopie e delle lotte. Con queste premesse Moretti ha creato una serie di film e di personaggi (alcuni come Apicella che non a caso resta lo stesso, con lo stesso nome in molti suoi film) emblematici di uno stato d’animo di chi vuole sorridere delle proprie situazioni ed aggrapparsi a speranze e sogni soprattutto capaci di smuovere lo smorto scenario politico in preda a convulse trasformazioni che non si sa dove porteranno.

mia  madre 3Ricordiamo con molta chiarezza che a un certo punto Moretti ha creato una cesura, ha interrotto la serie dei film con i quali scherzava con se stesso e con il suo personaggio ed ha detto “basta con la nutella” e con la tipologia di film che lo avevano tenuto impegnato fino a quel momento: Sogni d’oro, Bianca, La messa è finita, ecc. Bisogna, egli disse, dire qualcosa di più serio. E’ necessario un impatto deciso con la realtà, che va denunziata direttamente e senza giri di parole. Lui voleva dare un serio contributo, attraverso il cinema, alla lotta al berlusconismo. Erano gli anni de “Il caimano”, vero e proprio efficace manifesto di rilettura della nascita di un impero e di tagliente denuncia.
L’impressione è che con “Mia madre” siamo arrivati ad un altro tornante del percorso registico di Nanni Moretti, non meno importante e decisivo di quello precedente, caratterizzato dallo sfumarsi dei toni della polemica politica, da un accentuato autobiografismo, da accenni di intimismo.
I temi sono due, entrambi di carattere autobiografico: la lenta fine della propria madre, che Giovanni, il personaggio di Moretti, accompagna alla morte senza disperazione, ma con serenità, con la consapevolezza di quello che occorre fare, e in secondo luogo la riflessione sul lavoro del regista (e dell’attore). Pertanto con queste due tematiche, che si intrecciano tra loro creando interferenze reciproche, il film si colloca su due percorsi narrativi diversi, su due tipologie di sequenze assai dissimili tra loro, pur , come si è detto, in costante interferenza . Per portare avanti questa operazione Moretti opera un piccolo miracolo, che rende questo film veramente nuovo ed originale. Per la prima vota si sdoppia. Affida il ruolo di regista ad a Margherita Buy, che, sorella

 

di Giovanni, è fedele interprete delle Mia madre 5modalità, dello stile registico, delle nevrosi di Moretti dietro la macchina da presa. Forse con qualche esagerazione caricaturale. Ma lo sdoppiamento è completo: è Nanni Moretti che racconta il suo essere regista nei panni di un’altra persona, di una donna. E lo sdoppiamento si prolunga col personaggio dell’attore, un grandissimo John Turturro, che, in modo spesso sarcastico, spesso comico, dispensa importanti ed essenziali riflessioni sul ruolo appunto dell’attore. Questa dislocazione sdoppiata di Moretti attraverso i suoi alter ego crea un senso di ambiguità positiva. Quella ambiguità felice che è propria del miglior cinema. Moretti per la prima volta si colloca “al lato”, in una parte che non è da mattatore, ma che è parte secondaria, ma al contempo fondamentale e decisiva per l’equilibrio dell’intero film. La rivoluzione Copernicana è comlpletata: l’io morettiano non è più come la Terra tolemaica al centro dell’Universo. Ma è uno dei tanti pianeti tutti di pari digità. Ed ecco dunque che egli si mette un po’ al lato, un po’ da parte, con grande discrezione, preferendo all’interpretazione del regista e dell’attore quella del figlio MIa madre 1che decide di dedicarsi anima e corpo alla propria madre, impegnata in ospedale nella più dura battaglia della propria vita. Ogni altro elemento è sotto il segno della insignificanza. Perfino il proprio lavoro di ingegnere in una azienda, che abbandona con una certa noncuranza (ma cosa è un lavoro di fronte alla morte della propria madre?), malgrado i consigli assolutamente contrari della Direzione.Con questo film crediamo che il dado sia tratto e Moretti abbia inaugurato un ulteriore nuovo modo di fare il suo cinema. Ne attendiamo con ansia e curiosità ulteriori sviluppi. E non crediamo che possa tornare indietro, come non è tornato indietro quando ha dato lo scacco al suo simbolo giovanile, la Nutella, per impegnarsi su livelli più alti.

Fonte: rivegauche-artecinema

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