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L’ONDA LUNGA DEGLI EUROSCETTICI NON SCONFIGGE L’EUROPA

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di Giuseppe Licinio  (AG.RF 29.05.2014) ore 09:31

(riverflash) – Al di là delle polemiche e delle note di colore, dalle elezioni europee del 25 maggio sono emersi diversi dati politici significativi.

Partiti tradizionali. Dei partiti storici perdono qualcosa i socialisti (passano da 197 a 190 seggi), i popolari (da 274 a 213) e i liberali (da 57 a 53) mentre  guadagnano l’estrema sinistra (da 35 a 42) e il gruppo euroscettico “L’Europa della libertà e della democrazia” (da 31 a 38) di cui fa attualmente parte la Lega. Diventa più corposo il gruppo dei non iscritti (equivalente più o meno al gruppo misto del nostro Parlamento) che da poche unità passa a 41 seggi.

Alleanze. La novità assoluta sono i nuovi movimenti anti-austerity che eleggono 64 deputati ma non inficiano gli equilibri politici del Parlamento che rimangono sostanzialmente immutati. In totale i parlamentari euroscettici (la somma degli eurodeputati della destra populista con quelli dei movimenti) sono circa 140 e cioè il 20% della composizione del Parlamento e questo consente di affermare che le istituzioni europee non sono state travolte da nessuna onda lunga. Il PPE, infatti, pur perdendo, rimane il partito più forte e non potendo formare alleanze con i movimenti basati sulla protesta, dovrà chiedere il sostegno agli altri partiti tradizionali e in primis al Pse. Quest’ultimo rimane il secondo gruppo parlamentare poiché il tracollo del partito socialista in Francia e in Spagna è stato compensato dalla vittoria del Pd in Italia e dal buon risultato dell’Spd in Germania.

Formazione dei gruppi. Naturalmente sono iniziate le manovre per la creazione dei nuovi gruppi politici all’interno del Parlamento, soprattutto fra i movimenti euroscettici.  Per formare un gruppo occorrono 25 deputati provenienti da almeno 7 Paesi ma le alleanze fra i movimenti, a differenza dei partiti tradizionali, sono da costruire da zero.

M5S. Grillo con i suoi 17 seggi ha deciso di puntare sull’alleanza con gli euroscettici inglesi dello Uikip per poter contare qualcosa a Bruxelles e spuntare qualche incarico istituzionale per il suo partito.

Lega. Salvini, invece, ha scelto di avvicinarsi al Front Nationel di Marine Le Pen sorvolando sul fatto che si tratta di un partito fortemente nazionalista (“Mi riconosco nella libera scelta dei popoli – ha dichiarato il segretario della Lega – se i veneti vorranno fare un referendum per l’indipendenza, avranno il mio sostegno, se gli ucraini lo fanno, anche”). La creazione del gruppo si è rivelata però più difficile del previsto perché per adesso ne fanno parte 23 eurodeputati provenienti da cinque Paesi e quindi ne mancano due che dovranno provenire da due nazioni diverse.

Presidenza UE. Prima delle elezioni i patti erano chiari. Ogni partito aveva indicato sulla scheda un candidato alla presidenza della Commissione europea perché, in caso di vittoria, il candidato del partito più forte sarebbe diventato automaticamente il nuovo Presidente della Commissione. Alcuni capi di governo hanno però messo mostrato subito ostilità verso la nomina del lussemburghese Jean-Claude Juncker, candidato del Partito popolare e quindi in teoria vincitore. Per il premier inglese David Cameron, ad esempio, Juncker è troppo europeista e non in grado di comprendere i cambiamenti necessari. Ma perplessità ci sono all’interno dello stesso partito popolare e questo paradosso è ben colto dal capogruppo uscente dei socialisti e democratici, Hannes Swoboda secondo cui «è comico che Juncker abbia il supporto dei socialisti e democratici ad aprire i negoziati ma sia bloccato dalla sua stessa famiglia politica». Una situazione che però strappa poche risate al candidato popolare.

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