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LEX – Rubrica d’informazione giuridica a cura di Paola Panico del Foro di ROMA:REPONSABILITA’ DEL DATORE DI LAVORO PER MOBBING TRA LAVORATORI

mobbing_2[1]“riverflash” – Il mobbing può definirsi come quel comportamento vessatorio posto in essere nei confronti di un lavoratore con l’intento di colpirlo, emarginarlo ed estrometterlo, fino addirittura a scacciarlo, dall’ambiente in cui opera.

Autori di tali comportamenti possono essere tanto il datore di lavoro quanto altri lavoratori, colleghi della vittima ed è proprio su quest’ultima ipotesi che si fonda l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione, la quale ha più volte condannato il datore di lavoro a risarcire, al dipendente, il danno biologico conseguente ad una pratica di mobbing posta in essere dai colleghi di lavoro, sulla base dell’avvenuto accertamento che, pur se a conoscenza dei comportamenti persecutori da questi posti in essere, egli non si sia attivato per reprimerli.

Ai sensi dell’art. 2087 del codice civile, l’imprenditore è, infatti, tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, tutte le misure necessarie alla tutela dell’integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro; egli inoltre, alla stregua di un qualsiasi debitore che non adempia esattamente la propria obbligazione, è tenuto, ex art. 1218 del codice civile, al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento siano stati determinati dall’impossibilità della prestazione derivante da una causa a lui non imputabile.

Ecco perché, nel caso del mobbing, caratterizzato dalla protrazione nel tempo, attraverso una pluralità di atti, giuridici o materiali (alcuni dei quali possono anche essere in sé legittimi, ma se considerati nell’insieme), tutti unificati dalla volontà diretta alla persecuzione o alla emarginazione del dipendente, l’art. 2087 c.c. configura la responsabilità contrattuale del datore di lavoro anche nei casi in cui le condotte cc.dd. “mobizzanti” siano poste in essere da colleghi di lavoro della vittima.

In questi casi, la responsabilità del datore di lavoro si fonda su un presunto comportamento omissivo dello stesso, consistente nel non aver predisposto le misure necessarie ad impedire l’attuazione delle condotte persecutorie descritte: tale presunzione di colpa, a carico del datore di lavoro, può essere superata dalla dimostrazione – che egli dovrà dare – di avere adottato tutti i provvedimenti possibili atti a far cessare e reprimere la condotta illecita dei propri dipendenti, come nel caso in cui egli abbia osservato gli obblighi positivi di accertamento e di controllo sui comportamenti posti in essere all’interno dell’azienda.

Dunque, il datore di lavoro è obbligato a risarcire al dipendente il danno biologico conseguente ad una pratica di mobbing posta in essere dai colleghi di lavoro, nel caso in cui si accerti che, pur conoscendo i comportamenti illeciti posti in essere da questi ultimi, non si sia attivato per reprimerli.

AG.RF (Avv. Paola Panico – paolapanico@yahoo.it) 18.05.2013

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