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LAIKA E LE STORIE DI ASCANIO CELESTINI ALL’AUDITORIUM DI ROMA

Celestinidi Sabrina Sciabica (AG. RF. 24.06.2016)

(riverflash) – Si ascolta, Ascanio Celestini, come se si stesse ascoltando un amico fraterno che racconta qualcosa di rilevante. Si rivede con lo stesso piacere con cui si ritrova un vecchio conoscente di cui non hai notizie da tempo, ma che speravi di incontrare al più presto, per fare un sunto delle notizie più interessanti. Sempre con la massima semplicità snocciola temi importanti e nell’essenzialità delle parole tratta gli argomenti più profondi.

Come pochi veri attori, e di raro talento, ci fa sorridere, un attimo dopo riflettere, quasi quasi commuovere.

Questo è il teatro di Ascanio Celestini, fatto di un unico fondamentale ingrediente: la vita reale.

In Laika, lo spettacolo scritto da lui, andato in scena ieri all’Auditorium Parco della Musica di Roma, con Gianluca Casadei alla fisarmonica
e la voce fuori campo di Alba Rohrwacher, parla come fosse affacciato da un piccolo appartamento, da cui commenta ogni cosa che vede, riferendosi a un ipotetico e silenzioso Pietro.

“Questo spettacolo  – dice Celestini – parla di un Cristo improbabile che si confronta con dubbi e paure, che non si è incarnato per redimere un’umanità dolente ma solo per osservarla, un povero Cristo che può agire nel mondo solo come essere umano tra gli esseri umani. Uno che sente la responsabilità, ma anche il peso di essere solo sul cuor della terra: vuoi vedere che la trinità è una balla e alla fine salterà fuori che Dio sono soltanto io?”

In tutto questo, cosa c’entra Laika? La povera cagnetta è stata il primo essere vivente ad avvicinarsi a Dio, a questo Dio che qualcuno prega con fervore e qualcun altro, come una signora del condominio, no. Allora la vicina di casa “con la testa impicciata” scriverà delle lettere a firma Dio per convincere la signora sfiduciata e ne nascerà una bella amicizia, anche se la donna non pregherà comunque nessun Dio. Piuttosto si chiederà Dio, dove è? E se lo chiedono anche il barbone, e i poveri lavoratori “negri facchini” sottopagati, sfruttati e malmenati dalle guardie – o forse loro non hanno neanche il tempo di chiedersi qualcosa. Così, con il suo fare veloce, avvincente e familiare, l’attore continua a farsi domande.

È il caso di addossare tutta la cattiveria che innegabilmente esiste, ad un ipotetico potentissimo Maligno? La risposta logica è “no! altrimenti ci sarebbero due Dii”! afferma con un buffo ma  convincente ragionamento.

Ma, ascoltando questo instancabile affabulatore che impersona personaggi squattrinati e falliti, ci si chiede in cosa potremmo ancora sperare? Cosa ci salverà?

Forse le piccole verità, il mare, la fantasia, che dà vita ai prodigi e alla libertà di immaginare cosa faremo domani, se usciremo a cena con Nicole Kidman o moriremo di infarto facendo l’amore o come una cascata che diventa lago che diventa fiume.

E, soprattutto, ci sono le “persone vere”, come un cieco, una vecchia e una signora col cervello impicciato che scendono in strada per difendere un povero barbone. E c’è anche il teatro, quello che insegna, quello che racconta la vita, con la magia di un narratore che riflette, che ci fa riflettere, ci fa vedere tutto con occhi diversi e ci fa odiare e amare questo universo ingiusto, incomprensibile, vario e sconfinato.

 

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