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La vita dei “transitanti” in città

di Francesca Romana D’Andrea

 

la vita dei transitanti in città

Sono le otto e trenta del mattino a Roma, i morning show di tutte le radio sono iniziati da un pezzo, il traffico ha già immobilizzato la città, difatti siamo parecchi in coda ad un semaforo lungo la via Tiburtina, di fronte al Verano.

Quando tra una canzone che suona e un argomento di attualità discusso animatamente davanti ad un microfono alla radio, basta girare la testa per accorgersi che potremmo parlare di qualcosa appena visto con i nostri occhi.

Sono di fianco al centro di accoglienza Baobab, chiuso dal 6 dicembre scorso ma questo non c’entra niente con la tendopoli di via Cupa.

Quanti sono? Io ne conto una decina, chissà quanti ancora dormono, oggi il clima è orrendo, il sole non si è alzato.

Come è fatto il loro letto? Dormiranno abbracciati ai loro compagni? Ai loro figli? Perché vivono in strada, in una via di Roma dove i residenti sono esasperati?

Fanno colazione su un marciapiede dove è stato sistemato un banchetto di legno e sopra una tanica con una bevanda dentro, accanto ci sono dei bicchieri di plastica, sembrano le colazioni dei set cinematografici ma questo non è un film, è la loro cucina.

Hanno a disposizione dei bagni pubblici anch’essi disposti su un marciapiede, poco distanti dalla tendopoli.

Un ragazzo indossa una tuta blu che non è mai stata sua, ha uno spazzolino in mano e la camera con vista sulla strada, si sta lavando i denti ed ha lo sguardo assonato, perso.

Sono gesti di una vita quotidiana, ognuno di noi li compie davanti ad uno specchio, davanti ad una tazza di caffè, appoggiato ad una finestra mentre osserva ciò che accade fuori, al sicuro, coperti almeno da un soffitto.

Sono dei migranti anzi oramai immigrati, giunti in Italia dopo lo sbarco in Sicilia.

Hanno subìto numerosi sgomberi all’alba da parte della polizia ma insieme ai volontari resistono e ricostruiscono ogni volta un centro di accoglienza improvvisato.

Una ragazza con un turbante arancione forse ha la mia età, io sono in macchina verso un altro esame universitario, lei ha le mani sui fianchi e gli occhi fissi sul traffico.

Non penso che se le chiedessero dove vorrebbe stare in questo momento, risponderebbe Roma.

Abbiamo sentito troppo spesso frasi del tipo “se ne tornassero nel loro paese” “sono venuti a rubarci le case ed il lavoro” “ci rubano i soldi” e siamo rimasti in silenzio ma non è mai stata una buona soluzione, per fortuna Simona Sinopoli (Presidente dell’arco Roma) e  Claudio Graziano, (Responsabile dell’Ufficio Immigrazione dell’Arci Roma) hanno risposto alle domande che forse ogni cittadino si è fatto, senza riuscire a trovare prima una vera e sensata spiegazione.

 

Partiamo dalla prima domanda, la più comune, la più sentita negli ultimi tempi quando si parla di immigrazione.

Da dove vengono, a chi vanno e come sono gestite queste famose 35 euro per ogni immigrato?

“Le 35 euro fungono da finanziamento per i loro bisogni e vengono erogate alle cooperative, di cui i comuni si avvalgono per la gestione dell’accoglienza, vengono utilizzate solo ed esclusivamente per dei servizi, se necessitano di uno psicologo (sono in maggioranza donne e bambini le vittime di stupri e torture) di un dentista, di iscriversi ad un corso per la patente.

Arrivano dal fondo ordinario che il ministero dell’Interno ha a disposizione per l’immigrazione e l’asilo, non finiscono assolutamente nelle mani degli immigrati per le loro spese quotidiane, per quello hanno a disposizione circa 4,50 euro al giorno (pocket money).

 

Perché dormono in strada?

“Gli immigrati non dormono in strada, sono accolti nei centri di accoglienza e per loro si attivano dei progetti di sostegno fino all’ottenimento del permesso di soggiorno (per un tempo dai 6 a 12 mesi) in cui gli viene fornito un sussidio per l’affitto di un appartamento, per le utenze, vengono iscritti al servizio sanitario nazionale e viene data la possibilità ai loro figli di frequentare la scuola. Gli immigrati che dormono in strada sono i così detti “transitanti” ovvero quelli che rifiutano di farsi foto – segnalare, che non vogliono rimanere in Italia e vorrebbero spostarsi verso altri paesi europei (meglio se in Nord Europa ) perché conoscono la situazione italiana, solo che per la Convenzione di Dublino una volta fatta richiesta di asilo in un paese non c’è possibilità di cambiare.

 

Per quanto tempo gli immigrati possono usufruire delle agevolazioni?

“Gli viene data la possibilità di rimettersi in piedi per un periodo di tempo che va dai 6 a 12 mesi, periodo che coincide con l’ottenimento del permesso di soggiorno, una volta ottenuto diventano a tutti gli effetti cittadini italiani ed hanno quindi la possibilità di trovare lavoro (post tirocini lavorativi) e diventare autonomi.

A seconda dei casi diversi (maternità, problemi di salute) scaduto quel tempo, si arriva a fare per loro la scelta migliore.

Tanti per esempio, decidono di entrare a far parte dei movimenti di occupazione per ottenere una casa.

Il Ministero dopo un determinato periodo smette di sostenerli ed entrano in atto le  varie associazioni, l’Arci appunto che in ogni caso non li abbandona.

 

Soprattutto a Roma, la maggior parte dei cittadini non condivide gli aiuti che il Ministero ed il Comune mettono a disposizione nei confronti degli immigrati.

Aiutarli a condurre una vita normale lontano da casa è un piano di protezione?

“Assolutamente si, se venissero accolti nel nostro paese e poi abbandonati non avrebbe senso niente di tutto ciò che i volontari, l’Arci, il Ministero, svolgono ogni giorno nei loro confronti.

Senza alcun aiuto e nessun diritto, si ritroverebbero a dormire sui marciapiedi di tutta la città, a chiedere l’elemosina, a prostituirsi, a rubare e ad alzare fortemente il livello di criminalità, causando ancor più disagi.

 

Infine, come si svolge, se esiste, una giornata tipo di un “transitante”?

“Insieme ai volontari e grazie alla collaborazione dei medici senza frontiere, lavoriamo per assisterli e sostenerli ma i transitanti evitano molto spesso di entrare a far parte di ambienti dove c’è bisogno di un riconoscimento e quindi rimangono vicino al loro giro, noi evitiamo quantomeno che si accostino ad abitudini sbagliate”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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