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LA PERDITA DELLA LEADERSHIP DEI PORTI ITALIANI SUL MEDITERRANEO

di Ali Nasser (AG.RF  16.11.2013)

(riverflash) – A quanto pare l’Italia è oramai confinata a fanalino di coda all’interno dello scenario dei traffici internazionali. Le navi merci sono tutte convogliate verso il porto di Rotterdam in Europa. Campanilismi, mancanza di autonomia finanziaria, burocrazia e assenza di coordinamento stanno rendendo sempre più difficoltose le condizioni per cui i nostri porti possano tornare a brillare come nel nostro glorioso passato.

Come mette bene in evidenza un proverbio partenopeo non è il viaggio che conta ma il porto e infatti sempre più navi con bandiera cinese decidono di attraccare a Rotterdam o a Valencia piuttosto che in Italia, anche se la rotta è più lunga. L’Italia perde sempre più terreno nel Mediterraneo come nel caso di Gioia Tauro – 19.2%, Venezia -13% e Genova -0.6% rispetto ad altri porti che continuano a crescere come quello di Valencia, Algeciras, Port Said, Barcellona e perfino Atene.

Questo è un dato importante da considerare poiché l’economia del mare muove un fatturato di circa 242 miliardi di euro ossia il 15.3% del PIL nazionale e da lavoro a quasi 500.000 persone così come consente di spedire il Made in Italy in tutto il mondo. Il Censis ha anche stabilito che in media ogni 100 euro di investimento c’è un ricavo netto di 237 euro ma l’Italia in questo senso, in una classifica ideale, appare solo all’ottantesimo posto dietro Ungheria, Zambia e Benin.

Il problema principale sta nella gestione dei porti italiani che è affidata a 23 autorità portuali che dipendono tutte dal Ministero dei Trasporti e questo causa non pochi problemi a livello di macchinosità.

I programmi di rinnovo e sviluppo infrastrutturale quindi ne risentono in massima parte e ad esempio per il periodo 2010-2014 il governo algerino ha stanziato 286 miliardi di dollari in questo senso, quello italiano solo 70.

Occorrono una maggiore semplificazione delle dogane e una governance snella, dotata di uno sportello unico che gestisca in maniera univoca le merci in arrivo nei nostri porti senza troppe lungaggini burocratiche. Un container dalla Cina ad esempio per essere sdoganato necessita di 70 documenti, 17 controlli, 3 ministeri coinvolti e una settimana di tempo in Italia. A Rotterdam solo 48 ore. Le imprese manifatturiere pagherebbero anche 20 euro a container in più, pur di risparmiare tempo.

Il cluster del mare in Italia pare non interessare a nessuno e infatti continuano ad esserci rincari per oltre il 50% in tasse portuali e di ancoraggio mentre nel resto del Mediterraneo i costi si abbassano e si fanno sempre più competitivi. Manca quindi evidentemente una vera e propria cultura dell’economia marittima.

Per fare fronte a questo tipo di problemi sono in molti a suggerire la modifica della natura giuridica delleautorità portuali in Spa pubbliche o enti pubblici economici.

Un altro grave problema che evidenziano i grossi operatori del settore consiste nella mancanza di capacità di fare sistema, di mettere in rete in maniera efficiente tutti gli attori della filiera dai porti, alle dogane, fino alle ferrovie e alle autorità sanitarie. Servono quindi sia una visione sistemica che una rete efficiente di infrastrutture per attirare navi e carichi.

 

pescherecci

 

Fonte: www.medmagazine.net

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