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LA CASA FAMILIARE NELLE CONVIVENZE MORE UXORIO

(river flash) – LEX  Rubrica d’informazione giuridica

a cura dell’avvocato Paola Panico del foro di Roma

(riverflash) – Con una recentissima sentenza, la Corte di Cassazione si è di nuovo pronunciata su una questione relativa alle cosiddette “famiglie di fatto”: spesso coppie, che hanno liberamente scelto di non vincolarsi con il matrimonio, proprio per evitarne le conseguenze legali, ma anche coppie gay che, al contrario, spesso desidererebbero vincolarsi.

In questa occasione si discuteva dell’esistenza o meno di una tutela del convivente non proprietario della casa familiare in merito al godimento della stessa, di proprietà del compagno: il convivente more uxorio deve considerarsi un ospite del partner oppure è titolare di una posizione riconducibile alla detenzione autonoma, qualificata dalla stabilità della relazione familiare e, dunque, protetta dal rilievo che l’ordinamento riconosce a questa?

Il Collegio giudicante, ponendosi in continuità con un indirizzo già espresso in precedenti pronunce, ha optato per la seconda tesi, affermando che “La convivenza more uxorio determina sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto, basato su un interesse proprio, ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità.”

La famiglia di fatto è infatti compresa tra le formazioni sociali che l’art. 2 della Costituzione considera la sede di svolgimento della personalità dell’individuo, pertanto il convivente gode della casa familiare, di proprietà del compagno, per soddisfare un interesse proprio – oltre che della coppia – sulla base di un titolo personale la cui rilevanza giuridica è riconosciuta a livello costituzionale.

Conseguentemente, l’estromissione violenta o clandestina del convivente dall’unità abitativa, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, non essendo consentito al convivente proprietario, in caso di dissoluzione del legame, di ricorrere alle vie di fatto per estromettere l’altro dall’abitazione perché, come espressamente affermato dalla Corte, in assenza di un Giudice competente per la cessazione di questi rapporti “il canone della buona fede e della correttezza, dettato a protezione dei soggetti più esposti e delle situazioni di affidamento, impone al legittimo proprietario che, cessata l’affectio, intenda recuperare, com’è suo diritto, l’esclusiva disponibilità dell’immobile, di avvisare il partner e di concedergli un termine congruo per reperire altra sistemazione”.

Rimane infatti ferma la differenza tra la convivenza di fatto, fondata su un legame in ogni istante revocabile, rispetto al rapporto coniugale, caratterizzato da stabilità e certezza, nonché dalla reciprocità di diritti e doveri, che nascono soltanto dal matrimonio; tale differenza rileva anche con riferimento ai rapporti personali e patrimoniali della coppia: maggiore spazio alla soggettività individuale dei conviventi nella famiglia di fatto e maggiore rilievo delle esigenze obiettive della famiglia, intesa come stabile istituzione sovra individuale, nel matrimonio.

 

AG.RF. (paolapanico@yahoo.it) 27.04.2013

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