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“LA BATTAGLIA DI HACKSAW RIDGE” – La recensione

xxx-ça battaglia di Hacksaw Ridge

di Valter Chiappa
(AG.R.F. 13/02/2017)

(riverflash) Noi non sappiamo cos’è la Guerra. Lo sapeva Desmond Doss e i disperati che con lui hanno calpestato il suolo di Okinawa. Terra scavata dalle bombe, percorsa dal fuoco, intrisa di sangue, puteolente di carne in decomposizione. Noi non sappiamo cos’è la Guerra. Mel Gibson ce la racconta con il linguaggio più esplicito che sia mai stato utilizzato, assestandoci il pugno più forte che il nostro stomaco abbia mai ricevuto. Con il perverso compiacimento con cui il vecchio protagonista di “Arma letale” ama descrivere la violenza (ricordate la flagellazione di Cristo?), in “La battaglia di Hacksaw Ridge” riempie lo schermo di tronchi umani, di viscere sparse sulla terra, di arti maciullati, di crani rosi dai ratti, di corpi che esplodono o sono divorati dalle fiamme. La rappresentazione della battaglia di Hacksaw Ridge, che si estende per tutta la seconda metà del film, supera in intensità anche il famoso incipit di “Salvate il soldato Ryan” e colloca di diritto il film di Mel Gibson nella storia dei film di guerra. Non solo voyeurismo splatter, che in questo caso risulta opportuno ed efficace, ma il tintinnio metallico delle schegge, il fischio dei proiettili, i boati assordanti delle bombe, la scia rossa dei lanciafiamme, gli occhi spiritati dei giapponesi, il pianto dei moribondi, per un’ora interminabile descrivono come mai fatto prima la tensione, il terrore, la follia, la perdita di ogni accento umano, la distruzione della sacralità del corpo: tutto ciò che la Guerra è.

All’interno Gibson inserisce il suo messaggio, raccontando la storia vera di Desmond Doss, il primo obiettore di coscienza ad ottenere un’onorificenza militare. Spinto da una fede incrollabile, questo ragazzo della Virginia pretese ed ottenne di partire per il fronte disarmato, intenzionato a salvare vite, piuttosto che toglierle. E così fece, con l’eroismo proprio di chi è votato al martirio, sottraendo al campo di battaglia ed a una morte certa 75 uomini.

Peccato che “La battaglia di Hacksaw Ridge” sia tutto qui, in questa asfissiante carrellata di orrori. Per il resto si assiste ad un film convenzionale, diviso canonicamente in tre fasi: l’idillio in tempo di pace, la durezza dell’addestramento, il combattimento con l’inevitabile vittoria finale. Tutto già visto: la bella fidanzatina lasciata a casa, il bullismo dei commilitoni, pallida eco di “Full metal jacket”, una fugace descrizione della varia umanità dei soldati, qualche blanda escursione nel retroterra psicologico del protagonista, vessato da un padre ubriacone e violento. Nessun altro approfondimento, nessuna vista sulla posizione del nemico, come il pur americanissimo Clint Eastwood tentò con “Lettere da Iwo Jima”, in contrapposizione al precedente “Flags of our fathers”. Solo buoni contro cattivi, il Bene contro il Male. Forse da Mel Gibson non si può pretendere di più.

Conosciamo il credo del regista americano: la sua è una fede guerriera, il suo cristiano è un combattente, deve andare in guerra, come testardamente pretende il suo protagonista, perchè il suo amore per Dio si manifesta sul campo di battaglia. Desmond Doss è solo apparentemente inerme: non un fucile, ma la piccola Bibbia che porta sempre con sé lo rende invincibile, capace di sfuggire miracolosamente ad una pioggia di ferro e di fuoco, di non provare fame, sete, sonno, di caricarsi sulle spalle decine e decine di corpi senza apparente fatica. Ma, senza giudicare le personali credenze dell’autore, l’intima contraddizione del discorso gibsoniano appare evidente nel finale, quando, per “finire il lavoro” iniziato su Hacksaw Ridge, i soldati imbracciano nuovamente le armi e si producono nel più classico degli “arrivano i nostri”, facendo carne da macello degli avversari. Va bene la fede, ma quando c’è da sparare si spara.

Desmond Doss è interpretato da Andrew Garfield, che presta al suo candido personaggio il viso pulito e il sorriso aperto. L’ex Spider-Man è candidato all’Oscar come miglior attore protagonista e fa di tutto per meritarlo: domina la scena per tutta la durata del film, intenso, credibile. Ma la sua performance brilla principalmente in virtù della bellezza del ruolo e dell’impegno richiesto. Lo affiancano bravi comprimari: la graziosa Teresa Palmer (la fidanzata Dorothy), Hugo Weaving (il padre), Vince Vaughn (il sergente Howell), Sam Worthington (il Capitano Glover), Luke Bracey (il commilitone Smitty).

Il tutto per un prodotto che è un po’ come la fede di Gibson: al Bene e il Male corrispondono l’eccellente e il mediocre, il troppo pieno e il troppo vuoto. Il suo cinema divide draconianamente, non ammette mezzi termini, lo si ama o lo si odia. Gibson non è sottile: non parla, urla; non tocca, sferra pugni violentissimi. Ma a volte anche i pugni fanno bene. Soprattutto se, quando parleremo ancora di guerra, ci torneranno in mente il sangue, la carne, le ossa che da quel giorno sono parte inseparabile della terra di Hacksaw Ridge.

Voto: 7-

 

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