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“Jimi: All is by my side”: la recensione

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di Valter Chiappa

(AG.R.F. 27/09/2014) (riverflash)

Deve essere un tipo ambizioso John Ridley. Dopo essere stato premiato per la sceneggiatura di “12 anni schiavo” in una sessione degli Oscar particolarmente benevola verso la cultura di colore, ha scelto di cimentarsi in un’impresa dal coefficiente di difficoltà massimo: raccontare l’inenarrabile.

Perché Hendrix, e non Clapton, è Dio.

Chiunque mastichi anche poco di rock, sa che il genio di Seattle e la sua musica (che nel caso specifico sono la stessa cosa), proprio perché programmaticamente rifuggivano da ogni etichetta, costituiscono un unicum nella storia della musica moderna. A complicare, e non poco, l’impresa, il diniego, da parte dei familiari di Hendrix, della concessione ad utilizzare i brani scritti da lui: Niente “Foxy Lady” quindi, niente “Purple Haze”.

Ma Ridley se la cava benissimo; da un taglio temporale netto alla vicenda, narrando un periodo di limitata durata, ma di estremo interesse: l’anno in cui il nostro, giunto nella Swinging London come sconosciuto session man di musicisti blues di medio calibro, diventa Jimi Hendrix.

Ma da qui in poi è mancata decisione e forse coraggio nella scrittura. Molte idee vengono riversate sulla pellicola non sempre in modo coerente, ma sempre timidamente, come se l’autore non se la fosse sentita di osare di più di fronte all’ombra gigantesca del mostro sacro. Così il protagonista spesso appare plagiato dalle donne che lo circondano, in particolare Diane Keith, a volte afferma il suo credo con piena consapevolezza, a tratti appare incerto nella sua ricerca musicale, improvvisamente fa esplodere il suo talento sul palco. Non a caso Kathy Etchingham, la ragazza di Hendrix, è nel suo blog assai critica con il plot di Ridley.

Azzeccate peraltro alcune illuminazioni: il continuo riferimento ai colori, che ben racconta di una musica non disegnata con linee, ma dipinta con macchie cromatiche; il rapporto erotico con la chitarra, garbatamente accennato in una breve sequenza.

Ridley alla fine svolge bene il suo compito, avendo il grande merito di non cadere nei luoghi comuni, ricostruendo in maniera interessante e fedele un periodo storico pieno di fermento, mancando solo di coraggio, e comprensibilmente, nella complessa analisi di un genio insondabile.

Ottima la performance, aiutata da una somiglianza fisica impressionante, del cantante degli Outkast André “3000” Benjamin, chiamato nel ruolo di protagonista.

Alla fine della proiezione i fanatici storceranno la bocca, e lo si sapeva già, ma non potranno insorgere; i sani amanti del rock avranno trovato spunti interessanti e avranno trascorso una piacevole serata.

Voto: 6.5

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