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INNO DI MAMELI E GLI ELMI DI SCIPIO: allora fu Roma a chiamare

di Francesco Angellotti (AG.RF 05.12.2019)

(riverflash) – La scorsa lezione della prof.ssa Marisa D’Ulizia l’ho trovata talmente interessante, che son voluto andare alla seconda esposizione degli incontri sulla filosofia, tenuta dal prof. Bruno Giancarlo, che dava la garanzia di aver svolto nella prima conferenza una brillante introduzione.

   L’argomento che trattava sembrava un po’ noioso, forse perchè si è perso il senso dei nostri genitori che, quando cantavano l’Inno di Mameli, lo partecipavano con emozione.

   Adesso, pur se l’Italia chiamò, la vediam bene la risposta; quel che manca sono proprio gli intrepidi personaggi che han immaginato bastasse l’Ideale per sostenere una Nazione.

   Ma confidavamo che il prof. Giancarlo, presidente dell’ AICC di Terni, avesse tratto interesse dall’argomento, che affonda nella Gloria dell’Italia Unita.

   Volendo ammettere uno sbaglio, rettifichiamo che l’excursus storico riportato è stato travolgente, altro che interessante!

   Come c’era da supporre, il professore ha fatto un’analisi a ritroso, certo partendo da Mameli, che ha fatto un Canto Patriottico che è stato assunto come Inno Nazionale. Anche se, scritto da Goffredo come trionfo della Repubblica, è stato assimilato dal Re e poi da Mussolini come premessa ad un Governo solido e dittatoriale, dato che la vittoria nelle guerre puniche son state il preambolo dell’Impero Romano e della sua egemonia nel Mediterraneo; anche se il conflitto è sorto per difesa dei Romani nei confronti dei Cartaginesi, che avevano predominanza nel commercio. Ma dopo 3 eventi armati, Roma ha acquistato dominio, imperando in tutta la costa.

   Ma il primo ad aver inneggiato a si tanto grande Eroe, chi è stato? Un po’ d’anni prima, Petrarca; quando il volgare iniziava ad espandersi sull’ormai antiquato latino. Sono stati approfonditi e corretti gli studi da parte del padre della lingua italiana, che ha composto una specie di biografia di Scipio (mantenendo il nome proprio in latino: Scipio – Scipionis), anche se collima straordinariamente con quella scritta da Flavio Serpione. Eppure pare che i due letterati non si fossero mai consultati; ma è sorto qualche sospetto, dato le troppo accentuate simiglianze che lasciano diversi dubbi.

   La personalità decantata è quella dell’eroe dominante, dai lunghi capelli disordinati al vento ed una impetuosità travolgente. Ma, come eroe, era ricco della qualità che rendeva i romani uomini d’onore: la fides; per cui sapeva essere magnanimo con i vinti, ed era disponibile nei colloqui avuti prima delle battaglie con Annibale. Per quanto, vedendo che l’aria che tirava non era delle migliori, il duce cartaginese tentò prima della battaglia di Canne di giungere ad un accordo, ma Scipio non si fece coinvolgere, e fu la strage. Tutto quel che una Guerra all’arma bianca comporta: disastri, distruzioni,  catastrofi senza pietà. Però, dopo la battaglia, gli storici han voluto mostrare quanto Scipio fosse stato magnanimo con la popolazione; certo non con lo Stato, esigendo il falò di tutte le navi che si trovavano in porto: ed i contatti via mare erano tutta la gloria dei Cartaginesi.

   C’è stato chi ha presentato anche diverse versioni alle avventure che han visto il trionfo di Roma nelle guerre puniche. Perchè il ministro della Pubblica Istruzione già in carica in epoca fascista, ha un po’ ribaltato la storia; per cui nel fare la Pace, non sono stati i Romani che hanno preteso condizioni drastiche, ma sono stati vittime della perfidia delle pretese dei perdenti; perchè, secondo lui, i Romani avevano coltivato nell’animo la Fides, che dava loro onore e lealtà; mentre i cartaginesi erano Perfidi (per-fides), ed anche il loro comandante conservava tutte le più gravi meschinità personali: mendace, traditore, crudele e sanguinario.

   La versione su Annibale non è stata molto approfondita, ma la situazione politica è stata generalmente presentata in modo completamente diverso.

   Ma a Petrarca chi gliel’aveva dette tutte queste cose?

   I contemporanei di Scipio, sopratutto Tito Livio. Ampie sono le sue trascrizioni in proposito, anche se di voci se ne sono trovate tante: da Valerio Flacco a Silvo Italico e tanti altri, su cui in tempi moderni molti studiosi han cercato allacci e paralleli, testimonianze e documenti.

   Non stiam qui a riportare tutta la conferenza tenuta dal prof. Giancarlo, perchè sarebbe troppo lungo; anche se non mi preoccuperei d’essere seguito perchè è stata interessantissima. Ma credo sia importante scoprire che il personaggio di Scipio è stato esaltato in diverse parti della sua vita, a seconda della veste con la quale si voleva osservare. Quando giovane intrepido conquistatore, ha portato avanti l’ideale di Repubblica; dopo conquistata Cartagine ed allargato l’impero su tutto il Mondo si è convertito al Governo Totalitario; si sorvola poi sulla sua sventura, quando ormai vecchio è stato esiliato ed ha raggiunto le terre in cui le sue armi avevano trionfato.

   Questo per rilevare il particolare che i personaggi storici (e non solo) sono glorificati o deprecati a seconda delle voci da cui son nominati; e che si può essere autori del dominio della Repubblica, come si diventa fautori della Dittatura, per poi (casomai) tornare ad essere elogiati per le imprese svolte sotto la Repubblica: in parole povere, un personaggio non è glorificato per quel che ha svolto, ma ne viene esaltata la parte che lascia intendere quel che è opportuno, a seconda di chi lo assume come emblema. Ma vorrei sapere, se l’Italia lo ha chiamato, cosa avrà risposto?

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