Coppa di Africa dal 13 gennaio
header photo

ingrandisci il testo rimpicciolisci il testo testo normale feed RSS Feed

“IL NOME DEL FIGLIO”: la recensione

il nome

 

di Valter Chiappa

(AG.R.F. 07/02/2015) (riverflash)

“Il nome del figlio”, il nuovo film di Francesca Archibugi, inizia con uno scherzo.

Paolo Pontecorvo (Alessandro Gassman), rampollo di una famiglia ricca e di sinistra, ha degenerato verso il capitalismo ed è lanciato nel mercato immobiliare. Attende un figlio da Simona (Micaela Ramazzotti), aspirante scrittrice di periferia, per tutti solo una donna appariscente e assai naif.

Durante una cena con la sorella Betta (Valeria Golino), il marito di lei Sandro (Luigi Lo Cascio), docente universitario con la mania dei tweet, il vecchio amico di famiglia Claudio (Rocco Papaleo), musicista dai gusti apparentemente eccentrici, Paolo rivela il nome che la coppia intende dare al nascituro: quello più improponibile di tutti, soprattutto perché offensivo per la storia della famiglia e per i valori in cui tutti dicono di credere.

È solo uno scherzo, ma basta per mettere a nudo tensioni, nervi scoperti, debolezze, cose non dette, problemi irrisolti. Il resto della cena, soprattutto dopo l’arrivo di Simona, il corpo estraneo a tutti i presenti, la proletaria vera, diventa un gioco al massacro. Sotto la copertura dell’antico affetto, protetti dai ricordi di un’adolescenza ricca e serena, risalente agli anni ’70-’80, dietro i modi patinati dell’educazione borghese i presenti cominciano a lanciarsi fendenti l’un l’altro con aggressività via via crescente che mette a nudo la desolante verità.

È una generazione fallita, bruciata, devastata.

“Sei l’incarnazione della disfatta del nostro paese” dice l’intellettuale Lo Cascio alla cognata naif. Ma non si rende conto che è lui l’emblema dello sfacelo, attaccato allo smartphone,  dipendente dai tweet (vi ricorda qualcuno?); sono loro, la moglie annullata nel servilismo casalingo, il cognato barricato nel cinismo e nell’ostentazione della ricchezza. Non vedono, non capiscono; li osservano invece i figli, chiusi nella loro cameretta, con l’occhio di una telecamera. Dibattono dei massimi sistemi, senza conoscere né la vita, né il mondo, nemmeno la loro città. Snobisticamente discettano con sarcasmo della loro decadenza, ma, come Tafazzi, si martellano solo per un gioco masochistico, tornando a gigioneggiare appena partono le note di una vecchia canzone e il ricordo dell’incosciente adolescenza, pronti a riadagiarsi nel decadente status quo.

Il film si ispira a “Le prénom”, pièce teatrale di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte che ha trionfato in Francia nella stagione 2010 e alla sua trasposizione cinematografica da parte degli stessi autori, giunta in Italia con il titolo “Cena tra amici”. Ma la sceneggiatura di Francesca Archibugi e Francesco Piccolo (“Il caimano”, “Habemus papam”, “Il capitale umano”) cerca di diversificarsi dall’analogo francese, per una analisi sociologica che va oltre le semplici dinamiche conflittuali fra i protagonisti.

Fin qui tutto bene. Archibugi e Piccolo, come c’era da attendersi, fanno bene il loro lavoro. Scrivono bene, danno ritmo, l’autocritica c’è, lucida e tagliente, la visione è nitida. Gli attori sono bravi (persino Gassman, ma fatta eccezione per l’oggetto misterioso Papaleo) e assecondano bene le esigenze degli autori.

Quello che non piace è l’argomento, l’oggetto di tanto impegno. Non piace vedere l’oligopolio padrone della scena culturale italiana continuare autoreferenzialmente a celebrarsi, raccontando una generazione di dinosauri ormai antistorici, ultrasuperati nell’era della sinistra alla Renzi, pressoché misconosciuti alle nuove generazioni, ma ancora lì, saldamente avvinghiati alla macchina da presa, ancora pervicacemente inchiodati davanti all’obiettivo.

Eppure gli autori, nella loro lucida analisi, hanno chiara la soluzione.

La speranza, lo dice il finale, è nella futura generazione e nella ricerca del suo legame col passato, meglio se entrambi declinati al femminile.

Tutto il resto, tutto quello che c’è in mezzo, lo si ricordi bene, è da buttare.

Voto: 6.5

Nessun Commento »

Puoi lasciare una risposta, oppure fare un trackback dal tuo sito.


Vuoi essere il primo a lasciare un commento per questo articolo? Utilizza il modulo sotto..

Lascia un commento


Heads up! You are attempting to upload an invalid image. If saved, this image will not display with your comment.

*