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GIORGIO ALMIRANTE: QUANDO LA POLITICA E’ STILE

almirante

AG.RF.(di Emma Moriconi).27.06.2014

 “riverflash” – Che differenza c’è tra un leader e un capo? Un leader è l’immagine che sfonda, che “buca”, che attrae intorno a sé l’attenzione della moltitudine. Un “capo” è colui che viene riconosciuto come guida: spirituale, politica, umana, ideale. Un leader lo si percepisce come l’immagine, posta all’esterno, rappresentativa della propria comunità. Un capo “è” la sua comunità, la vive, la respira, da essa è rispettato ed amato. Giorgio Almirante fu un leader, ma fu prima di tutto un capo. Egli riuscì ad essere l’uomo rappresentativo di un’idea, oltre che di una comunità. Lui, che riuscì a guardare al futuro senza mai dimenticare il passato, che riuscì a raccogliere intorno a sé un popolo smarrito e a preparare la strada per farlo uscire da quel ghetto in cui la storia scritta dai “vincitori” lo aveva relegato. Lui, il simbolo del riscatto di una comunità umana ed ideale. Giorgio Almirante riuscì a catalizzare intorno a sé una moltitudine di teste pensanti di quella che nel tempo è stata definita “la destra italiana”. Era riuscito a guardare oltre, e fu capace di operare una sintesi tra ciò che era stato e ciò che sarebbe stato. Lo fece con intelligenza, comprendendo prima e meglio di altri quale linguaggio quell’Italia reduce da un conflitto di proporzioni mondiali avrebbe potuto comprendere. Oggi la realtà politica e sociale è immensamente differente da allora. Quell’epoca era ancora lontana dalla tecnologia e dai mezzi di comunicazione che oggi agevolano non poco la diffusione delle idee, e quel popolo, quello che aveva scelto di raccogliere l’eredità ideale di un Ventennio ricco di eventi e di pensiero, era relegato in un angolo. Il clima era ancora caldissimo, basti pensare a quanto sia ancora oggi in balia dell’ideologia degli opposti per immaginare, forse lontanamente, quale atmosfera si potesse vivere in quel tempo. La storia, si sa, la scrivono i vincitori. Cosa abbiano vinto, poi, ci sarebbe da chiedersi? Ma è un ragionamento che esula dall’argomento odierno. Ciò che fece Almirante fu epocale, perché quest’uomo riuscì in due battaglie: la prima, raccogliere intorno alla sua figura e al suo pensiero, moderno, innovativo, coraggioso, le tante “teste” che componevano il nostro mondo a quei tempi. La seconda: quella di farsi rispettare non solo dentro, ma anche fuori di esso. Lo fece con la signorilità e l’eleganza che ha sempre contraddistinto la sua figura. Lo fece, tra l’altro, andando a portare il suo saluto al feretro di Enrico Berlinguer. Un fatto senza precedenti, che è rimasto nella storia e che ha dimostrato che un’epoca doveva chiudersi, e doveva aprirsene un’altra. Un messaggio che fu recepito come un passo in avanti, nella ricomposizione di quell’unità nazionale che, purtroppo, ancora non si è del tutto concretizzata. Per realizzarla fino in fondo ci vuole maturità, una maturità che non sia dei singoli ma del popolo come entità. L’Italia non è il solo Paese al mondo ad aver vissuto una guerra civile, che è la peggiore sciagura che una generazione possa vivere. Una sciagura che quella generazione tramanda alle successive. In Spagna i morti riposano, tutti insieme, in un sacrario: è un esempio di civiltà e di maturità. Che passa, necessariamente, per l’assunzione di determinate responsabilità, senza dubbio. Che passa anche, bisogna dirlo, per un riequilibrio necessario delle sorti dell’una e dell’altra parte. Dunque da un’affermazione di verità taciute, nascoste per troppo tempo, che devono trovare condivisione ed accettazione reciproca. È la strada che Almirante ha tracciato, con coraggio e con stile, precorrendo i tempi e le persone, precorrendo prima di tutto le idee. E questo è un omaggio ad un grande leader, a 34 anni dalla sua scomparsa…..

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