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“FACCIAMO COUNSELING!”: dall’acquistare alla dipendenza dagli acquisti e come uscirne

acquisti uomo imagesdi Manuela F. Di Forti  AG.RF 19.09.2016 (riverflash)

L’acquistare beni e prodotti  è una pratica normale del vivere comune; lo  shopping, poi,  per la maggior parte delle persone, rappresenta un modo per regalarsi un momento di gratificazione che può  aiutare a risollevare il morale e ad alleviare le tensioni; è considerato un innocuo atto di compensazione, un’abitudine diffusa, quotidiana, socialmente accettabile e ben lontana dall’apparire un sintomo clinico d’allarme.

Soprattutto negli ultimi anni, però, è emerso il fenomeno che i  consumatori non comprano più semplicemente per motivi legati al possesso di beni o ad una blanda gratificazione ed è ormai evidente che esiste una forma di comportamento disfunzionale nell’ acquistare.

L’esperienza gratificante del fare acquisti, dunque, può  innescare, in soggetti vulnerabili per disturbi di varia natura, la sindrome del cosiddetto “shopping compulsivo” che palesa una sofferenza psichica anche grave.

Il fenomeno dell’acquistare diviene, così,  patologia della dipendenza, seguendo il classico schema rigido e persistente del ripetere “compulsivamente” un comportamento, nell’impossibilità di fermarsi, e nonostante le conseguenze negative che si determinano.

La scelta di adottare in questa sede l’espressione “dipendenza dagli acquisti” in un panorama così ricco di termini e significati atti a descrivere il processo alla base dell’impulso irrefrenabile a comprare beni di vario tipo, è quella di rispettare un purismo linguistico, che tuttavia dovrà tener conto dell’evoluzione di termini e significati.

Andremo ora esaminando questa trasformazione e scelta della terminologia tramite  i vari autori, considerando che già dall’inizio del XX secolo si parla di un disagio inerente la pratica dell’acquisto; nel 1915  Krapelin la descrive come un impulso patologico a comprare, come la “mania di comprare” o “oniomania” (dal greco oniomai, comprare), e Bleuler nel 1924, lo include tra gli “impulsi reattivi”.

Una volta, poi, che il comportamento ha preso piede, l’individuo potrebbe avere grandi difficoltà a controllarlo, pur riconoscendone gli effetti dannosi.

Ulteriori studi e ricerche compaiono in Canada con D’Astous, Maltais, e Roberge nel 1990 in Germania  Scherhorn, definisce lo shopping compulsivo come una “abitudine patologica”.

Pani e Biolcati evidenziano   che questo comportamento nel 1985 è definito da Winesteine compulsive shopping (shopping compulsivo); nel 1987 da Faber, O’Guinn e Krych compulsive consumption (consumare compulsivamente) nel senso di consunzione, quindi con un’accezione distruttiva,  riferendosi ad un tipo inappropriato di comportamento di consumo, eccessivo in se stesso, e disturbante per la persona che lo mette in atto.

Nel 1989 O’Guinn  e Faber prima e poi Christenson e McElroy nel 1994, in accordo con altri autori,  definiscono il disturbo  compulsive buying (il comprare compulsivo) , sottolineando il senso di coercizione che accompagna l’impulso all’acquisto, ma anche la funzione auto-curativa che tale attività viene ad assumere per il soggetto; per gli autori canadesi, infatti, lo shopping compulsivo può essere visto come un tentativo di ridurre la tensione emotiva vissuta in situazioni di stress o ansia.

Scherhorn, Reish e Raab nel 1990 e Elliot nel 1994 utilizzano la definizione addictive buying  (il vizio patologico di comprare).

King nel 1981  definisce la dipendenza dagli acquisti una addiction, un’abitudine patologica collegata all’uso di sostanze che creano dipendenza; come tale, spiega l’autore, questa è caratterizzata dal desiderio ossessivo, dalla compulsione a consumare, dalla dipendenza personale dall’attività con conseguente perdita di controllo sul comportamento, e dalla  tendenza ad aumentare il consumo di un certo prodotto.

Si tratta di sintomi comuni ad altre forme di dipendenza, come la tossicomania, l’alcolismo e la bulimia.

Associati a tali sintomi ve ne sono altri specifici, quali la negazione del comportamento , almeno iniziale, fallimenti ripetuti nel controllare e modificare l’attività e considerevoli conseguenze emotive quando l’azione non è attuabile.

In tal senso lo shopping compulsivo è considerato una forma di dipendenza che può essere sostituita da altre dipendenze o alternarsi ad esse (cross dipendenza).

Dennis Rook, sulla stessa linea di Goldenson parla di buying impulse (impulso a comprare), intendendo un tipo di comportamento determinato da “una forte, a volte irresistibile spinta, una subitanea tendenza ad agire senza riflessione che, una volta scatenata, diviene incoercibile”. Questa definizione chiarisce il fenomeno della perdita di controllo del comportamento , che causa gravi problematiche psicosociali.

L’autore approfondisce il concetto descrivendo il buying impulse  come un  comportamento determinato da un impulso urgente e persistente a comprare qualcosa nel “qui e ora”; questo impulso è emozionalmente complesso e da vita ad un conflitto emotivo disturbante per la persona che lo mette in atto; genera infatti  gravi sensi di colpa sia per via  delle conseguenze che comporta lo  spendere compulsivamente e sia perché questo è vissuto come un cattivo comportamento.

Nonostante tutte queste denominazioni differenti, addictive e compulsive hanno in comune il senso della perdita di controllo sul comportamento e possono essere utilizzate per descrivere lo stesso fenomeno.

Possiamo dire, dunque, che  la dipendenza dagli acquisti è ritenuta unanimemente un impulso irresistibile a comprare che, seppur riconosciuto deleterio da chi lo mette in atto, per via di questa perdita del controllo sul comportamento è mantenuto, nonostante le gravi conseguenze personali e gli innumerevoli tentativi fallimentari di controllarlo e porvi fine.

Verrà ancora definita come una perdita cronica del controllo degli impulsi che evolve in un pattern ripetitivo, determinando conseguenze talvolta gravi sia per chi mette in atto il comportamento che per le persone a lui legate. Si tratta di qualcosa che va ben oltre il semplice impulso a comprare.

McElroy  nel 1994 descrive venti casi di soggetti dipendenti dagli acquisti e  propone i seguenti criteri diagnostici per distinguere coloro che praticano lo shopping come una normale attività, da coloro per cui questo assume caratteristiche patologiche:

a)      La preoccupazione, l’impulso o il comportamento del comprare non adattivi come indicato da uno dei seguenti elementi:

1)      frequente preoccupazione o impulso a comprare, esperiti come irresistibili, intrusivi o insensati;

2)      comprare frequentemente al di sopra delle proprie possibilità, spesso oggetti inutili ( o di cui non si ha bisogno), per un periodo di tempo più lungo di quello stabilito.

b)      La preoccupazione, l’impulso o l’atto del comprare causano stress marcato, fanno consumare tempo, interferiscono significativamente con il funzionamento sociale e lavorativo o determinano problemi finanziari (indebitamento o bancarotta).

c)      Il comprare in maniera eccessiva non si presenta esclusivamente durante i periodi di mania o ipomania.

Effetti sulla persona

Gli effetti dei sintomi della dipendenza dall’acquisto sulle persone affette da questa patologia , anche in questo caso, come nelle altre dipendenze esaminate, sono inerenti i criteri diagnostici proposti per distinguere coloro che praticano lo shopping come una normale attività, da coloro per cui questo assume caratteristiche patologiche, e sono la manifestazioni dei sintomi stessi.

Sia che lo spendere compulsivamente, ormai universalmente riconosciuto come dipendenza, sia considerato anche un disturbo ossessivo compulsivo,  una strategia per alleviare la depressione o un disturbo del controllo degli impulsi, questo è molto penalizzante  per la persona.

L’individuo che entra nell’iter della “coazione a ripetere” dello spendere compulsivo inizialmente può non considerare  il comportamento come un problema, ma al contrario  viverlo come un sollievo immediato dall’ ansia e dallo stress emotivo e come fonte di gratificazione personale.

Proprio quest’apparente ricompensa iniziale rinforza il comportamento, mentre si innescano i  processi ripetitivi della compulsione.

Dal canto suo la compulsione è la spinta, anche biologica, e la tendenza irrazionale che obbliga l’individuo a mettere in atto comportamenti di cui egli stesso riconosce  l’inadeguatezza o la pericolosità; ma tuttavia  la mancata esecuzione di questi comportamenti provocano nella persona una sensazione d’angoscia; questo perché le azioni compulsive, caratterizzate dal fatto che la coazione prevale sull’intenzione, risultano egodistoniche,  cioè non  in armonia con i veri bisogni dell’io; creano inoltre stress, sensi di colpa e conseguenze negative di vario genere e gravità.

L’impulso a comprare, dunque,  è spesso accompagnato da intensi e contraddittori stati emotivi; non appena il comportamento diviene più frequente, infatti,  sentimenti di grandiosità possono illudere l’individuo ad immaginarsi immune dagli effetti negativi dell’attività compulsiva; questa negazione talvolta prende piede anche di fronte all’evidenza della potenziale pericolosità del comportamento.

La presa di coscienza del problema, invece sopraggiunge successivamente, generalmente,  parecchio dopo l’insorgere del problema.

La consapevolezza della gravità del disagio, quando  si manifesta, è  graduale e a fronte di una serie di conseguenze destabilizzanti per la persona: i debiti intercorsi, l’ impossibilità a pagarli, il  feedback delle conoscenze e dei familiari che ne sono a conoscenza, l’impossibilità di fronteggiare problemi legali eventualmente occorsi, o il senso di colpa per  l’eccessiva quantità di tempo utilizzata per lo shopping e semplicemente l’incapacità materiale di indossare tutto ciò che si è comprato.

Solo allora il soggetto può cominciare a considerare il suo agire come un’inesorabile  perdita di controllo del comportamento; il comportamento continua, in  contrasto con gli  infruttuosi tentativi di fermarlo o diminuirlo e ciò crea ulteriore ansia e frustrazione, realizzando, così,  un circolo vizioso.

I tentativi di opporsi a tale comportamento compulsivo irrefrenabile, come specificato, vengono descritti spesso come fallimentari; circa il 74% delle volte in cui i soggetti sperimentano l’impulso a comprare, esso ha come conseguenza un acquisto.

Una grossa percentuale di articoli acquistati durante gli episodi di shopping , come si diceva, viene usata solo in minima parte; alcuni acquisti vengono nascosti nell’armadio, altri rimangono chiusi in pacchetti che non verranno mai aperti, altri ancora regalati o accumulati inutilmente, se non gettati poiché superflui; si tratta spesso di articoli già posseduti o comprati seppur non incontrino il proprio gusto o non siano adatti.

Ci sono, poi, individui che tendono a comprare esclusivamente secondo altri parametri: poiché si tratta di un “affare vantaggioso” o di “un prodotto in liquidazione” che si rischia di non trovare più; altri che comprano soltanto nelle boutique più prestigiose della città e altri ancora che comprano nei grandi magazzini, e il tutto generalmente si protrae fino all’indebitamento.

La fantasia e l’immaginazione pare siano fattori importanti nel rinforzare comportamenti compulsivi poiché permettono, all’individuo che li mette in atto, di anticipare conseguenze positive della propria attività.

La fantasia permette ai compulsive shoppers di evitare il vero problema, di rifuggire sentimenti dolorosi attraverso fantasie di successi personali e di approvazione sociale.

Una vivida immaginazione può permettere, dunque, l’illusione  di evadere dalla realtà durante il comportamento e di tenere separate, più facilmente, l’attività dalle sue conseguenze negative.

Questo potrebbe spiegare ciò che Salzman, nel 1981, chiama grandiosità, cioè la sensazione di essere immune da eventuali conseguenze.

In contrasto con questi tratti illusoriamente piacevoli che accompagnano l’attività del comprare, ve ne sono altri  spiacevoli e distruttivi.

Certi individui sostengono di sentirsi strani, talvolta disperati; altri inquieti e nervosi, altri ancora, come analizzato precedentemente,  vivono profondi sensi di colpa per la mancanza di autocontrollo sul comportamento e si sentono soli ed inadeguati.

Gerard Scherhorn descrive l’esperienza “addictive” non come piacevole nella normale accezione del termine (il fumatore incallito, ad esempio,  trae piacere solo dal primo tiro della prima sigaretta); secondo l’autore, come abbiamo visto, la vera motivazione che spinge a tale comportamento riguarda il tentativo di evitare altri sentimenti e stimoli disturbanti, ad esempio la bassa autostima.

Come per tutte le persone dipendenti, come quelle affette da dipendenza da sostanze stupefacenti e alcol, la vita può divenire un sentiero costellato da abitudini patologiche come fumare, bere alcolici, mangiare compulsivamente, spendere in maniera incontrollata, dipendere da persone e comunque vivere situazioni degradanti, o pericolose.

Tale percorso, in mancanza di alternative, finisce per garantire certezze proprio nella ripetitività della dipendenza stessa, cioè nel circolo vizioso che, per quanto sconveniente, doloroso e a dir poco disagevole, pare alla persona preferibile piuttosto che muoversi nel terreno psicologico del vuoto e dell’incerto.

Come per l’uso di droghe, il comprare funziona da stimolante che fronteggia la difficoltà  del vivere; si tratta di una droga lecita e universale.

Tutti gli autori, comunque, concordano nel ritenere che, una volta conclusa l’attività dello spendere, sono i sentimenti negativi ad avere la meglio;  la depressione e il senso di colpa, misto a vergogna, emergono violentemente a sconvolgere la vita del dipendente, anche quando gli armadi sono pieni, il vuoto metaforicamente rimane.

 Effetti nel sociale

C’è una ricerca  che riguarda l’età media d’insorgenza stimata e questa risulta essere di 17.5 anni.

In una relazione tra dipendenza e devianza si può pensare a quegli adolescenti nei quali il rapporto con il denaro non è più di dipendenza positiva, ma diviene negativo; il passaggio, più o meno rapido e percettibile dalla dipendenza positiva dal denaro, usato per acquistare qualcosa a cui tengono , o di cui hanno bisogno, a quella negativa, può essere esemplificato in questo modo schematico: decidono di spendere parte dei loro soldi per andare più o meno spesso in locali di ritrovo come pizzerie o pub; lì imparano a bere alcolici e a gareggiare nel farlo, per dimostrare a se stessi e agli altri di essere capaci di “reggerli”; una volta diventati bevitori o nella peggiore delle ipotesi, alcolisti, hanno bisogno dei soldi, di sempre più soldi per bere, e il denaro, dunque,  può divenire il bisogno di spenderlo in maniera coatta.

La presa di coscienza del problema, generalmente, sopraggiunge solo dopo alcuni anni , circa un decennio dopo l’inizio della manifestazione del disagio. La consapevolezza  della gravità del problema si verifica, dunque, secondariamente e in conseguenza di una serie di fenomeni; spesso la persona si rende conto della gravità del problema a causa dei debiti sopraggiunti e dell’impossibilità di pagarli, a seguito del feedback delle conoscenze, per l’impossibilità a fronteggiare problemi legali eventualmente capitati, per il senso di colpa, o per molte altre ragioni, come ad esempio  l’eccessiva quantità di tempo impiegata a fare shopping o, semplicemente, l’impossibilità  materiale di indossare tutto ciò che si è comprato (basta pensare che molta merce acquistata che resta nell’armadio dello shopper per mesi, ancora col cartellino attaccato, o che viene addirittura dimenticata).

Tutte queste teorie, ad ogni modo, rimandano  ad un senso di vuoto presente nella vita delle persone che vivono questo disagio, che esse tendono a colmare, attuando un comportamento compensatorio; cercando fuori di sè l’appoggio ed il sostegno che non sono in grado di trovare dentro se stesse.

Esaminando gli effetti nel sociale, e considerando l’età media di insorgenza del fenomeno, un’operazione necessaria per inquadrare questo aspetto dell’età adolescenziale sembrerebbe quella di chiamare in causa l’attuale contesto socio-economico-culturale che renderebbe anche e soprattutto gli adolescenti a rischio di dipendenza da shopping.

Nella misura in cui lo sviluppo personale è influenzato dall’apprendimento, non si possono trascurare le circostanze di rinforzo positivo prodotte da un società consumistica, competitiva, e basata soprattutto sulle apparenze.

Si può considerarlo  un fattore esterno in grado di agevolare, o meglio, di favorire l’impulso a comprare smodatamente.

Secondo alcuni autori il fare acquisti, dunque,  è sì un comportamento sollecitato ed incoraggiato da un contesto socio-economico che nel mondo occidentale ha modificato e continua a modificare il comportamento dell’individuo consumatore (si pensi agli acquisti online accessibile ad un pubblico sempre più vasto), ma è anche in relazione alla personalità dell’adolescente e al suo sviluppo affettivo , cognitivo e relazionale.

In un contesto socio economico-economico-culturale che rende vulnerabili alla dipendenza da shopping soprattutto i soggetti in età evolutiva, sarebbe possibile definire a rischio ogni adolescente che negli acquisti trovi una fonte di gratificazione personale o un sollievo immediato da ansia e da stress emotivo tanto da restarne intrappolato.

Questa definizione, comunque sa più di moralismo fuori tempo e fuori luogo che non di studio di un fenomeno  contestualizzato nella realtà del presente.

Di fatto, sempre secondo gli autori, l’attività del comprare non solo è gratificante per tutti, ma è anche un modo di intensificare ed esaltare gli stati positivi di percezione di sé e del mondo, nonché,come abbiamo visto, di ridurre gli stati affettivi-emotivi percepiti negativamente.

Sia per gli adolescenti che per gli adulti, comunque, i mezzi di comunicazione di massa forniscono una molteplicità di modelli comportamentali “vincenti” in cui identificarsi, per non rischiare di essere classificato “perdente”;  si desidera non tanto la stima, quanto l’ammirazione, la fama e l’eccitazione della celebrità; il tipo di celebrità da rincorre è evanescente come la moda stessa.

Senza voler banalizzare il fenomeno tuttavia è doveroso considerare che il successo, poi,  dipende in maniera determinante da fattori molto fuggevoli quali la giovinezza, il fascino e ciò rende molto ansiose le persone che in questi aspetti investono il senso della loro esistenza.

La vita quotidiana è mediata a tal punto da una proliferazione e da un consumo di immagini che l’individuo, inconsapevolmente e, prevalentemente attraverso l’abbigliamento, ha appreso a presentarsi agli altri come se la sua immagine avesse un ruolo attivo nell’attuale “società dello spettacolo”.

Secondo Pani e Biolcati  questa società crea un bombardamento di stimoli di cui siamo paradossalmente sempre più schiavi, nonostante la “democratizzazione” dell’ultimo secolo.

La totalità della mente, secondo gli autori, viene spezzettata in idee e mode particolari, in simbolismi caricaturali ipnotici e alienati che si presentano alla nostra coscienza come delle “rivelazioni” formidabili e travolgenti, da cui veniamo suggestionati; Il sé, in questo modo, risulta consistere essenzialmente della propria immagine riflessa negli occhi degli altri e l’aspetto esteriore assume la funzione di un test quotidiano di abilità; per essere “comprato” e “venduto”, al pari della merce, egli ha bisogno di un involucro, di una confezione di lusso, di un’immagine accattivante .

Forse lo shopping compulsivo è uno dei tanti prodotti di questa società;

I classici sintomi della dipendenza dagli acquisti sono stati ampliamente analizzati nella descrizione della dipendenza dagli acquisti in generale; è interessante ora considerare quello che l’associazione Debitori Anonimi propone riguardo il “sotto guadagnare” e il “privarsi”, che si possono considerare l’altra faccia della medaglia dello spendere compulsivamente, e come “guarire” da essi e diventare “solvibili”.

il link dell’Associazione è: http://www.debitorianonimi.org/

Debitori Anonimi  dal programma dei 12 Passi per propria definizione è un’associazione di uomini e donne che condividono la loro esperienza, forza e speranza gli uni con gli altri al fine di risolvere il loro comune problema e aiutare gli altri a recuperarsi dall’indebitamento compulsivo, dal sottoguadagno, dall’autoprivazione e dagli acquisti compulsivi.

Il solo requisito per fare parte di D.A. è il desiderio di smettere di contrarre debiti non garantiti, di sottoguadagnare, di autoprivarsi e di fare shopping compulsivo.

Non ci sono quote o tasse da pagare. La partecipazione al gruppo è completamente gratuita, e l’anonimato è alla base delle tradizioni dell’associazione. Debitori Anonimi non è affiliata ad alcuna setta, denominazione, partito politico, organizzazione o istituzione; non intende essere coinvolta in alcuna controversia e non appoggia né si oppone ad alcuna causa. Lo scopo primario è di smettere di indebitarsi, un giorno alla volta, e di aiutare gli altri debitori compulsivi a fare altrettanto.

L’associazione Debitori Anonimi oltre alla classica figura dello “shopper compulsivo” e del “debitore”, descrive, inoltre, la figura del “sotto guadagnatore compulsivo”.

Sotto guadagnare, per i D.A., significa non generare abbastanza entrate per prendersi cura dei propri bisogni senza indebitarsi.

Il sotto guadagno deve essere preso in considerazione, se si vuole recuperarsi dal disastro dell’indebitamento e vivere una vita nella prosperità e libera da crisi finanziarie. Molti dipendenti sanno già di essere “sotto guadagnatori”. Questi vengono descritti come persone che possono aver lavorato per anni a lavori senza sbocchi, che non assicurano il necessario sostegno economico e odiandoli profondamente; che possono aver disprezzato i propri lavori, averli sabotati e/o essere stati licenziati; che possono aver avuto lavori gratificanti ma che semplicemente non pagano abbastanza, ostinandosi a credere che il denaro non importa; spesso odiano dover lavorare e basta. Possono aver svolto continuamente o svolgere lavori al di sotto delle proprie competenze o del proprio titolo di studio. Alcuni invece, non sono consapevoli di essere sotto guadagnatori finché smettono di indebitarsi, tramite il Programma dei 12 Passi. Non importa quanto tagliano le loro spese: le entrate semplicemente sono insufficienti a coprire i bisogni. Alcuni pensano di dover continuare a contrarre nuovi debiti finché non siano capaci di incrementare i propri guadagni.

In Debitori Anonimi, scoprono che era vero il contrario: non si sarebbero mai recuperati dal “sotto guadagno compulsivo” finché non avessero smesso di indebitarsi.; sotto guadagnare mette a rischio di indebitamento; se le entrate non sono sufficienti a soddisfare i bisogni essenziali, sono destinati presto o tardi ad incorrere in debiti non garantiti; possono solo posporre i propri bisogni per un po’, finché non decidono che spendere compulsivamente “lo devono a se stessi”. Per di più, quando arriva una crisi finanziaria e non si hanno riserve economiche, potrebbero essere tentati di usare la carta di credito o chiedere ad un amico, ad un familiare o alla banca “soltanto un altro” prestito.
Il “primo passo” dei D.A. è:

Abbiamo ammesso la nostra impotenza di fronte all’indebitamento compulsivo e che le nostre vite erano diventate incontrollabili”.
 

I “Doni” di Debitori Anonimi

Per concludere sono bellissime, a mio avviso, le 12 Promesse di questa fratellanza, chiamati anche i “Doni di Debitori Anonimi”, di seguito indicati.

“Nel programma di Debitori Anonimi, ci riuniamo per condividere la nostra esperienza, forza e speranza di poterci recuperare dalla malattia dell’indebitamento compulsivo. Quando seguiamo i passi e usiamo gli strumenti di DA, cominciamo a ricevere i doni del programma:

1) Dove una volta provavamo disperazione, cominceremo a provare una nuova speranza.

2) La vaghezza sarà sostituita dalla chiarezza; intuitivamente sapremo come gestire le situazioni che prima ci sconvolgevano.

3) Vivremo nei limiti dei nostri mezzi economici, ma non saranno questi a definirci.

4) Inizieremo a vivere una vita di prosperità, liberata dalla paura, dal risentimento e dai debiti.

5) Apprezzeremo noi stessi e il nostro contributo alla vita: noi saremo abbastanza.

6) L’isolamento lascerà il posto alla comunione dei sentimenti, la fede rimpiazzerà la paura.

7) Ce ne sarà abbastanza; le nostre risorse saranno abbondanti e le condivideremo.

8) Smetteremo di paragonarci agli altri; la gelosia e l’invidia scompariranno.

9) L’accettazione e la gratitudine sostituiranno il rimpianto, l’autocommiserazione e la nostalgia.

10) Non avremo più paura della verità; passeremo dal nasconderci dietro la negazione al vivere nella realtà.

11) L’onestà guiderà le nostre azioni verso una vita ricca e piena con un senso e una meta.

12) Riconosceremo un potere più grande di noi come fonte della nostra abbondanza; scopriremo che questo potere farà per noi quello che non avremmo potuto fare da soli.

Vi sembrano promesse stravaganti? Noi crediamo di no: rientrano tutte nelle nostre possibilità. Se lavoreremo questo programma con integrità e al meglio delle nostre capacità, un giorno alla volta, una vita di prosperità e serenità sarà nostra.”

Un buon Counselor , a mio avviso, se riscontra i sintomi sopra ampliamente descritti, può  proporti questi incontri di gruppo.

Al prossimo argomento.

Manuela F. Di Forti

Educatore professionale  (Laurea Scienze della Formazione) – Counselor motivazionale (Università Popolare Homo & Natura)- Operatore olistico (Diploma Reiki II livello).
Riceve a Roma (Rm)  e Tortoreto Lido(Te)
Tel.: +39 3401694352
E mail: manuelafrancesca20@yahoo.it

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