Di Marco Sarli AG.RF . 09.11.2016 (ore 13:30) River Flash – Se qualcuno, non più tardi di cinque anni orsono, mi avesse detto che la Gran Bretagna, l’unico paese membro del Club di Bruxelles a pagare un biglietto di iscrizione molto, ma molto modesto, con una quantità di opting out quasi superiore alle norme conformi ai Trattati, avrebbe deciso a maggioranza di uscire dall’Unione europea, che in pole position per le presidenziali francesi ci sarebbe stata Marine Le Pen, degna rampolla del razzista e truculento Jean Marie, o che nella civilissima Germania un movimento di estrema destra come la AFD si sarebbe dimostrata così radicata nei consensi da poter aspirare a scalzare dal potere una sempre più logora Frau Merkel.
Vado a capo per non stancare il lettore con periodi troppo lunghi, ma sono molti gli esempi di cose cui non avrei creduto, come l’entusiastico via libera di Bruxelles all’adesione di Stati fino a pochi decenni prima comunisti, come la Polonia, l’Ungheria, la Romania, la Bulgaria e chi più ne ha ne metta, parvenu della sofisticata costruzione europea che ora vogliono erigere muri fisici o metaforici contro i milioni di profughi e migranti economici che sono giunti in Italia o in Grecia in fuga da guerre mostruose, fame e carestie davvero micidiali o, più semplicemente alla ricerca più dignitosa per se e per i propri figli.
Mi sono limitato ad un breve elenco dei “ma non ci posso credere” se non qualche espressione più colorita che avrei indirizzato al mio ipotetico interlocutore, perché, a solo titolo di esempio, ancora che mi brucia che una ignava e inetta Corte Suprema austriaca abbia disposto un secondo ballottaggio tra un galantuomo leader dei verdi e alfiere di tutto lo schieramento politico tradizionale dovrà vedersela con l’esponente del partito della ultradestra a suo tempo fondato dallo scomparso Jorge Haider e mi fermo qui a proposito dell’evoluzione delle cose politiche del Vecchio Continente perché il mio stomaco e il mio sistema nervoso non reggerebbero altro!
Ma dirò di più: se qualcuno, solo cinque giorni fa, mi avesse detto che, a metà della notte elettorale statunitense per le presidenziali, il rinnovo della Camera dei Rappresentanti e per un terzo dei membri del Senato, l’alquanto rozzo, maschilista e sciovinista per puro opportunismo, Donald Trump, avrebbe visto la vittoria su Billary Clinton a portata di mano, l’avrei accompagnato gentilmente ma fermamente alla porta, in quanto quella sorta di Giano Bifronte che è il risultato dell’unione di Hillary Rodham Clinton con per il due volte ex presidente e alquanto infedele marito, Bill, sembrava nella corsa delle presidenziali che avrebbe concesso verosimilmente alla coppia il diritto di risiedere alla Casa Bianca per la bellezza di sedici anni sembrava proprio un calcio di rigore tirato a porta del tutto vuota.
Come diceva Tina Pica, l’indimenticata attrice caratterista del cinema italiano del dopoguerra: “la genta è fetenta” e noi assistiamo, al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico, in una trasformazione radicale nella classe media e in quella lavoratrice inquadrata ai livelli più bassi, due pilastri della società che sono stati fatti letteralmente a pezzi dalla globalizzazione con relativi transalpini di aziende e dalle tre successive ondate della Tempesta Perfetta che ha fatto perdere a molti di loro la casa o il lavoro, ma in non pochi casi entrambi, una condizione che ha indotto nella maggior parte di questi occupati a stelle e strisce paura, scarsa fiducia nel futuro e odio degli effetti della competizione internazionale.
Ed è proprio su questi sentimenti che ha fatto leva con molta abilità ed un alto grado di spregiudicatezza un per molti versi impresentabile Trump, un uomo che si è vantato di non essere mai stato un uomo politico e che ha detto a questi cittadini spaventati e disorientati che avrebbe fermato gli stranieri, avrebbe imposto dazi altissimi sui prodotti delle aziende statunitensi fuggite all’estero, vantandosi al contempo di non avere il sostegno delle banche, delle compagnie di assicurazione, né di quelle multinazionali che tengono in parcheggio svariate centinaia di miliardi di dollari che lui ha promesso farà tornare in patria, così come ha promesso che cancellerà l’Obamacare e farà una riforma delle tasse che, in buona sostanza, è riservata ai Super ricchi.
D’altra parte, l’onda lunga della tempesta perfetta si è vista anche sugli effetti positivi degli otto anni di amministrazione Obama che ha trovato il tasso di disoccupazione ad oltre il 12 per cento e lo ha portato al 4,9 anche se il problema è fatto dalla diversa qualità dei osti di lavoro precedenti al 2007, normalmente stabile ben retribuiti, e quelli di questi ultimi anni, precari e spesso retribuiti al salario minimo.
Fonte: http://diariodellacrisi.blogspot.it
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