di Simona Boenzi (AG.RF 07.11.2018) ore 18:11
(riverflash) – “Si poteva salvare Stefano Cucchi? È una domanda a cui posso dare una risposta «tecnica». Secondo me sì se nelle condizioni psicologiche in cui si trovava i sanitari non avessero ascoltato le sue volontà. Se, a quanto finora è emerso, è vero che il ragazzo rifiutava le cure, avrebbero dovuto sottoporlo a un trattamento obbligatorio. Purtroppo Stefano era in condizioni critiche. Qualsiasi sostanza possa aver assunto, senza ombra alcuna di dubbio, durante la notte è andato incontro ad una crisi di astinenza, condizione fisico/mentale che altera le capacità decisionali. Ma io non posso andare oltre poiché non conosco la gravità delle ferite riportate con cui è entrato in ospedale “. A dirlo è lo psicologo comportamentale, esperto anche in dipendenze, Mordeca Marraudino, 30 anni di Faenza. “Ho provato un senso di profonda sconfitta quando ho appreso la notizia della morte di questo ragazzo – prosegue il terapeuta – soprattutto c’è ancora scarsa conoscenza in materia di dipendenze da sostanze tossiche. La tossicodipendenza è una malattia e come tale si può curare, o meglio, il primo passo è la presa d’atto dell’individuo che è quello di avere un problema, ma la soluzione, tantomeno la responsabilità, non è al di fuori – famiglia, società – società – istituzioni, come spesso leggo anche qui sui social, la responsabilità della nostra malattia è dentro noi stessi, ne dobbiamo essere consapevoli, ma proprio perché il tossicodipendente è un malato, ha il sacrosanto diritto di essere trattato con cure adeguate, non lasciato morire fra le coperte di un freddo letto d’ospedale, da solo”.
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