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La mia prima recensione SF: Le Stelle Aspetteranno – di Keith Laumer

U1225

copertina Urania 1225

di Ylenia Costa – AG. RF 28.04.2016 – 12.10

(Riverflash) Di recente sto leggendo vecchi Urania passati di mano in famiglia. Sì, a casa ne girano tuttora parecchi, almeno due membri della mia famiglia ne erano appassionati e li collezionavano. Ho ancora dei bei ricordi di quelle letture, uno in particolare su una storia fantascientifica molto divertente e “soft”, malgrado lo scenario… da incubo, è il caso di dirlo in senso stretto, ma di cui non ricordo il titolo. Magari, quando lo riavrò fra le mani, ne parlerò qui più diffusamente perché ne vale senz’altro la pena. Ma veniamo al romanzo che ho letto in questi giorni: *Le stelle attenderanno*, di Keith Laumer (Urania Mondadori n° 1225/1994).  Frutto della creatività di un famoso autore americano di fantascienza, questo libro è stato per me, in pari grado, una sorpresa e un trauma. La penna di Laumer, intinta nell’acido muriatico, tratteggia lo scenario allucinante di una Terra abbandonata a se stessa, la cui unica speranza è riposta nel coraggio e nelle capacità di un astronauta della NASA. Solo costui, generoso e sapiente, può fare la differenza fra un futuro dignitoso e l’estinzione della specie umana. In realtà, bisogna dire che il personaggio ha le solite tinte da western americano, sembra quasi di vederlo caracollare con un cappellaccio da cowboy e le gambe ad arco di John Wayne su e giù per le colline californiane, in cerca di un barlume di buonsenso planetario che, ovviamente, è rimasto soltanto a lui… Ma andiamo con ordine.

 La sinossi:

   Da una base top secret, la NASA sta per lanciare un volo di colonizzazione verso Callisto, una delle lune di Giove. Per effettuare gli ultimi test di metastasis, il sonno profondo in cui gli astronauti si troveranno durante i nove anni di viaggio verso la meta, viene chiamato fra gli altri Whiz Jackson, uno dei quattro comandanti l’equipaggio di riserva. Egli arriva alla base e si prepara al test, ignaro di quanto sta avvenendo fuori: a causa di un qualche tipo di guerra, infatti, l’Air Force One è stato appena abbattuto, decapitando i vertici del potere americano. Jackson, da bravo militare, affronta il test sapendo che, se qualcosa andasse storto con l’equipaggio principale, potrebbe subire una stasi ben più lunga di ventiquattr’ore. In tal caso, lascerebbe per sempre sua moglie e il piccolo Tommy… Ma, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe non svegliarsi affatto. Tutto questo viene illustrato al lettore mediante l’escamotage di un’intervista che il comandante Jackson rilascia prima della missione.

   Però il lancio programmato del Prometheus, l’astronave terrestre carica di genoma che dovrebbe dare all’umanità un’altra chance di sopravvivenza, non procede come previsto. Il risveglio di Jackson è traumatico, come se avesse dormito per mesi; teme di essere arrivato su Callisto insieme con l’equipaggio di riserva ma l’indicatore di gravità gli rivela che si trova ancora sulla Terra. Esce dal suo cassone mediante il comando di emergenza e subito si rende conto che nella base c’è un’atmosfera inquietante: nessuno sovrintende al suo risveglio, nessun ufficiale lo ragguaglia. Poi scopre segni di manomissione degli ambienti più inviolabili, inciampando in vecchi scheletri di guardie armate, sparsi in giro per la base. Capisce che è rimasto da solo, sono tutti morti, salvo forse i quattro colleghi della squadra principale ancora in stasi, e i tre colleghi della riserva, che mancano dai loro cassoni. Sempre più impressionato, si chiede se abbia dormito durante lo svolgimento di una terribile guerra planetaria o nella ricaduta venefica di uno scenario nucleare.

   Quando esce all’esterno, impatta contro uno dei “cani da guardia” della base, un gigantesco robot armato, il Bolo Mark III. Non è il più agguerrito della serie ma mette a rischio la sua sopravvivenza perché lui ha dimenticato la piastrina identificativa all’interno dell’edificio. Nel frattempo, sembra che il frastuono provocato dal Bolo a caccia di lui abbia attirato molta gente fuori delle recinzioni, una folla di tizi in divisa verde, armati di tutto punto, che ispira poca fiducia al comandante. Nel tentativo di evitarli, Jackson scappa nelle campagne, in direzione della sua abitazione… che è un cumulo di rovine in cui abita Pop, un vecchio strambo di poche parole. Questi, tuttavia, aiuta Jackson a salvarsi da un agguato sulla strada di casa e gli spiega che lui potrebbe essere in grado di sconfiggere la magia che domina sugli uomini e sul territorio. Pop gli parla di un Troll e del Barone di Phillis, il dittatore che domina a capriccio, con pugno di ferro e una mente malata, l’intera regione; costui, grazie ai residuati dell’antica tecnologia difensiva della NASA, spaventa e terrorizza il suo popolo, uno stuolo di rozzi sopravvissuti a una non meglio definita catastrofe planetaria.

   Il comandante Jackson scopre in seguito di aver dormito per quasi novant’anni. Dopo lo shock iniziale, quando si rende conto che è trascorso troppo tempo per lasciar spazio alla speranza di ritrovare i suoi cari in vita (anche se poi avrà qualche sorpresa in merito), l’uomo comincia ad esplorare quella parte di Stati Uniti che ormai è caduta, sul piano politico, in una sorta di oscurantismo medievale, con territori suddivisi politicamente in base alle antiche città, come tante piccole nazioni indipendenti sullo stampo dei Comuni medievali europei.

   Sul piano sociale, però, va ancor peggio perché i pochi sopravvissuti si comportano come ominidi del Mesolitico. Ignoranti e violenti, disdegnano l’agricoltura e persino la caccia. Mangiano scatolette, che considerano l’unico alimento apprezzabile e un tesoro assoluto da accaparrarsi in qualunque modo; le scatolette di cibo sono così preziose da essere considerate al pari di una valuta. Il linguaggio di questa misera umanità è così decaduto che si storpiano parole come nucleare e automobile. Gli uomini non sanno più nulla di scienza o di tecnologia, guardano con sospetto alle antiche costruzioni e alle strade asfaltate ormai in rovina. Ogni cosa fuori dell’ordinario la considerano, per l’appunto, magia. Sporchi e brutali, vivono di sotterfugi, nella miseria più nera, lasciando i vecchi, i malati e i deboli all’appetito dei cani selvatici. Non hanno alcuna misericordia e si potrebbe affermare che il loro detto, se mai ne avessero uno, sarebbe: mors tua, vita mea. Persino la maternità è considerata una sciagura terribile, soprattutto dalle donne, e i neonati sono candidati a diventar cibo per porci (il maiale è considerato l’attuale divinità da venerare) o, nella migliore delle ipotesi, avviati a una vita di schiavitù materiale e sessuale. L’allevamento, l’agricoltura, l’istruzione sono meri ricordi e, a fronte di un’anima o due che si prendono cura del prossimo, il resto della popolazione sopravvive a stento, in condizioni fisiche e morali miserevoli. Su questa Gomorra di violenza e di sopraffazione, tra fame, sporcizia e puzzo d’umanità, domina il sanguinario Barone.

   Il comandante Jackson si rende conto che la propria esistenza in vita è preziosa per almeno due motivi: prima di tutto, perché questa nuova Terra ha bisogno di qualcuno che riproponga alle nuove generazioni i valori etici e le vaste conoscenze perdute; in secondo luogo, perché è necessario stroncare il dominio assoluto del Barone, la cui origine – come lo stesso Jackson scoprirà presto – non è pari a quella degli altri uomini: egli, infatti, è il primo astronauta dell’equipaggio di riserva ad essersi svegliato dal metastasis, molti decenni prima; si tratta dell’ufficiale scientifico Tobey Mallon. Il potere che deriva a costui dalle sue conoscenze superiori è però minato dalla vecchiaia che incombe. Il suo piano è quello di usare il suo tesoro più prezioso, un letale Bolo Mark II – ossia un robot armato concepito dalla NASA e dall’Esercito all’epoca dei viaggi spaziali – per poter andare alla conquista delle città-stato vicine e del mondo intero.

   Per farlo, tuttavia, deve attendere che un altro astronauta, un uomo come appunto Whiz Jackson, si risvegli e possa accedere alla micidiale arma da guerra per disattivarne le funzioni automatiche. Infatti, pur essendo il Barone in possesso della piastrina identificativa, è stato tradito due volte: dalla memoria, in primo luogo, per cui non rammenta più le procedure NASA, e poi dagli ex colleghi NASA ai quali aveva cercato d’imporre la sua visione megalomane. E infatti uno dei due, prima d’essere assassinato dallo stesso Mallon, aveva manomesso il suo giocattolo tecnologico tarando gli automatismi affinché Mallon fosse ucciso a vista. Così adesso il Bolo gli si rivolta contro ogni volta che si avvicina, così come fa con chiunque osi farsi troppo sotto senza avere un passi elettronico. D’altra parte, in quel mondo di violenti regrediti, nessun altro a parte Mallon saprebbe che cosa fare una volta all’interno del robot. Ma, avendo saputo del risveglio di Jackson, il Barone lo attende, certo di poterlo tenere in scacco più di quanto non osò fare con gli altri colleghi.

   Purtroppo per lui, non sa che sta covando una serpe in seno. Da anni, vive barricato nella sua reggia, che poi è l’ultimo edificio rimasto in piedi, un antico Hotel Hilton la cui *magia* regna sovrana: di notte, la luce elettrica del palazzo s’irradia come un faro sull’oscurità della terra decaduta. In questa specie di castello si circonda di guardie armate e d’una corte di ufficiali in alta uniforme; tiene lussuose  feste settimanali in cui obbliga gli invitati ad omaggiarlo come un imperatore e ha persino una “figlia”, una bella e giovane donna che non ha mai considerato, forse a causa del divario di età, come amante ma soltanto come una quieta ed intelligente amica a cui confidare i suoi segreti. Proprio lei, tuttavia, segnerà un punto a favore di Jackson quando, in una situazione di stallo, prenderà le difese dell’astronauta. Questo scatenerà l’odio del Barone contro il nostro eroe. D’altra parte, Jackson gli serve per recuperare il Grande Troll: così, infatti, la gente chiama il Bolo Mark II ed è ciò che più teme, dopo il non meglio specificato  Nuccleare, il cui spettro ha perduto il significato originario e per tutti sta ad indicare il peggiore e più spaventoso di tutti i mali. Anche se nessuno sa cos’è.

   Il piano di Mallon è quello di riavere il controllo dell’arma e di tornare alla base NASA per abbattere il Bolo III che la sorveglia, al fine di accedere alla navetta Prometheus e alla sua inestimabile quanto misconosciuta fonte di energia, di cui egli, scienziato addetto alla propulsione, aveva fin dal principio la responsabilità. Così potrebbe finalmente cominciare ad attuare il suo piano di dominio personale.    Per sua sfortuna, il comandante Jackson non è solo. Si è conquistato l’appoggio dell’Ammiraglio Betsy, una donna senza fronzoli né speranze che, con pugno di ferro e una bizzarra parlantina, ha il controllo di un esercito di sciagurati sanguinari; malgrado ciò, la smaliziata e inossidabile condottiera sembra disporre di un barlume di buon cuore e di un’intelligenza non comune, grazie ai quali ascolterà le parole di speranza del redivivo comandante, aiutandolo nel tentativo di sconfiggere il Barone e di far tornare nel mondo una speranza di pace, nonché le premesse di un auspicabile ritorno alla civiltà.

 Un commento…

 Keith Laumer è abile nel descrivere l’ambiente astronautico e le sue procedure; tratteggia con penna affilata, a tratti caustica, il carattere dei personaggi, soprattutto di quelli maschili, ma per par condicio crea l’affascinante personaggio dell’Ammiraglio Betsy. Questa donna sarà fondamentale per aiutarlo a sconfiggere il loro comune nemico, il Barone di Phillis: uomo di scienza ma privo di senso morale, l’ex astronauta usa la magia scatenata dalla tecnologia per asservire uomini e mezzi, in una corsa al dominio che vorrebbe estendere a macchia d’olio. Benché ambiguo e cadente (essendo il primo risvegliato, è invecchiato più degli altri), Tobey Mallon sembra un po’ il dittatore immortalato dal sommo Chaplin, che gioca nel suo studio col pallone a foggia di mondo, benché abbia maniere e sguardi da bieco “bandido” messicano.

  Il lettore è subito coinvolto in una trama ricca di tenebrose atmosfere postume e di colpi di scena. Laumer compie un valido sforzo d’immaginazione nel tratteggiare le miserevoli condizioni degli uomini dopo il collasso della civiltà moderna: nessuno sa più coltivare neanche un pomodoro e quei pochi che ancora lo fanno sono ostacolati, vituperati e chiamati “mangia-zozzo”. Le scatolette di cibo sono l’unico vero tesoro nonché la moneta di scambio di una popolazione desolante, che ha dimenticato gli splendori e gli agi delle civiltà passate.

   Ad ogni nuova generazione, l’etica decàde al pari del linguaggio. Vige uno stato di anarchia pressoché totale, dove si ruba il cibo e si dorme all’addiaccio, dove i cani mangiano malati e vecchi, dove ogni uomo si allea a un altro solo per il tempo di ottenerne un beneficio, sino all’immancabile tradimento finale con omicidio annesso. Direi che qui s’indugia troppo nella brutale violenza con cui i prepotenti e gli idioti schiacciano, a volte letteralmente, i deboli e gl’innocenti, a tratti nauseando il lettore non troppo forte di stomaco quando si rasenta (o ci s’infila a piè pari) nel trash.  E questa, ho notato, è una caratteristica saliente di molta letteratura “orientata al sesso forte”. Non è affatto strano che, per tale ragione, la fantascienza sia spesso disdegnata dai lettori di genere femminile. Fra l’altro, l’appena tratteggiata relazione fra il protagonista e l’immancabile bella ragazza è così sottile e sfumata da non dare spazio a “inutili sentimentalismi”. Tutto è rapido, pragmatico, acido ed efficiente. Il protagonista, benché onesto e di buon cuore, non fa che spostarsi da un sito all’altro, conoscendo persone buone o cattive e intanto ideando un piano di battaglia che riesca a cambiare lo status quo. Lo stile narrativo, a mio parere, toglie gran parte della magia a un romanzo che, per altri versi, ha grande originalità e potenzialità nascoste.

   Poi è interessante, anche se il tema è appena tratteggiato alla fine del romanzo, il problema morale del comandante Jackson che, prima di cedere le enormi potenzialità di utilizzo del Prometheus all’umanità decadente, medita in cuor suo di avviare il lancio e di far volare l’intero pacchetto di genoma su Callisto, in cerca di miglior fortuna per la civiltà umana. Forse la “missione” della figlia adottiva del Barone e sua nuova compagna (ossia lo scopo del suo personaggio), era proprio quella di distoglierlo definitivamente da un’utopia con scarse possibilità di successo.

   Ad ogni buon conto, malgrado il tema del viaggio spaziale sia qui accantonato (come lo stesso titolo fa presagire), la storia finisce con l’aprirsi alla speranza che l’umanità possa ritornare entro poche generazioni a uno stile di vita migliore rispetto a quello in cui si dibatte. Quel drappello di astronauti, unici uomini “antichi” sopravvissuti all’implosione culturale e sociale del pianeta, avranno dunque il compito di riorganizzare e portare avanti un modello di civiltà ormai sparito dalla faccia della Terra (o quanto meno negli Stati Uniti), ripristinando valori, regole e tecnologie che possano fornire ai moderni cavernicoli, o almeno ai loro figli, un’occasione per evitare l’estinzione della specie.

La figura di Jackson e dei suoi compagni mi rimanda all’affascinante parallelo con la Paleoastronautica, non poi tanto scontato, e a certi antichi viaggiatori extramondo studiati dalla paleoastronautica i quali, sbarcando sul nostro pianeta moltissime migliaia di anni fa, avrebbero voluto portare sul nostro pianeta nuove specie di piante e di animali, nonché conoscenze universali quali “rudimenti” d’ingegneria di grande valore pratico e architettonico, le norme della coltivazione e dell’agricoltura ed anche leggi etiche per evitare che l’uomo primitivo si autodistruggesse prima ancora di raggiungere un livello decente di civilizzazione… Trovo affascinante l’idea di Laumer per cui gli astronauti terrestri, come quegli antichi astronauti alieni, si trovino qui in procinto di salvare un’umanità così regredita e priva di speranza.

   Si tratta, nel complesso, di una storia ben pensata, asciutta, con qualche piccola contraddizione e molto pragmatismo, e che a tratti, malgrado il finale, lascia davvero l’amaro in bocca. Di certo, si fa ricordare.

[fonte: www.yleniahouse.it – RNSL_001]

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