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ARABIA SAUDITA, ECCO IL PROGRAMMA PER RIABILITARE I TERRORISTI

FT AG RF 12.12.2013

KABUL (RIVER FLASH)- Ci sono programmi di arte e sport, oltre che di teologia e psicologia, nel programma messo a punto dalle autorità saudite per cercare di riabilitare i terroristi di al-Qaeda. Un progetto che cerca di ricanalizzare la rabbia di coloro che hanno imbracciato le armi contro quella che vedevano come un’ingiustizia ai danni dei musulmani sunniti. A partecipare al programma di riablitazione, avviato nel 2007 e della durata di tre mesi, sono stati circa 2.400 islamici rientrati in Arabia Saudita dalle guerre combattute in Iraq e in Afghanistan, e che in patria avevano rivolto la loro ideologia estremista contro la famiglia al-Saud e le riserve petrolifere che costituiscono la ricchezza del Paese. Secondo dati ufficiali, solo l’1,5 % di loro ha ripreso attività militante dopo il programma di riabilitazione. Il tasso più alto di recidiva è tra coloro che sono stati detenuti a Guantanamo. Le autorità saudite temono ora una nuova ondata di estremisti dalla Siria, dove è in crescita il ruolo dei gruppi islamici nella guerra contro il regime di Bashar al-Assad.

Per questo, il ministero degli Interni saudita ha aperto un secondo centro di riabilitazione per i terroristi a Gedda e ha in programma di avviarne altri tre. ”Siamo molto preoccupati dalla situazione in Siria”, ammette Hameed al-Shaygi, direttore del dipartimento di Studi sociali presso l’Università Re Saud di Riad e consulente del programma di riabilitazione. ”Alcuni saranno motivati ad andare a combattere”, aggiunge. ”Non devi essere un simpatizzante di al-Qaeda per pensare che i sunniti in Siria abbiano diritto a una resistenza violenta contro il regime di (Bashar, ndr) al-Assad e che gli altri sunniti li debbano aiutare”, afferma Gregory Gause, professore di scienze politiche all’Università di Vermont a Burlington. Le autorità saudite stanno comunque cercando di evitare la partenza di combattenti volontari per la Siria.

A ottobre il Gran Mufti aveva esortato i giovani a non partecipare alla guerra e molti imam sono stati licenziati per aver invocato al jihad. E’ anche vero, però, che i sauditi sostengono i ribelli, anche con armi. Si tratta di una ”contraddizione” tra una certa politica e i riflessi domestici che potrebbe avere, nota Eckart Woertz, esperto in Golfo Persico presso il Centro di Affari internazionali di Barcellona.

“Ero molto estremista, vedevo quel che stava accadendo ai musulmani e volevo partire” racconta all’agenzia Bloomberg il 28enne Bader al-Anazi, aspirante jihadista e pronto ad arruolarsi con i combattenti sunniti in Siria fin quando non è stato “intercettato” mentre pianificava la guerra santa via web e “rinchiuso” nel centro.

Ora, dopo 5 mesi di detenzione, giura di essere ancora arrabbiato ma di non aver più voglia di esporsi in prima persona.

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