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Quelle Mani su Notre-Dame, dal Minareto al Faro, fino al Luna Park

TLB courtesy: 24/04/2019 – Ansa|

di Guido Salerno Aletta (Editorialista dell’Agenzia Teleborsa)

(AG.RF 24.04.2019) – “Ricostruiremo Notre-Dame ancora più bella“, così ha promesso il Presidente francese Emmanuel Macron, annunciando con sollievo al mondo intero che erano state finalmente spente le fiamme dell’incendio.

Ci sarà un concorso internazionale, per mettere a confronto le migliori idee: non solo bisogna rifare il tetto, ma è crollata la guglia ottocentesca da cui erano state rimosse appena qualche giorno prima, in vista del restauro, le sedici statue che la ornavano, raffiguranti i dodici Apostoli ed i simboli dei quattro Evangelisti.

E’ stata lanciata anche una colletta internazionale, per finanziare i lavori di ricostruzione che si preannunciano lunghi e complessi: tra i primi donatori figurano gli uomini più ricchi di Francia, imprenditori nel settore del lusso, che non hanno esitato un istante a disporre donazioni per centinaia di milioni di euro: una munificenza ostentata, senza pudore. Vengono in mente le parole del Vangelo: “Quando dunque fai la elemosina, non suonare le trombe innanzi a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico, hanno già ricevuto la loro ricompensa.” Per aggiungere: “Quando tu invece fai l’elemosina, non sappia la mano destra ciò che fa la sinistra. Ed il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”. Ma, si sa, la nostra è la civiltà dell’immagine, della ostentazione, della comunicazione: che serve fare qualcosa, se non viene risaputo?.

Stavolta, però, si tratta di un gesto di generosità ben diverso dalla semplice elemosina a favore dei più poveri, ma di restituire alla Francia ed al mondo intero uno dei simboli più importanti della tradizione cristiana.

Ricostruire, modernizzare? O forse trasformare?

Serve innanzitutto un chiarimento: la Cattedrale di Notre-Dame non è più della Chiesa cattolica, bensì di proprietà dello Stato francese, sulla base della legge sulla laicità che risale al 1905. Con quel provvedimento si completò il processo di secolarizzazione iniziato nel 1789, ponendo fine al Concordato napoleonico e soprattutto all’antica unione tra la Chiesa cattolica e il potere politico in Francia. Con la legge di 17 aprile 1906 e il decreto del 4 luglio 1912, si affidarono le 87 cattedrali esistenti alla Segreteria di Stato per le Belle Arti, ora Ministero della cultura e della comunicazione.

Accade lo stesso in Italia, da quando a metà Ottocento una grandissima parte del patrimonio ecclesiastico fu sottratto alla Chiesa Cattolica. Solo a Roma, ben nove Basiliche ed altrettante Chiese sono affidate al Fondo Edifici Culto, istituito presso il Ministero degli Interni.

Il problema, oggi, non è solo quello del rifacimento del tetto, un capolavoro assoluto di ingegneria essendo stato realizzato oltre ottocento anni fa con una intricatissima trama di travi e travetti di quercia, soprannominato “la foresta”, quanto quello della guglia. Questa fu eretta a metà Ottocento, nell’ambito di un più ampio progetto di restauro che volle sottolineare, fino alla esasperazione simbolica, gli elementi gotici della cattedrale. Il restauro dell’architetto Viollet-le-Duc fu criticato dai “romantici” perché aveva fatto delle aggiunte alla struttura ritenute arbitrarie. In particolare per la realizzazione delle chimere della facciata.

E che dire, poi, di quelle creature misteriose che ornano le garguilles, le grondaie, che furono poste per ogni dove, per nascondere gli sgocciolatoi delle acque pluviali? Già allora ci fu una chiara volontà di introdurre nella Cattedrale elementi architettonici assolutamente estranei alla tradizione cristiana, stravolgenti.

Che cosa significa, oggi, farla “più bella”?

L’architetto Tom Wilkinson, in un editoriale su domus intitolato “La questione del ricostruire Notre-Dame ancora più bella solleva più domande che risposte“, è stato provocatorio. Ha affermato che “potrebbe voler dire, per esempio, trasformare Notre-Dame in un memoriale dedicato alle generazioni di contadini sfruttati per finanziarla, e agli eretici assassinati dai suoi fautori”. “Oppure”, ha proseguito, “se la barbarie di cui questo edificio è documento si è fatta troppo sbiadita per commuoverci, perché non un monumento a una forma di verità politica più attuale? Perché, per esempio, non un monumento al gilet giallo ignoto, completo di guglia scintillante? O, se questo pare un po’ frivolo, perché non un monumento ai circa cento algerini uccisi nel 1961 dalla polizia francese mentre manifestavano contro la guerra d’Algeria, molti dei quali vennero gettati nella Senna ai piedi di Notre-Dame? Queste vittime dello Stato potrebbero essere ricordate sostituendo alla guglia di Viollet-le-Duc – perché no? – un bel minareto”.

Massimiliano Fuksas, archistar italiano, ha immaginato una ricostruzione che unisca tradizione e modernità: “una nuova guglia di cristallo, come il Baccarat”, un oggetto leggero, trasparente, fatto come di cristallo, che di notte si illumina per tornare ad essere un simbolo visivo della città e un faro di speranza.

Per il tetto, due giovani architetti francesi, Goudart e Roussel, hanno immaginato una copertura trasparente da cui ammirare tutta la città. Come dalla ruota panoramica di un Luna Park. Il progetto, che si dice piacere anche alla sindaca di Parigi Hidalgo, non è ancora ufficiale.

Ogni epoca si appropria dei simboli del passato, trasformandoli. Come già accadde con il tempio a Giove, che si dice fosse stato eretto nell’antichità là dove oggi sorge Notre-Dame. Questa è patrimonio dell’umanità, parte di una identità collettiva. Nessuna idea di Dio, nella ricostruzione; niente che richiami alla Fede cattolica.

Segno dei tempi.

 

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