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UN GIORNO DI PIOGGIA A NEW YORK (2019) DI WOODY ALLEN, bloccato dalla censura negli USA

di Marino Demata (RiveGauche)

(AG.RF 02.06.2020) – È triste poter vedere un film molto atteso solo dopo oltre due anni dalla conclusione della sua lavorazione. A ritardare l’uscita nelle sale europee del film (in America non è mai uscito e forse mai uscirà) è stata la lunga e assurda vertenza con Amazon, che contrattualmente si era impegnata a distribuire il film dopo averne acquisito i diritti e che invece ha a lungo rifiutato di farlo, poco dopo la ripresa della discussione sui media sulla presunta violenza del regista di 25 anni prima, sulla ragazza che poi diventerà la propria moglie in seguito al matrimonio a Venezia. Il regista ha citato Amazon per inadempienze contrattuali, per un sostanzioso risarcimento danni. Vedremo come andrà a finire questo ennesimo capitolo di una storia infinita, della quale il buon senso avrebbe dovuto consigliare di chiudere da qualche decennio e che invece, complice l’ondata di sdegno per il caso Weinstein, è stata riaperta travolgendo tutto e tutti, veri e falsi colpevoli, come purtroppo succede spesso in questi casi.

Per nostra fortuna, l’intellettualità italiana e europea in generale, e più complessivamente il pubblico e la critica, solitamente legati al grade regista newyorkese, hanno dimostrato, a colpi di petizioni e di sollecitazioni attraverso l’opinione pubblica, di volere non essere privati dell’ultimo lavoro di Allen. Il quale può consolarsi dell’affetto e della stima che trova in Europa, rispetto alla ostilità che il puritanesimo preconcetto dei media americani gli mostrano. Fino addirittura, come si diceva, alla decretata non visibilità del film.
Un film, Un giorno di pioggia a New York, che probabilmente in America non sarebbe stato neppure apprezzato per quello che è: un vero e proprio gioiello all’interno della ormai ricchissima filmografia di Allen e certamente il capolavoro più lieve e più convincente tra tutti i film da lui girati nell’ultimo ventennio.
D’altra parte, quando Allen gioca in casa, nella sua Manhattan, è praticamente imbattibile. Perché è tale la sincronia tra lui e il suo ambiente, è tale l’amore che lo lega alla sua città, che tutto gli diventa facile. E così lui riesce a trasmettere al pubblico, in ogni sequenza, questo legame, che è una vera e propria simbiosi tra uomo e ambiente. I capolavori, in ogni campo, nascono da sentimenti veri e profondi. E più profondo sono, più sono facilmente trasmettibili agli altri.
Allen lavora sulle atmosfere magiche che gli sa regalare Manhattan, e la complicità della pioggia, che, nel corso della giornata dal lui descritta, va e viene, e rende il tutto più magico, perché aggiunge un elemento complementare di imprevedibilità, che si affianca alle impreviste situazioni che la storia, scritta dallo stesso regista, sa offrirci.
Ashleigh (Elle Fanning, che abbiamo recentemente ammirato nei panni più austeri della scrittrice Mary Shelley, nell’omonimo film) è una giovane universitaria proveniente da una cittadina del sud dell’Arizona, che ha scelto un Ateneo nella quiete della provincia, lontano dai sussulti di New York. Il suo ragazzo, Gatsby (Timothée Chalamet) è stato da lei conosciuto nella medesima Università, dove il giovane si è rifugiato dall’opprimente e ricchissima famiglia newyorkese, alla ricerca della propria autonomia.
Ashleigh cura la redazione del giornalino dell’Università e riesce ad ottenere un’intervista al celebre regista Roland Pollard (Liev Schreiber). È l’occasione buona per trascorrere una giornata a New York, che Ashleigh non conosce e che invece Gatsby (vero alter ego di Woody Allen, di cui ricorda movenze e fisico degli anni giovanili) conosce benissimo e di cui è intenzionato a fare da cicerone.
I due si separano per consentire lo svolgimento dell’intervista di Ashleigh, dandosi appuntamento per il lunch. Ma Ashleigh sarà presto travolta in un vortice di situazioni che la porteranno a correre prima dietro al regista, poi allo sceneggiatore del medesimo film (Jude Law) e poi ad un supponente attore.
Nel frattempo il cinema irrompe anche nella giornata di Gatsby, attraverso l’incontro di vecchi amici che stanno girando un filmetto per strada. Il caso – sempre dietro l’angolo nei film del grande regista, fa da padrone: Gatsby riconosce nella protagonista del film (Selena Gomez) la sorella di un suo vecchio amore newyorkese e ne resta affascinato.
Il mondo del cinema (nella versione newyorkese, assai diversa dall’industria hollywoodiana), e l’ambiente che ruota attorno ad esso, è una felice novità di questo film, col suo fascino, ma anche con le ambiguità e i trabocchetti che vengono tesi alla bella Ashleigh, per portarla a letto. Voglia del regista, forse, di fare dell’ironia e di giocare con quel mondo post-Weinstein, che lo sta risucchiando in una situazione paradossale e incresciosa?
Nel frattempo il giovane Gatsby incontra – anche qui per caso – alcuni parenti e si sente pertanto obbligato a partecipare alla festa di famiglia che lui avrebbe volentieri evitato. Insomma, per entrambi i ragazzi la giornata a New York offre scenari imprevedibili. E non è tutto, come ci dirà il bel finale del film, che ovviamente non riveliamo.
Emergono nel film, in definitiva, tanti punti fermi della visione del mondo di Allen: la dicotomia città – campagna, con tantissimi punti a favore della prima; la fragilità dell’amore; il caso e l’imprevisto che condizionano la vita degli uomini e fanno prendere loro strade nuove; la nascita della consapevolezza di non conoscere bene la propria famiglia e il proprio ambiente.
Il tutto illustrato dalla luce e dai colori autunnali del grande Vittorio Storaro, al sui terzo film come direttore della fotografia di Woody Allen. Le novità e le qualità di Storaro sono emerse forse non tanto nel primo dei tre filmCafè Society, ma soprattutto nel secondo, La ruota delle meraviglie, dove è riuscito a “gemellare” un colore particolare per ogni personaggio. È noto che Allen ha scelto sempre con grande cura i suoi collaboratori e si è affidato, nella stagione dei suoi grandi classici, a partire da Io e Annie, alla fotografia di Gordon Willis e successivamente, a quella dell’italiano Carlo De Palma. Con Storaro sembra aver trovato un affiatamento straordinario, che contribuisce a fare di Un giorno di pioggia a New York un film veramente imperdibile.

 

Che ne pensano i nostri lettori del prolungato blocco della distribuzione del film, finito di girare nel 2017 e comparso da noi solo in questo giorni? E del fatto che in America il film non è mai comparso nelle sale? Prego intervenite. Siamo interessati alle vostre opinioni.

 

Fonte: https://rivegauche-filmecritica.com/

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