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Rapporto Civita #SOCIALMUSEUMS: Social media e cultura, fra post e tweet

socialmuseusAG.RF 04.04.2016 (ore 16:12)

(riverflash) – Presso l’Auditorium dell’Ara Pacis, l’Associazione Civita il 30 marzo ha presentato il suo decimo Rapporto, dal titolo  #SOCIALMUSEUMS. Social media e cultura fra post e tweet, alla presenza del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini.

Curato da Luca De Biase, fondatore e caporedattore di Nòva, e Pietro Antonio Valentino, Vicepresidente del Comitato Scientifico di Civita, ed edito da Silvana Editoriale, il volume prende in esame il rapporto fra social media e mondo della cultura, un tema strategico in un momento di profonda trasformazione che sta investendo i nostri musei anche sul fronte del digitale.

L’evoluzione tecnologica che investe il mondo della Cultura, in particolare in termini di produzione e fruizione, è al centro dell’attenzione da parte dell’Associazione Civita da molti anni; nel Rapporto I formati della memoria: i beni culturali e nuove tecnologie alla soglia del terzo millennio (1997), sono stati analizzati gli impatti su musei, biblioteche e archivi di una tecnologia, all’epoca, ancora in fieri, mentre in Galassia web: la cultura nella rete (2008), a circa dieci anni di distanza dal primo, internet è stato indagato come l’ambiente in cui avviene la maggior parte delle transazioni culturali e delle attività creative.

In continuità con i precedenti Rapporti, dunque, ed in linea con la “riforma Franceschini” che, a fronte dell’autonomia gestionale di musei italiani e sistemi museali territoriali richiede ai loro direttori un arricchimento, in misura sempre maggiore, dei fruitori reali o virtuali e, di conseguenza, incisive e mirate attività di marketing,  il decimo Rapporto è volto a comprendere in che misura e con quali effetti il mondo delle istituzioni culturali venga investito  dalla “rivoluzione social”, fornendo un contributo concreto tanto agli operatori culturali quanto agli utenti reali o potenziali di questo mondo.

Il Rapporto è composto da due macro-sezioni:

una prima in cui si dà conto delle indagini condotte dal Centro Studi “Gianfranco Imperatori” dell’Associazione Civita, che mostrano sia il modo in cui gli italiani si interfacciano online, e con quali aspettative, con il mondo della cultura, consentendo  agli operatori culturali di disegnare strategie più consapevoli di comportamento, sia come l’uso dei social abbia modificato le politiche di offerta delle istituzioni museali; nella seconda parte del volume si illustrano, invece, i diversi aspetti della comunicazione culturale “social” attraverso il punto di vista di alcuni fra i maggiori esperti italiani: dalla misurazione degli impatti delle campagne digitali alle modalità di crowdfunding per la cultura attraverso i canali social fino agli effetti prodotti da questi ultimi nei settori del cinema, dell’editoria d’arte e dell’organizzazione di eventi e gestione di spazi culturali.

Rilevando sia le buone pratiche italiane che i ritardi accumulati, il Rapporto si chiude sul “che fare”, presentando alcune proposte alle Istituzioni e agli operatori culturali che intendano orientare il proprio operato verso una comunicazione digitale multidirezionale e multicanale, in un’ottica di social media marketing e, al contempo, con l’obiettivo di sostenere processi di innovazione tecnologica a sostegno delle realtà culturali e produttive del Paese.

I RISULTATI DELLA RICERCA

 

A fronte di un tasso di digitalizzazione e penetrazione di internet molto inferiore alla media europea, gli italiani che utilizzano i social media sono circa 36,5 milioni, ovvero ben il 60% dell’intera popolazione. Indagando su quantità e comportamenti del pubblico che fa uso di tali strumenti per entrare in relazione con le istituzioni culturali, la prima indagine, condotta da Civita con la collaborazione di UNICAB, rileva che sono circa 9 milioni gli italiani (il 36,6% della base degli intervistati) che impiegano i social a tale scopo, in prevalenza fra i 25 e i 44 anni.

Effettuata una distinzione dei luoghi della cultura per categorie (Artisti, Biblioteche, Enti lirici e musicali, Spazi espositivi e Teatri), dall’indagine emerge che sono soprattutto le giovani donne (18-25 anni) ad utilizzare i social per connettersi con le istituzioni museali; in termini di intensità delle relazioni – dato dal numero di contatti di ciascun utente – sono teatri ed enti lirici e musicali ad avere un pubblico online più fedele e affezionato.

Analizzando i differenti utilizzi delle piattaforme social, i risultati della ricerca non sono confortanti, in quanto gli utenti impiegano i social soprattutto per la fruizione virtuale e per scaricare materiali messi a disposizione dalle organizzazioni culturali, mentre l’acquisizione di informazioni per la prenotazione o l’acquisto del biglietto d’ingresso sono nettamente sottoutilizzati. Rispetto alla semplice acquisizione o diffusione dei contenuti, la funzione creativa associata ai social media – la più specifica e caratterizzante – è ancora, in Italia, assolutamente marginale.

Le cause scatenanti di tale ritardo emergono con chiarezza nella seconda indagine svolta da Civita, incentrata sul rapporto fra istituzioni culturali e social media e volta ad indagare in che modo e con quali fini le prime utilizzano i nuovi strumenti offerti dal mondo digitale. Definito, anzitutto, un campione di musei (italiani e stranieri) rappresentativo delle differenti offerte culturali (Musei e Reti museali di arte antica e moderna, Musei e Centri per l’arte contemporanea, Musei della Scienza e Altre istituzioni), ne è risultato un insieme di 26 istituti culturali che ha permesso di individuare, al contempo, elementi positivi ed eventuali limiti dello sfruttamento delle opportunità offerte dai social.

L’indagine mostra che l’utilizzo di tali strumenti come mezzo per entrare in relazione con i propri pubblici o per attrarre visitatori non costituisce ancora, per i nostri musei, un obiettivo strategico e rilevante, ad eccezione dei musei d’arte contemporanea, capaci, al contrario, di richiamare non solo i giovani (cosiddetti “nativi digitali”)  ma anche un pubblico più trasversale e meno assiduo.

Tali difficoltà dipendono dalla scarsa conoscenza delle effettive potenzialità dei social dovuta alla poca esperienza finora accumulata nonché dalla difficoltà di associare una piattaforma ad obiettivi specifici. Sono, pertanto, i social multifunzionali, quali Facebook, Twitter e Google+ (seguiti ad una certa distanza da Instagram, Pinterest e YouTube) quelli ritenuti più efficaci dai musei ed utilizzati, in particolare, per stimolare la creazione di contenuti autocreati (user generated content), favorire l’apprendimento ed arricchire la fruizione o condividere i contenuti.

L’indagine, infine, ha mostrato con chiarezza che le nuove piattaforme sono quasi sempre implementate in stretta connessione con il sito web del museo; una scelta volta ad ottimizzare l’uso di tutti gli strumenti a disposizione dell’istituzione ma anche ad arricchire il sito potendo impiegare tutti i supporti di comunicazione (verbali o visivi) tramite l’uso di linguaggi differenti.

Per rispondere alla duplice sfida con cui sono chiamati a misurarsi i nostri musei, ovvero recuperare il tempo perduto e proporsi come soggetti dell’innovazione nell’utilizzo delle tecnologie social, Civita lancia alcune proposte, fornendo, al contempo, indicazioni utili al superamento di alcuni vincoli attuativi.

Da un lato, le istituzioni museali devono accrescere il proprio ruolo identitario e valoriale, a garanzia della qualità della cultura trasmessa e a favore di una redistribuzione dell’accesso alla conoscenza, valutando pregi e difetti rispetto ai propri obiettivi; dall’altro, i nostri musei, devono essere messi in grado di dare l’avvio ad una progettualità innovativa, volta da ottimizzare le funzioni delle piattaforme social in linea con le esigenze del museo stesso ma anche, e di comune accordo, con quelle di centri di ricerca e imprese innovative del settore.

Al fine di intraprendere un’efficace comunicazione attraverso i social, i nostri musei non possono prescindere dal mettere in atto mirati investimenti sulle professionalità addette alla comunicazione museale. A queste ultime, infatti, è richiesta un’adeguata preparazione tanto sulle caratteristiche delle diverse piattaforme – in modo da effettuare scelte coerenti con gli obiettivi che l’organizzazione si pone – quanto sui linguaggi “semplici e informali” da adottare nell’uso di tali canali.

Per far fronte ai costi di investimento e gestione necessari all’acquisizione di personale qualificato, una valida risorsa risiede nell’uso integrato di fondi nazionali comunitari (Agenda Digitale, Horizon 2020, Erasmus+, Industria Creativa ecc) nonché  la realizzazione di partenariati europei orientati al sostegno di progetti di innovazione tecnologica.

In quest’ottica, pertanto, si potrebbe prevedere per i musei più visitati, in genere statali, di destinare le entrate aggiuntive alla formazione di personale qualificato (almeno 3 o 4 unità), al fine di migliorare l’interazione “social” con il pubblico, o di attivare eventuali collaborazioni con le imprese operanti nella comunicazione, mentre per musei con minore affluenza, di incentivare una gestione a rete dei servizi dedicati alla comunicazione, riducendo, in tal modo, i costi di gestione per le singole istituzioni. Una soluzione, quest’ultima, sperimentata con successo da musei che fanno capo alla stessa proprietà (come i Musei in Comune a Roma) o localizzati sullo stesso territorio (come la Fondazione Musei Senesi).

Il diffondersi dei social media si inserisce in una nuova visione del museo, dando vita a quello che è stato definito il “museo relazionale” o, nel contesto statunitense, the participatory museum, enfatizzandone l’aspetto dinamico e interattivo.

In linea con questa nuova visione, si propone, pertanto, l’implementazione strategie digitali ben definite, coerenti con la mission dell’istituzione, misurabili nei risultati oltre che integrate fra i diversi media digitali impiegati dal museo (social network, sito web, blog, ecc.).

Per i nostri musei, accogliere il suddetto modello significa, in primis, superare le forti riserve culturali legate ad una visione in genere “conservatrice” e conservativa del proprio ruolo, vincendo le diffidenze di coloro che temono di sminuire le capacità conoscitive e formative della tradizionale museologia.

È evidente, dunque, che il pieno sfruttamento delle tecnologie legate alla comunicazione pone non al singolo museo, bensì all’intero sistema museale italiano, compiti difficili da affrontare, risolvibili solo attraverso la creazione di condizioni di contesto che rendano ammissibili le suddette sfide.

Risulta quanto mai prioritaria, pertanto, la definizione di uno specifico programma nazionale lanciato, in accordo con le Regioni, da più Ministeri (Beni culturali, Istruzione e Sviluppo Economico), avendo ben chiari: obiettivi da perseguire, fondi a disposizione e procedure di selezione, indicazioni sulla composizione dei partenariati pubblico-privati per la proposta di progetti e, non da ultime, periodiche attività di monitoraggio mirate a valutare gli interventi e ad identificare le tendenze innovative del settore.

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