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No alle nozze gay. Ecco tutte le risposte ai perchè.

Ha fatto molto discutere la recente sentenza della Corte di Cassazione Italiana secondo cui la coppia omosessuale deve avere «diritto a un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata». Nella nostra “aperta” società, dicono, è «stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire naturalistico, della stessa esistenza del matrimonio». Al riguardo sono usciti diversi articoli sulla stampa cattolica e non, scritti da filosofi, psicologi e giuristi, attraverso i quali si riesce a comprendere meglio la situazione. Molti sono raccolti in questa pagina, che sarà in continuo aggiornamento.
Il filosofo Giacomo Samek Lodovici, docente presso l’Università cattolica, ha spiegato: «è ovvio che le coppie omosessuali non possono contribuire mediante la procreazione alla continuazione della società. Si obbietta che potrebbero farlo adottando dei bambini ma, in realtà, dare dei bambini in adozione a queste coppie significa, quanto meno, privarli della figura materna/paterna, che non può essere surrogata da chi è uomo/donna». Inoltre, «i dati che finora abbiamo a disposizione mostrano che i bambini affidati a queste coppie hanno una probabilità molto più alta di soffrire di gravi disturbi psicologici, di avere un’autostima bassa, una maggiore propensione alla tossicodipendenza e ad autolesionarsi». Tutto questo, ha spiegato il filosofo (citando ovviamente le fonti bibliografiche), per i seguenti 5 motivi: 1) assenzadella figura materna/paterna; 2) brevità dei legami omosessuali; 3) probabilità molto superiori degli omosessuali di avere una salute peggiore; 4) i bambini che vengono adottati hanno alle spalle già unastoria di sofferenze e/o violenza: così, alla differenza tra i genitori naturali i genitori adottivi – che già di per sé costituisce una difficoltà – si viene ad aggiungere il fatto che la coppia dei secondi non è analoga alla coppia dei primi; 5) è insito nel bambino un bisogno di divisione dei ruoli, di sapere “chi fa che cosa” e “da chi mi posso aspettare questo atteggiamento e da chi mi posso aspettare quell’altro. Il matrimonio monogamico, ha quindi concluso, offre maggiore garanzie di stabilità, perché: a) il vincolo giuridico matrimoniale rafforza il legame; b) il diverso atteggiamento dei coniugi (che fanno un progetto di definitività) rafforza l’impegno; c) l’antropologia culturale dimostra che la ritualizzazione (per es. la cerimonia nuziale) di un impegno accresce la capacità di rispettarlo. Inoltre lo Stato deve proteggere il matrimonio monogamico perché è l’istituto giuridico migliore per garantire la continuazione di una società.
Il giurista Francesco D’Agostino, professore di Filosofia del diritto e di Teoria generale del diritto presso l’Università degli studi di Roma Tor Vergata, membro del Consiglio Scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e Presidente onorario del Comitato nazionale per la bioetica, ha affermato: «A mio avviso, dietro a tutta questa dinamica – che riguarda ormai la grande maggioranza dei Paesi occidentali – non c’è tanto una nuova consapevolezza del valore del rapporto di coppia omosessuale quanto, piuttosto, una continua e, sembra, inarrestabile perdita di valore dell’essenza del matrimonio in quanto tale». Ha quindi continuato: «Quanto più il matrimonio viene interpretato come un’esperienza eticamente ed antropologicamente fragile, e priva comunque di un grande spessore sociale, tanto più diventa facile equiparare al matrimonio esperienze di rapporto – come quella omosessuale – che, con il matrimonio autentico, hanno ben poco a che fare, ma che possono diventare apparentemente simili al matrimonio quando il matrimonio eterosessuale viene progressivamente svuotato di senso, di valore o di dignità».
Lo psichiatra Italo Carta, docente di Clinica Psichiatrica presso l’Università degli Studi di Milano, ha spiegato che se la legge, come fa la sentenza della Cassazione, va contro il diritto naturale praticamente annullandolo, succede il caos: «Se si tolgono le evidenze che accomunano qualsiasi uomo, a prescindere dal contesto e dalla tradizione da cui proviene, si cade nell’arbitrarietà», cioè «prevale il diritto del più forte, di chi urla di più. In questo caso quello dei promotori di questi diritti. Siamo in un momento storico in cui la volontà è così tracotante da voler prendere il sopravvento sulla conoscenza delle cose e così le violenta: io voglio fare una famiglia con una persona del mio stesso sesso, non solo chiedo di non essere discriminato ma pretendo di generare, con tecniche violente e artificiali, e poi pure di allevare, un innocente in un contesto che non gli farà sicuramente del bene. Se si salta il fondamento del diritto che è nella legge naturale, e nella ragione umana che la riconosce, la giustizia muore. Non possiamo neppure parlare più di diritti universali». Non basta l’amore per crescere dei bambini, spiega, «servono due personalità differenti dal punto di vista psichico». Nella carriera scientifica «ha seguito tanti omosessuali. Sono aumentati moltissimo negli ultimi anni. La scienza e l’esperienza dicono che non c’è alcun difetto di natura in loro. Non esiste l’omosessualità naturale, non è iscritta nel Dna. L’omosessualità è un’elaborazione della psiche di modelli affettivi diversi da quelli verso cui la natura normalmente orienta. Questa tendenza è del tutto reversibile. Io mi sono scervellato per anni, ho letto molto su come si può correggere questa tendenza, il problema è che spesso, pur vivendo un disagio, molti di loro non vogliono correggersi». E’ possibile riconoscere  loro dei diritti (possibilità di succedere nel contratto di locazione, ricevere prestazioni assistenziali dai consultori familiari, astenersi dal testimoniare in processi che vedono coinvolto il partner etc.), «ma non si può andare oltre a concessioni di questo tipo. Pena la salute mentale di terzi». I figli, ma «anche alla stabilità della società intera. Questa sentenza abolisce l’evidenza e quando si abolisce il principio di evidenza naturale la mente compensa con squilibri psicotici gravissimi. Per questo pensare di introdurre l’uguaglianza dei sessi come normale significa attentare alla psiche di tutti. Penso poi ai più deboli: i bambini. Se gli si insegna sin da piccoli che quel che vedono non è come appare, li si rovina. Ripeto, pur non essendo solito fare affermazioni dure, dato che gli omosessuali sono persone spesso duramente discriminate, non posso non dire che introdurre l’idea che la differenza sessuale non esiste, e che quindi non ha rilevanza, è da criminali». Italo Carta, ordinario di Psichiatria presso l’Università degli Studi di Milano (lo aveva già fatto in questa occasione). Intervistato da “La Stampa” ha affermato: «ritengo che le coppie di omosessuali e quelle di lesbiche che non solo adottano un bambino ma si fanno ingravidare e inseminare preparino un grave rischio di patologie per la prole». Ovvero «depressioni, disturbi della personalità e dell’identità […], collasso della funzione simbolica paterna». Lo psichiatra si è anche lamentato del fatto che queste questioni «ormai sono in mano a gruppi di pressione e politici entusiasti di aumentare il proprio consenso. Dell’aspetto psicologico clinico importa poco a tutti». In una coppia omosessuale il bambino avverte inevitabilmente «la violenza fatta alla realtà, con cui il ruolo paterno e materno vengono assunti, e la mancanza del diventare madre o padre per donare il figlio all’altro e stabilire un rapporto di reciprocità».
Il professor Antonio Maria Baggio, politologo e docente di Filosofia politica presso l’Istituto universitario“Sophia” di Loppiano, ha invece affermato: «Il matrimonio come tale, anche se non è cristiano, è il solo matrimonio tra persone di sesso differente. Il cristianesimo poi valorizza l’unione naturale tra un uomo e una donna conferendo tutto l’apporto del sacramento […]. Però non serve avere la fede cristiana, o un’altra fede, per dare così tanta importanza all’unione in sé, perché è un dato di natura. Dobbiamo fare appello alla realtà dei fatti, cioè alla struttura antropologica dell’uomo e della donna.[…] Ciò che la cultura cristiana ha sempre pensato è che non sia necessaria la fede per riconoscere la verità dell’uomo». La difesa del matrimonio «è anzitutto una battaglia civile per fare in modo che la società abbia questo legame fondativo, importante, che è basato sulla fiducia reciproca di un uomo e una donna che si scelgono per l’intera esistenza. Questo crea una solidità nella società e questo ha anche un riscontro nella struttura psicofisica delle persone altrimenti si pensa che veramente in base ad un desiderio, ad un impulso, ad una esigenza individuale si possa decidere che l’essere umano è fatto diversamente da come in realtà è fatto. […] Ed è per fedeltà alla realtà che è necessario difendere il matrimonio tradizionale».
Il filosofo Vittorio Possenti, docente presso l’Università Cà Foscari di Venezia e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica, ha invece dichiarato: «Noi assistiamo da alcune decine di anni in Occidente ad una visione dei diritti umani che sta cambiando in maniera molto forte. Se noi stiamo accanto ad una visione dignitaria, i diritti umani sono centrati sulla persona e non possiamo decidere qualsiasi cosa. E invece, come accade con i diritti cosiddetti sessuali, andiamo verso una visione libertaria dei diritti umani e prendono grande rilievo esclusivamente i diritti di libertà. […] Noi non possiamo trattare cose diverse in maniera uguale. Quindi, c’è un richiamo al principio di non-discriminazione e di uguaglianzache va considerato molto attentamente». Il filosofo precisa meglio il suo pensiero: «Un matrimonio naturale, di cui parla l’articolo 29 della nostra Costituzione, non può essere assimilato ad un cosiddetto matrimonio omosessuale, perché manca in maniera intrinseca l’orientamento alla fecondazione e alla procreazione, che rimane un fine fondamentale della società naturale chiamata famiglia e fondata sul matrimonio». Ritorna quindi sui “presunti” diritti: «Un diritto umano è qualcosa che spetta alla persona come tale, ma non ogni pretesa della volontà o del desiderio può essere classificata sotto “diritto umano”. Si tratta comunque sempre di trovare qual è il bene che si intende tutelare. Se noi tuteliamo la famiglia, se tuteliamo il matrimonio fondato – appunto – sull’unione eterosessuale, sappiamo quali sono i beni che vogliamo tutelare. Nel caso di una unione omosessuale, non risulta immediatamente chiaro quale sia il bene che si vuole tutelare».
Il giurista Antonio Gambino, professore ordinario di Diritto privato nell’Università Europea di Roma, ha spiegato che la sentenza «si pone in aperto contrasto con il complesso delle norme in materia familiare. A meno di non voler intendere che “vita familiare” sia ormai diventato sinonimo di qualunque forma aggregativa (dai club sportivi, alle “famiglie” aziendali, per passare ai vincoli solidaristici delle associazioni di tendenza». Ricorda che la responsabile di questa “sentenza creativa” è la stessa che nel 2007 ha firmato la sentenza Englaro, aggiungendo poi che «il diritto italiano affronta attualmente il tema della distinzione di sesso rispetto all’istituto del matrimonio civile» e che «tutti i giudici di legittimità della suprema Corte sono tenuti ad applicare. Dall’insieme delle disposizioni che disciplinano il matrimonio emerge con chiarezza che la diversità di sesso dei coniugi ne costituisce presupposto indispensabile e che solo a tale forma di unione il legislatore riconosce tutela e rilevanza giuridica». Anche «la rara giurisprudenza che si era occupata della questione ha considerato la diversità di sesso dei coniugi tra i requisiti minimi indispensabili per ravvisare l’esistenza di una famiglia. Sono norme che compongono elementi essenziali del cosiddetto “ordine pubblico” dello Stato, che implica l’illegittimità di matrimoni contratti da soggetti non distinti sessualmente». Si fa quindi notare che l’articolo 29 della Costituzione, riconosce, nel primo comma, “i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” e «con tale espressione si intende che la famiglia contemplata dalla norma ha dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che dunque il legislatore ordinario può “solo” riconoscere». Questo significato del precetto costituzionale «non può essere superato per via ermeneutica, con una semplice rilettura “culturale” (o, piuttosto, “ideologica”) del sistema». La normativa italiana dunque non può in alcun modo ritenersi “superata”, la quale «pone la famiglia, unione tra uomo e donna, quale cellula fondante della nostra società umana e, perciò, meritevole di norme di protezione di rango superiore rispetto ad altre unioni affettive».
In un’altra occasione ha continuato dicendo che in Italia non sarebbe possibile approvare il matrimonio omosessuale perché «il nostro matrimonio è fondato sulla distinzione tra i sessi. Sarebbe altresì necessario un massiccio intervento di modifica del Codice Civile, oltre che dell’articolo 29 stesso; il quale, a sua volta, si richiama alla concezione del matrimonio presente nel Codice Civile all’epoca vigente, nel ’42, ove veniva messa in risalto proprio la differenza di sesso». In ogni caso non è certo la maggioranza (degli Stati esteri o dei politici italiani) che connota l’etica: «Abbiamo avuto in passato maggioranze legittime che hanno realizzato leggi del tutto contrarie all’uomo. un esempio storico eclatante di come morale e legge non sempre coincidano, e che in casi estremi prevalga comunque l’etica lo abbiamo con il processo di Norimberga dove gli esecutori degli ordini e delle azioni più efferate furono condannati non sulla base delle leggi che, formalmente, gli avrebbero permesso di compiere i crimini che avevano commesso, quanto dei principi del diritto naturale».
Lo psichiatra Eugenio Borgna, docente presso l’Università di Milano e primario emerito di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara, ha affermato«Il matrimonio nasce dall’integrazione delle due psicologie diverse, quella femminile e quella maschile […], legami che prescindano da questa integrazione femminile/maschile si muovono su un campo diverso dal matrimonio e dall’istituto della famiglia, senza con questo discriminare nessuno: sono realtà profondamente differenti». L’affermazione secondo cui ormai è radicalmente superata la necessità che i coniugi siano di sesso diverso, è «apodittica, non motivata: non rivela il cammino con cui ci si è arrivati, non dà argomentazioni né ricostruzioni storiche e psicologiche. Insomma, è una fucilata che giunge senza un’origine, una opinione strana, tutt’altro che univoca e soprattutto non razionale, perché dà per scontato ciò che non lo è. Il senso comune è radicalmente – questa volta sì – allergico a una tesi simile». Il diritto dei gay a vivere liberamente una condizione di coppia, è «cosa ben diversa dal matrimonio, che nella nostra concezione della vita nasce dalla contestuale presenza dei due diversi mondi che lungo un progetto unitario uniscono le loro storie personali, anche sessuali, necessarie l’una all’altra per completarsi. Tanto più se ci sono figli, che senza ombra di dubbio hanno bisogno di una madre e di un padre, di due polarità ben precise, anche sessualmente definite. Secondo natura». Lo psichiatra ha fatto inoltre notare un errore clamoroso nella sentenza, quando si nega la valenza “naturalistica” alla differenza di sesso tra coniugi: «il termine “naturalistico” in psichiatria, che è una scienza biologica, significa una degenerazione del naturale, una deformazione. Insomma, chi ha redatto la sentenza ha usato un termine errato, incorrendo in un lapsus fragoroso e dicendo alla fine il contrario di ciò che intendeva sostenere. Cosa significa naturale? Ciò che si sviluppa spontaneamente, lungo orizzonti ontologici predicati nella condizione umana. Il “naturalistico” invece tradisce l’umano. Dunque sono d’accordo: la necessità che i due coniugi siano uomo e donna non è “naturalistica”, infatti è naturale».  Secondo la sua esperienza di medico, «la gente non si riconosce nelle parole di questa sentenza. Nemmeno chi a voce alta non ha coraggio di dirlo».
Il giurista Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte Costituzionale, ha spiegato che la Cassazione ha riaffermato che «non c’è un diritto fondamentale a contrarre matrimonio da parte di due persone dello stesso sesso», nemmeno c’è il diritto ad essere riconosciute se si sposano all’estero. Inoltre la sentenza «respinge la richiesta della coppia gay di portare la vicenda davanti alla Corte di giustizia europea», poiché essa non è competente. Non siamo quindi davanti a “diritti fondamentali”. Il problema è che la Cassazione «non si fa più interprete del diritto vigente», ma parla di “concezione superata” riferendosi alla diversità di sesso come principio indispensabile per il matrimonio. Lo fa senza basi, «o la giurisprudenza manifesta convinzioni personali oppure pretende di farsi interprete della sensibilità sociale, ma questo non è suo compito», va oltre «quella che è la sua funzione interpretativa dell’ordinamento, e si spinge a fare una valutazione di tipo culturale». Oltretutto si dimostra contraddittoria in più punti. Bisogna anche insistere sul fatto che «la libertà di vivere in una condizione di coppia», come chiede la Cassazione, «esiste già e non richiede una distorsione dell’istituto del matrimonio».
Il magistrato Guido Piffer, presidente di sezione del Tribunale di Milano, il magistrato Tomaso Emilio Epidendio e il magistrato Giuseppe Ondei, presidente della sezione famiglia e minori del Tribunale ordinario di Brescia, hanno scritto un articolo critico verso la sentenza della Cassazione, affermando: «lo spirito del tempo si incarna in quello che potremmo definire un “approccio sentimentale” alla giustizia», dove «si privilegiano le soluzioni alle questioni giuridiche che sentiamo emotivamente come giuste». Questo approccio presenta dei rischi, ovvero «rendere le decisioni sempre più imprevedibili e contraddittorie, in quanto legate alla soggettiva e mutevole emozionalità delle singole persone, fino ad arrivare ad uno scontro acceso tra posizioni irriducibili in quanto non fondate su ragioni, ma appunto su sentimenti, che si provano e non si argomentano, ciò che potrebbe portare (se non ha già portato) ad una crisi dell’attività di motivazione dei provvedimenti». Non avviene più l’analisi degli argomenti a favore e contro, ma «si sceglie la soluzione che si “sente” come giusta e si passa, poi, a cercare gli argomenti a sostegno, spesso senza neppure preoccuparsi della loro coerenza», creando «conflitti molto aspri su questioni delicatissime». Dopo questa considerazione generale i magistrati entrano nel tema della sentenza della Cassazione in un secondo articolo: il campo del matrimonio è «un terreno fertilissimo per un approccio “sentimentale” al diritto, perché sull’applicazione della norma ricade inevitabilmente l’influenza del bagaglio culturale ed emotivo di colui che quella norma deve applicare». A questo punto si analizzano le fallacie argomentative dei giudici della Cassazione, i quali interpretano il matrimonio comelogica “instintuale”, cioè «soddisfacimento di un bisogno del corpo, in cui il partner è lo strumento di tale soddisfazione e in cui centrale diventa perciò la disposizione del “diritto sul corpo”». Per regolare ciò viene definito un “contratto”, utile a una «regolazione consensuale di prestazioni viste come corrispettive e nel quale la stessa differenza sessuale non ha alcun ruolo determinante». Ma, obiettano,«questa prospettiva non riconosce la dignità dell’altro, visto appunto come strumento di soddisfacimento di un bisogno, e non come persona». La seconda interpretazione del matrimonio da parte dei giudici della Cassazione è quello del legame sentimentale, e il mezzo giuridico è quello del«riconoscimento di diritti fondamentali, o comunque indisponibili». All’interno di questa logica, rilevano i magistrati, «nulla vieta che il sentimento possa legare persone dello stesso sesso e, spesso con suggestivi salti retorici». Ma il problema di questa interpretazione del matrimonio è che «la variabilità e mutevolezza nel tempo del medesimo comporta inevitabilmente la possibilità di scioglimento dal legameogni qual volta il suo fondamento sentimentale venga meno», con conseguenze «sulla stabilità delle famiglie. In altre parole, alla solidarietà che associa i diritti ai doveri viene sostituita una visione cheassolutizza il diritto alla felicità individuale, senza disponibilità ad integrarlo con il bene degli altri componenti del gruppo familiare: cessato il sentimento, non solo viene meno il fondamento sostanziale del matrimonio, ma il rapporto da strumento di realizzazione della propria felicità si muta nel suo opposto, diviene cioè causa della propria infelicità dalla quale ci si deve dunque liberare al più presto». Preoccupante, concludono i magistrati, è la tendenza a «trasformare qualsiasi nostro personalissimo desiderio in un diritto fondamentale», e questo «non è affatto innocuo e vantaggioso per tutti, perché comporta l’insorgenza di obblighi e la possibilità coattiva di farli rispettare: occorre cioè investigare i caratteri che una unione deve avere per aspirare ad ottenere rilevanza giuridica, ad assurgere addirittura a diritto fondamentale e bisogna chiedersi se davvero tutte le unioni possano avere queste caratteristiche»Nel loro terzo articolo, sottolineano che la “promessa” è il fondamento del matrimonio, cioè un impegno che entrambi i coniugi unilateralmente si scambiano liberamente di fronte alla società per istituire una comunità destinata fisiologicamente a durare. Ribadiscono che «i termini e i concetti giuridici non sono per nulla “neutri” ed intercambiabili a piacimento, perché ognuno di essi sottende una precisa concezione, una scelta di valore: il matrimonio in una prospettiva strettamente volontaristica non è il matrimonio in una prospettiva istituzionale».
Il docente di Giurisprudenza presso l’Università di Princeton, Robert George, il docente di filosofia presso la stessa università, Sherif Girgis e il docente di Scienze politiche presso l’Università di Notre Dame,Robert Georgehanno pubblicato uno studio sul matrimonio -su “Harvard Journal of Law and Public Policy”, una delle riviste giuridiche statunitensi più importanti-, in cui affermano che l’unione tra un uomo e donna è un bene per la società, mentre il riconoscimento di quello omosessuale è una minaccia. Lo hanno dimostrato senza appellarsi a nessun argomento teologico. Ciò che lo rende un bene in sé è il suoorientamento intrinseco alla procreazione e all’educazione dei figli. Le tradizioni religiose, affermano, hanno solo riconosciuto quella che è un’istituzione naturale. Il matrimonio, infatti, è una pratica sociale la cui base può essere compresa dalla ragione umana comune, qualsiasi sia la nostra tradizione religiosa. Fanno notare che non c’è nessuna discriminazione nel non riconoscere le coppie omosessuali, così come non c’è discriminazione nel non riconoscere con la legge le unioni aperte, temporanee, poligamiche, incestuose o animali. E’ vero, l’incesto può generare bambini malati, ma perché lo Stato non dovrebbe riconoscere l’incesto tra adulti sterili? Il matrimonio implica un’unione completa tra gli sposi, anche l’unione fisica degli organi ma gli omosessuali non hanno nessun organo da unire, dunque la loro unione non può essere matrimoniale se per matrimoniale si intende l’unione completa e quindi anche organica. Il matrimonio, spiegano, è l’unione completa di due persone sessualmente complementari che consumano la loro relazione in un atto che è di per sé generativo. Inoltre, data la tendenza della relazione matrimoniale alla procreazione non sorprende che, secondo le più accessibili e migliori evidenze sociologiche, i bambini raggiungono i punti più alti negli indicatori di crescita sana quando sono educati dai loro genitori biologici. Il matrimonio omosessuale influisce negativamente su quello eterosessuale in quanto abolendo il concetto coniugale di matrimonio si indebolisce l’istituzione sociale del matrimonio,oscurando il valore della genitorialità di sesso opposto e minacciando la libertà morale e religiosa. Inoltre, riconoscere un’unione in base a un sentimento emotivo tenderà a far crescere l’instabilità coniugale e indebolire l’aspettativa sociale che si ha sul matrimonio significa rendere più difficile ai coniugi il compito di attenersi alle norme del matrimonio naturale. La cosa fondamentale è poi l’oscuraramento del valore della differenza sessuale dei genitori, la quale è ampiamente dimostrato dalla medicina e dalla sociologia essere la migliore per la crescita della prole. L’affermazione omosessualista di riconoscere unarelazione romantica non tiene: se l’unione tra due uomini deve essere riconosciuta sulla base dell’amore romantico, perché non dovrebbe essere riconosciuta anche quella tra tre uomini? Non si può nemmeno riconoscere le unioni omosessuali come matrimoniali sulla base di ciò che causa l’omosessualità, come unatendenza genetica secondo alcuni. La bontà del matrimonio naturale e il suo apporto al bene comune, concludono gli studiosi, possono essere compresi, analizzati, e discussi senza argomentazioni teologiche.
Il sociologo Pietro Boffi, ricercatore del Cisf (Centro internazionale Studi famiglia) ha riflettuto«occorre interrogarsi se la definizione di famiglia finora valida sia ormai vuota. Io sono convinto di no: maschio e femmina, un padre e una madre, sono categorie che non si buttano in un attimo, non possiamo ignorare l’intera psicologia dell’età evolutiva. Stiamo assistendo a una disarticolazione delle categorie mentali dell’umano». Anche tenendo in considerazione le coppie gay, ha ricordato che «la famiglia non è solo il luogo degli affetti, ma si regge su un patto che garantisce davanti a tutta la società due cose: lastabilità e la procreazione. Da sempre la procreazione è un fatto sociale, esce da un aspetto meramente privato. Ecco perché il matrimonio è un istituto giuridico».
La psicologa Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, ha ricordato che«affermare che l’unione di un uomo e una donna è uguale a quella tra persone dello stesso sesso significa pensare che tra maschio e femmina non c’è differenza, cioè che ogni individuo è totipotente e indifferenziato, che non ha limiti, perché ognuno è tutto. Non a caso il terreno di questa battaglia è proprio il sesso, la differenza più radicale nella persona, l’aspetto davvero fondante del limite: chi è maschio non è anche femmina e viceversa. Pensiamoci bene: qualsiasi donna incinta chiede subito se il figlio “è maschio o femmina”, perché così ne conoscere l’identità». Secondo la neuropsichiatra, l’adozione di un figlio da parte delle coppie gay «provocherà danni molto gravi a questi minori. Potrà vivere quel bambino con due genitori maschi (o femmine)? Dipende: se vogliamo crescerlo nell’onnipotenza sì, ma sappiamo che questo non lo farà stare bene. Il fatto è che oggi si pensa che amare un figlio significhisolo riversargli addosso dell’affettività, ma così non è. A forza di desensibilizzare le persone e di svuotare le parole del loro vero significato – famiglia, matrimonio, diritti – si diluisce ogni confine»
AG.RF. (di Raffaele Dicembrino) 18.03.2013

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