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«THE MEYEROWITZ STORIES (New and Selected)» (USA 2017) di Noah Baumbach – la recensione

the-meyerowitz-stories-stilldi Marino Demata (RiveGauche)

AG.RF 27.11.2017 – Il film “The Merowitz story (New and selected)” a nostro giudizio consacra definitivamente il suo regista, Noah Baumbach, come il nuovo Woody Allen, perchè capace, tra l’altro, di rinverdire la tipologia filmica della saga famigliare inserita nell’ambiente dell’intellighenzia ebraico-americana, sulla quale tante volte Allen si è cimentato con successo.

E proprio come nei film di Allen non è facile orientarsi subito nei vari intrecci sentimentali (e legali) che caratterizzano la famiglia Merowitz, che col tempo è andata configurandosi sempre più come famiglia iper-allargata. Un contributo iniziale e decisivo lo ha fornito proprio il capo famiglia, Harold (Dustin Hoffman), che ha avuto molte mogli e alcun figli di madri diverse. Ma, a chi gli ricorda che è stato sposato ben quattro volte, lui risponde “Tre! Il primo matrimonio non vale: è stato annullato!”  the-meyerowitz-stories.jpgHarold è un vero e proprio patriarca della famiglia: ha avuto una vita agiata e con soddisfazioni procuratele soprattutto dalla sua attività di scultore di opere di piccole o medie dimensioni. Il suo ricordo più soddisfacente, che cita almeno una volta al giorno è l’acquisto da parte del Museo Whitney di New York di una sua opera negli anni d’oro della sua attività e sogna di poter fare di quest’opera il centro di improbabili retrispettive sui suoi lavori.
Ha una figlia molto attiva in casa e due figli, nati da due madri diverse dai caratteri diversissimi : il primo, Danny (Adam Sandler), che stenta a trovare stabilità lavorativa e affettiva, sta divorziando da sua moglie proprio mentre la figlia Eliza (Grace Van Patten) è in partenza per il College. Tende inoltre a gigioneggiare e non prendere la vita seriamente, anche se si tratta della sua stessa salute (non si decide ad operarsi all’anca e si trascina con un’andatura tutt’altro che spedita). All’opposto l’altro figlio, Matthew (Ben Stiller) vive a Los Angeles, è impegnato in vari e redditizi business finanziari e naturalmente, è a sua volta in una situazione famigliare critica. Da citare anche l’ultima moglie del capofamiglia, Maureen (Emma Thompson), che ha il vizio dell’alcool, che Harold pensa di poter risolvere con varie promesse sempre diverse, del tipo “Se non bevi più ti prometto che costruiremo una piscina” e così via.THe Meyerowi2
Creando queste premesse, Baumbach ha davanti a sè sufficiente materiale per scatenare una serie situazioni in parte esilaranti, ma in parte soprattutto spinte verso quell’humour sottile fatto di battute ironiche e autoironiche in tipico stile “Woody Allen”, come si diceva sopra. Anzi il materiale che ogni membro della famiglia (nonchè gli amici e conoscenti) porta con sè è tale che situazioni, eventi e battute si accavallano, soprattutto nella fase iniziale del film, sommergendo lo spettatore nelle onde  prodotte dal fiume di parole che ciascun personaggio ha da esprimere. Il che in parte è anche comprensibile per lo stile di Baumbach che si affida più alla battuta raffinata e all’humour ebraico-newyorkese che alle immagini. Per queste ultime ilregista lavora molto di montaggio,  creando tagli  improvvisi e accostamenti audaci di situazioni differenti che accentuano l’aspetto umoristico dell’intera vicenda.
Di indubbio effetto la sequenza dell’inaugurazione al MOMA della mostra di uno scultore amico e coetaneo di Harold, che, accompagnato dal figlio Danny, non nasconde il suo disappunto per non essere stato in grado di aver organizzato qualcosa di simile. Ma si consola con il saluto affettuoso che gli gratifica l’attrice Sigourney Weaver  (in un breve cameo) e l’episodio sarà da lui raccontato più volte!THe Meyerowi3
La lunga degenza in ospedale di Harold è l’occasione per un più stabile incontro dei vari membri della larga famiglia e anche il motivo per nuovi contrasti, ma anche per sia pur tardivi chiarimenti.
Un film sicuramente da non perdere, con un cast di tutto rispetto e con attori bene in parte, a cominciare da Dustin Hoffman finalmente riportato ad un ruolo capace di esaltare le sue illimitate possibilità e di farci dimenticare i suoi  80 anni suonati che non gli hanno fato smarrire la sua verve dei momenti migliori. Adam Sandler è forse fin troppo vulcanico nell’interpretazione di un personaggio difficile, ove è complicato trovare il giusto equlibrio.  Sorprendentemente misurata è invece l’interpretazione di Ben Stiller. Tutti bravi gli altri.
Il regista sembra aver imboccato la strada giusta abbandonando un po’ la ruvidezza dei primi film e facendo pienamente tesoro della verve di Wes Anderson, col quale ha collaborato in occasione di alcune sue opere significative. Il film può comodamente vedere in anteprima su Netflix da casa, o aspettare che arrivi sugli schermi italiani, se si è disposti a subire lo strazio del doppiaggio e il consueto cambiamento del titolo: è inutile chiedersi il perché. Forse perché noi spettatori italiani siamo un po’ idioti e i titoli devono essere semplificati?  Boh….

 

Fonte: rivegauche-filmecritica.com

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