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L’INUTILITA’ DELLA VIVISEZIONE NELLA MEDICINA DA IPPOCRATE A SPALLANZANI

babuinoa cura di Francesca Cesana (AG.RF 16.09.2014) ore 10:31

(riverflash) – Ippocrate è considerato il più grande medico dell’antichità, e probabilmente la sua sapienza non è mai stata sorpassata: esistono oggi forti correnti che vorrebbero ritornare ai princìpi ippocratici.Visse tra il quinto e quarto secolo a.C, e gli studiosi concordano, che da lui provengono tutti i migliori insegnamenti antichi sulle epidemie, le febbri, l’epilessia, le fratture, la differenza tra tumori benigni e maligni, la salute in genere, e soprattutto l’importanza dell’igiene e dei valori etici in medicina. Grande clinico, osservava attentamente il malato e lo aiutava a lasciarsi guarire dalla vis suprema guaritrix: la natura.Di sicuro sappiamo peraltro soltanto che è vissuto, poiché il suo contemporaneo Platone lo menziona nei propri scritti. Tuttavia vari moderni editori hanno pubblicato opere a suo nome. Ad esempio, l’editrice francese Littré ha fatto apparire ben dieci volumi tra il 1939-1961 col titolo Oeuvres complètes d’Hippocrate, e nel 1922 apparvero a Stoccarda cinque volumi intitolati Die Werke des Hippokrates, tutti apocrifi.La filosofia medica d’Ippocrate ci viene descritta così dallo svizzero Henry E. Sigerist, che ebbe la Cattedra di Storia della Medicina all’Università di Lipsia e poi a quella di Johns Hopkins ed è riconosciuto come il più autorevole storico della nostra epoca:«La natura guarisce. Il compito del medico consiste nel rafforzare le capacità risanatrici naturali, di guidarle, e soprattutto di non ostacolarle. Il trattamento più indicato è quello dietetico. Attraverso il cibo, le forze si rigenerano. E così la dietetica ippocratica ha raggiunto un livello che ancora oggi merita la nostra massima ammirazione». (Grosse Aerzte, “Grandi medici”, ed. Lehmann, München, 6aed., 1969, p. 28.)Solo oggi sappiamo quanto sia giusto ciò che Ippocrate aveva insegnato, basandosi solamente sul suo intuito di vero medico.Ormai sappiamo che un fegato rovinato e scarificato da malgoverno organico, come eccesso di alcolici, fumo, altre stravaganze, può rigenerarsi completamente da solo, in pochi anni di dieta adatta e di condizioni di vita semplice e sana, laddove la somministrazione di farmaci epatici perfezionati in laboratorio non fa che aggiungere veleni, causando ulteriori danni. Nel medesimo libro, Sigerist ribadisce questo concetto nella biografia di colui che egli considera il più grande medico tedesco del nostro secolo, August Bier, inventore dell’anestesia lombare, di cui dice (p. 436):«Dopo il 1920, Bier si è staccato completamente dalla ricerca individuale.Egli è dell’idea che sia un grosso sbaglio considerare che al giorno d’oggi la medicina abbia raggiunto un livello senza precedenti.Egli ritiene necessaria la fondazione di un nuovo sistema in medicina. L’arte medica vera e propria è decaduta; a causa della ricerca di laboratorio si è persa la comprensione dell’insieme, il risultato di esperimenti viene estrapolato senza senso critico all’uomo…La medicina ha la fortuna di avere in Ippocrate, il più antico medico della storia, un grande esempio… Si tratta dunque di ritornare a un concetto medico, allo sguardo clinico».Non si sa come qualcuno possa affermare che “gli ippocratici” siano stati convinti della necessità della vivisezione.Chi ne era convinto non poteva, ovviamente, definirsi un ippocratico. Ippocrate credeva nei mezzi semplici e naturali, anziché in mezzi violenti, i quali insieme alla malattia uccidevano sovente anche il malato. Suo il principio «anzitutto non nuocere».L’edizione francese della New York Herald Tribune del 20-3-1904, che riportava i pareri di vari medici sulla vivisezione, conteneva la seguente dichiarazione del dott. Salivas di Parigi: «L’immortale Ippocrate non ha mai vivisezionato eppure ha portato la sua arte a un livello dal quale oggi siamo molto lontani, nonostante le presunte grandi scoperte moderne».Inoltre tutti gli storici attraverso i tempi sono stati concordi nell’attribuire ad Ippocrate uno sviluppatissimo senso etico, inconciliabile con la pratica vivisezionista.Non per caso il giuramento dei medici porta il nome d’Ippocrate e non quello di Galeno.Galeno (130-200), entusiastico vivisettore, fu il primo medico della storia a dimostrare, suo malgrado, la dannosità delle esperienze vivisezioniste per la scienza medica; esperienze che non solo non gli insegnarono nulla sull’uomo, ma divennero fonte di errori clamorosi, che dovevano protrarsi per un millennio e mezzo.Giunto a Roma verso l’età di 30 anni proveniente da Pergamon, nella natia Grecia, dove già si era fatto una reputazione come medico dei gladiatori, Galeno seppe diventare ben presto il medico alla moda, tanto che nel corso di 30 anni fu il medico personale di cinque imperatori romani.Fu anche prolifico scrittore sull’arte medica, e le sue convinzioni monoteistiche fecero sì che più tardi la Chiesa eleggesse il suo lascito scientifico a dottrina medica “ufficiale”. Per secoli, chi metteva in dubbio un’affermazione galenica era un eretico e doveva ricredersi sotto la tortura della Santa Inquisizione; il che assicurò all’umanità per 15 secoli la perpetuazione di molti errori fatali, provenienti dalle osservazioni che Galeno aveva fatto nel corso delle sue vivisezioni di animali. A noi oggi tutto ciò potrà sembrare strano.Ma certo non più strano di quanto sembrerà in un prossimo futuro la scuola medica attuale.Brian Inglis dice nella sua Storia della Medicina (A History of Medicine, Weidenfeld & Nicholson, 1965): «Galeno aveva lasciato Roma poco dopo il suo arrivo, ma poi vi ritornò, su insistenza dell’imperatore Marc’Aurelio. Questo ritorno è considerato come la più grande disgrazia che sia mai accaduta alla medicina».Nel 192 un incendio distrusse parte della biblioteca personale di Galeno, la quale comprendeva oltre 400 suoi trattati di medicina. Se l’incendio li avesse distrutti tutti, a noi non resterebbe altro che accettare la credenza tradizionale che Galeno sia stato effettivamente il più grande medico di tutti i tempi. Invece l’incendio risparmiò 98 delle sue opere, dalle quali sappiamo che le sue conoscenze valide derivarono tutte dall’osservazione clinica, dai suoi contatti con i malati, come l’affermazione che la condizione organica è influenzata dalla psiche; per contro buona parte degli errori da lui tramandati derivava dall’illusione che l’animale potesse fornire dati validi anche per l’uomo.Col passare del tempo i precetti umani e umanitari di Ippocrate vennero sprezzati. Secondo Plinio, il romano era stato un popolo sano durante il periodo iniziale dell’Impero e anche prima, grazie all’igiene assicurata dagli acquedotti e dall’uso delle terme. Ma a poco a poco, le regole semplici come una dieta sana e una rigorosa pulizia che non costava nulla, non fecero più presa su di un popolo a cui i nuovi medici predicavano la necessità della magia, degli amuleti e dell’astrologia.Il graduale abbandono dell’igiene ippocratica rendeva sempre più pericolosi gli interventi chirurgici, che non solo in Oriente e nell’antico Egitto, ma anche nella Roma del Primo Impero avevano raggiunto un alto livello di sviluppo, sicché vennero ridotti al minimo.Nel Medioevo l’evoluzione culturale era ancora lentissima, e in molte arti e tecnologie si era addirittura andati a ritroso. Difatti il progresso umano si è alternato con lunghi periodi d’inspiegabile regresso. Quel che era accaduto con l’architettura, in cui si erano perse le nozioni edili dei romani e degli egizi, era accaduto in misura ancora maggiore con l’arte medica e la tecnica chirurgica. Amputazioni venivano eseguite solo in casi estremi, per il pericolo quasi inevitabile dell’infezione e la difficoltà di controllare l’emorragia. La tecnica impiegata dai greci per allacciare i vasi sanguigni era andata perduta insieme a quasi tutta la scienza chirurgica degli antichi, e i moncherini venivano cauterizzati con ferri roventi o olio bollente.Gli insegnanti di anatomia non conoscevano altri testi che quelli di Galeno: la donna aveva due uteri, uno per i feti maschi, l’altro per le femmine. Molti errori galenici ebbero gravissime conseguenze nel corso dei quindici secoli seguenti, come l’insegnamento che il pus era un buon segno ed essenziale alla guarigione di una ferita, e che la frutta era dannosa (Galeno aveva attribuito la longevità del proprio genitore ultracentenario al fatto che non toccava mai alcun frutto).Il sangue passava dal ventricolo destro al ventricolo sinistro del cuore attraverso pori invisibili. Ma l’errore più catastrofico per l’umanità, che le portò le grandi epidemie del Medioevo, fu l’abbandono delle regole igieniche, che Galeno considerava come una antica superstizione, avendo osservato che gli animali vivevano benissimo senza lavarsi le zampe e le loro ferite si rimarginavano anche senza cure.Già gli antichi greci e romani, che trovavano normalissimo accecare i ribelli, impalare i soldati nemici e passare a fil di spada le popolazioni sconfitte, avevano vietato sotto pena di morte la sezione di cadaveri umani; ma la sezione di animali vivi li lasciava indifferenti, e in seguito la Chiesa non si regolò diversamente. Questo spiega come mai i medici che volevano scoprire i segreti della vita umana abbiano fatto, tal quale i vivisettori odierni, più passi indietro che avanti.Nell’oscurità medievale brillarono alcuni medici orientali, tra cui nell’XI secolo il persiano Razes e l’arabo Avicenna; ma la grande svolta dovette attendere ancora vari altri secoli, quando grazie a Martin Lutero una parte dell’Europa cominciò a sollevare timidamente i veli dell’oscurantismo.Il primo grande passo avanti venne compiuto dal belga Andrea Vesalio, che fin da ragazzo si era dilettato a vivisezionare topi, gatti, cani, e aveva dichiarato che più di tutto gli piaceva lavorare sui maiali, perché questi non cessavano di grugnire sotto i ferri, laddove gli altri animali a un dato punto soffrivano senza lagnarsi.Sintomatico che tutte queste vivisezioni non gli appresero niente sull’uomo, ma che le sue grandi scoperte Vesalio le fece allorché cominciò a rubare nottetempo i cadaveri degli impiccati fuori dalle porte di Liegi, per sezionarli, e mise clamorosamente a nudo gli errori galenici, in un’opera considerata il capolavoro di anatomia descrittiva: De humani corporis fabrica, illustrata nel laboratorio di Tiziano e pubblicata a Basilea nel 1543.A quell’epoca era ancora pericoloso accusare Galeno di inesattezze. Pochi anni prima, Paracelso era stato cacciato dall’Università di Basilea dove insegnava anatomia, per avere bruciato in aula le opere di Galeno (e perciò era stato chiamato anche il Martin Lutero della medicina medievale); ed erano stati gli stessi studenti, preoccupati di tanta disinvoltura, a provocare il suo allontanamento. E ancora nel 1560 un inglese che aveva chiesto di entrare nell’Ordine dei Medici fu obbligato anzitutto a ritrattare per iscritto i dubbi che aveva espresso circa l’infallibilità di Galeno.Vesalio avrebbe potuto finire sul rogo degli eretici, come doveva accadere ancora dieci anni dopo al medico e teologo spagnuolo Miguel Servetus, che aveva sezionato un cadavere; ma Vesalio, che era diventato professore di anatomia a Padova, si affrettò a giustificarsi affermando di non avere voluto smentire Galeno, bensì dimostrare la correttezza dei suoi insegnamenti, tranne per quel piccolo malinteso di credere che le sue esperienze con gli animali fossero applicabili all’uomo. Tuttavia i professoroni universitari dell’epoca, compreso il suo maestro Jakobus Sylvius — quasi tutti galenisti, come oggi sono quasi tutti vivisezionisti — scesero in campo come un sol uomo contro di lui, accusandolo di “errore e follia”, e Vesalio considerò prudente riparare in Spagna.La verità aveva comunque cominciato a farsi luce; ma il galenismo resisteva. L’ignoranza, specie quella dei dotti, si è sempre dimostrata dura a morire. Per esempio, basandosi sull’animale, Galeno aveva descritto il femore umano come quello dei quadrupedi; quando il libro di Vesalio dimostrò l’inesattezza di tale descrizione, i professoroni dell’epoca spiegarono che dai tempi di Galeno il femore umano aveva cambiato forma per l’abitudine di portare calzoni anziché la toga…Invano Paracelso aveva tentato di riportare in auge l’igiene e tutti gli altri precetti ippocratici. Verso la fine del Medioevo, magia, superstizioni e religione dominavano più che mai l’arte medica, in mezzo a un’inconcepibile sporcizia. La febbre veniva trattata con la scheggia d’una soglia sopra la quale era transitato un eunuco. Per guarire una persona in preda al demonio i medici prescrivevano un’infusione di varie erbe, birra e acqua santa sulla quale erano state dette sette messe e che andava bevuta da una campana di chiesa. Contro l’epilessia si consigliava di foggiare a braccialetto un chiodo di una nave arenata, di mettervi dentro un osso (sic) proveniente da un cuore di cervo, prelevato quando il cervo era ancora vivo, e di portare tale braccialetto al braccio sinistro. Ci volle quasi un altro paio di secoli dopo la pubblicazione dell’opera di Vesalio prima che si dissipasse tutta la nebbia del galenismo, al quale doveva subentrare ben presto una dottrina altrettanto errata e tirannica, e incomparabilmente più pericolosa.Nel 1628, meno d’un secolo dopo il libro del Vesalio, apparve il famoso trattato sulla circolazione del sangue, di William Harvey, un inglese che aveva studiato a Padova; sicché gli storici di medicina che ignoravano i testi antichi lo chiamarono lo “scopritore” della circolazione, tracciando la falsariga per tutti gli storici seguenti, le cui “ricerche” di solito consistono nel copiarsi a vicenda. Che il sangue circolasse era un fatto noto da millenni. Il Nei Cing, “Libro della medicina”, che forma la base di tutta la letteratura medica cinese, compilato nel 2650 a.C. dall’imperatore- scienziato Huang Ti, già conteneva queste chiare parole: «Tutto il sangue nel corpo è sotto il controllo del cuore… Il sangue scorre ininterrottamente compiendo un giro che non si ferma mai».Ancora oggi non tutta la sapienza asiatica è diventata di dominio pubblico in Europa; tantomeno nel Medioevo. Basta pensare a Marco Polo, che dalla Cina ci portò gli spaghetti, ma si dimenticò di menzionare la stampa, che in Cina esisteva da secoli. Tuttavia, che il sangue circolasse non era certamente un segreto per gli scienziati medievali. Troppi ne avevano già parlato. Nel XIII secolo l’arabo Ibn an Nafis aveva scritto che il sangue passa dal lato destro del cuore, attraverso i polmoni, al lato sinistro. (La sua opera, a lungo dimenticata, è ritornata alla luce poco prima della seconda Guerra mondiale.)Un altro al corrente della circolazione era Leonardo, che per amore dell’arte aveva studiato i soliti cadaveri d’impiccati e aveva scoperto il funzionamento di molti organi interni.Difatti Leonardo, e non Vesalio, sarebbe oggi considerato il padre della moderna anatomia, se non gli fosse morto l’aiutante che doveva riprodurre i suoi disegni per il volume che andava preparando; disegni che invece rimasero nel laboratorio. Leonardo aveva già riconosciuto che la base delle due grandi arterie, l’aorta e l’arteria polmonare, da cui il sangue esce dal cuore, era provvista di valvole che impedivano al sangue d’invertire il suo corso e ritornare al cuore.La questione della circolazione del sangue ebbe lentissima evoluzione nel mondo occidentale poiché contrastava con le opinioni di Galeno, ossia con la scienza “ufficiale” dell’epoca.Anche l’eretico Servetus aveva spiegato nella sua Restitutio Christianismi che il sangue passa dal lato destro al lato sinistro del cuore, attraversando i polmoni, e che nel corso di questo passaggio veniva “rinfrescato ‘ da qualcosa tratto dall’aria. Non per nulla la pretesa di Harvey di essere stato lui lo scopritore della circolazione suscitò un’immediata controversia.Harvey aveva osservato la posizione delle valvole in molti cadaveri prima di arrivare alla sua teoria, come lui stesso riferì al famoso chimico Robert Boyle. (Sir Berkeley Moynihan in British Medical Journal 16-10-1920, p. 577.)La sezione di cadaveri umani aveva insegnato, a lui e ad altri, l’esistenza delle vene e delle arterie.La constatazione che le vene sono provviste di valvole gli fece capire in quale direzione doveva scorrere il sangue, e che quindi perveniva alle vene dalle arterie. Ma in che modo ciò avveniva, nessuno allora poteva sapere, non essendo stato ancora inventato il microscopio, che doveva permettere di scoprire la circolazione capillare.Intanto Harvey aveva accertato, legando un braccio umano e osservando l’insorgere del gonfiore e altri fenomeni, che il sangue scorre e in quale verso.Dagli scritti di Harvey, che esistono anche in italiano (Opere di Harvey, a cura di Franco Alassio, ed. Paolo Boringhieri, 1963) ognuno può vedere come, con un po’ d’intelligenza, si possono fare con estrema semplicità esperimenti veramente rivelatori osservando l’uomo, e preferibilmente la propria persona.Ad esempio:p. 72: «Praticata una legatura quanto più stretta è possibile si constata che l’arteria al di là della legatura, cioè verso la mano, si gonfia vicino alla legatura, come ribollendo. Dopo un certo lasso di tempo, si allenti la legatura d’un tratto: la mano viene a riprendere subito il suo colore e le sue vene si sgonfiano. Se nel momento stesso in cui si allenta la stretta si pone un dito vicino alla legatura sull’arteria che torna a pulsare, si avverte nettamente lo scorrere del sangue, e lo stesso individuo sottoposto all’esperimento avverte distintamente e di colpo, non appena allentata la legatura, che il calore e il sangue entrano ora ad ogni pulsazione».p. 78: «Noi vediamo che il sangue scorre dalle arterie alle vene e non dalle vene alle arterie: aprendo una sola vena cutanea d’un braccio, e applicando in modo opportuno la legatura, vediamo uscire dal braccio pressoché l’intera sua massa di sangue».p. 109: «Un solo esperimento, a chi lo voglia, per individuare esattamente le vene. Si leghi il braccio con una legatura lenta, lo si muova sino a che nella porzione legata siano comparse bene in rilievo le vene e che i tessuti del braccio si arrossino per il sangue. Si immerga allora la mano in acqua gelida, in modo da raffreddare sufficientemente il sangue che si è ammassato; a questo punto si sciolga la legatura: si avverte allora scorrere nel braccio una corrente di sangue freddo che affluisce rapidamente al cuore e può turbarne il normale andamento…».Harvey dunque scoprì, o meglio riscoprì, la circolazione del sangue con esperimenti semplicissimi sull’uomo, compreso se stesso, senza necessità di vivisezionare chicchessia. In Life and Works of William Harvey è descritto come egli si servì di un cadavere, legando una volta le arterie e un’altra volta le vene che portano il sangue dentro e fuori dagli atri del cuore, e iniettando con forza acqua nel cuore: è quel che viene mostrato nelle sale di fisiologia di tante scuole mediche, dove si forza nella parte sinistra del cuore di un cadavere una soluzione colorata per far risaltaretutti i vasi, facendo distintamente vedere agli studenti come il liquido trova la sua strada per tutto il corpo; e così si dimostra la circolazione del sangue, come fece Harvey tre secoli fa.Fu dopo che ebbe provato a se stesso la sua teoria che Harvey — allevato alla scuola vivisezionista di Padova — volle “dimostrarla” anche sugli animali; almeno secondo la sua opera descrittiva dedicata al re d’Inghilterra. A quel tempo Harvey non poteva confessare di avere usato cadaveri umani, e asserì che per giungere alla sua conclusione aveva dovuto vivisezionare ben 80 specie diverse di animali: un’affermazione palesemente ridicola, intesa a guadagnarsi la stima di “serietà”.Interessante il commento del grande Lawson Tait dinanzi all’Accademia scientifica di Birmingham il 20 aprile 1882:«Quanto alla presunta scoperta di Harvey, si può chiaramente dimostrare che ciò che sapeva Harvey era già risaputo prima di lui. Dinanzi alla Royal Commission è stato conclusivamente smentito da autorità mediche del calibro di Acland e Lauder Brunton che Harvey abbia portato un qualsiasi contributo alla causa della vivisezione.La circolazione venne provata fino in fondo soltanto allorché Malpighi ebbe a disposizione il microscopio, e anche se in tale sua osservazione egli compì un esperimento di vivisezione, questo non era necessario, poiché sarebbe stato meglio e più facile osservare la palma della zampa della rana anziché il polmone. È chiaro che se oggi venisse proposta la prova della circolazione del sangue come un nuovo tema, il modo più facile e più rapido di stabilirla sarebbe mediante un cadavere e una siringa d’iniezione. Difatti si può affermare che tutta la dimostrazione della circolazione del sangue era rimasta incompleta fino al giorno in cui fu fatto l’esame microscopico di un tessuto irrorato da un’iniezione».Determinante per il progresso della scienza doveva rivelarsi appunto l’invenzione del microscopio, per merito del pannaiolo olandese Antony Leeuwenhoek (1632-1723), il quale per diletto fabbricava lenti ottiche sempre più perfette e potenti, finché divenne il primo individuo che riuscì a vedere organismi unicellulari, oggi nominati microbi, mediante uno strumento che oggi chiamiamo microscopio.L’olandese era morto da poco quando nacque in Italia Lazzaro Spallanzani (1729-1799), che divenne professore all’Università di Reggio e più tardi a Pavia.Pur essendosi fatto prete, fu instancabile sperimentatore in tutti i campi, dunque anche nella vivisezione, che però non gli apprese nulla: l’importante contributo che Spallanzani ha dato alla scienza proviene tutto dalle sue ricerche col microscopio.La maggior parte degli scienziati di quell’epoca, tra cui il naturalista Buffon, credevano che gli animali minori come gli insetti, le rane e i topi, nascessero spontaneamente, dal concime o dal fango. Spallanzani fu il primo a provare che nemmeno un microbo nasce dal nulla. Isolando un singolo germe sotto il microscopio di Leeuwenhoek, osservò come si restringeva nel mezzo, si divideva e moltiplicava. Poi con una lunga serie di esperimenti dimostrò che in un liquido imbottigliato a chiusura ermetica e portato ad alta temperatura, i microbi muoiono tutti e nulla più può nascere in quel liquido finché rimane ermeticamente chiuso. (Essendosi accorto che nessun tipo di tappo poteva tenere fuori i microbi, sigillava le bottiglie fondendone il collo nel fuoco.)Tale scoperta conteneva tutti i dati utili per la teoria bacillare di Pasteur e gli studi di Koch, preparando la strada a una nuova era.Con la morte di Spallanzani siamo giunti alla soglia di un altro secolo, di una nuova epoca. Il mondo si era liberato dalle superstizioni del galenismo, tranne una sola; la quale, come il microbo osservato da Spallanzani, aveva già cominciato a dividersi e moltiplicarsi, assumendo forme sempre più mostruose. Ma ancora nessuno sembrava essersene avveduto.

 

Vedi il capitolo LA STORIA in: Imperatrice Nuda (1976) –http://www.hansruesch.net/articoli/Imperatrice%20Nuda%20(1976).pdf

VEDI:
http://www.hansruesch.net/

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