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L’INQUIETUDINE DI HOPPER AL VITTORIANO

hb_25_31_2di Sabrina Sciabica (AG. RF. 30.12.2016)

(riverflash) – In questi giorni e fino al 12 febbraio 2017 sono esposte al Vittoriano le opere di Edward Hopper (1882/1967), il pittore che ha fatto conoscere all’Europa quelle atmosfere americane di solitudini e silenzi, caratterizzate da case vittoriane in mezzo a praterie sconfinate e fari che svettano su paesaggi freddi e desolati.

Nato in una piccola cittadina sul fiume Hudson, nello stato di New York, da una famiglia della middle-class americana, Hopper si rivela sin da giovane un ottimo disegnatore e trascorre un periodo in Europa apprezzando particolarmente Parigi. Il percorso espositivo nell’Ala Brasini comincia proprio con le tele che mostrano la profonda influenza degli Impressionisti sul suo modo di dipingere: olii molto realistici raffiguranti i caffè parigini, i ponti sulla Senna, le tipiche mansarde sui tetti degli edifici. E ci sono, andando avanti, due splendidi dipinti (Interno d’estate e Interno a New York) a soggetto femminile in cui è evidente l’influenza di Degas. Da notare che, se nelle visioni giovanili i colori sono tenui e i corpi ben illuminati, l’ambiente si incupisce nei quadri degli anni successivi e gli interni newyorchesi diventano sempre più scuri e malinconici.

Tra le opere esposte – peccato per il numero esiguo rispetto al costo del biglietto – ci sono delle preziose incisioni in cui risalta l’abilità dell’artista. Mentre nella maggior parte di disegni e acquerelli c’è un taglio orizzontale, nell’acquaforte Night Shadows osserviamo una prospettiva a volo d’uccello, un angolo di città dall’atmosfera misteriosa, un fermo immagine di un uomo in una strada deserta.

E ancora, direttamente dal Whitney Museum di New York, ammiriamo, oltre ai fari tanto amati dal padre del realismo americano, le sue raffigurazioni delle case tipiche: architetture vittoriane con bow window, cornicioni sporgenti e tetti spioventi.

Il tema del voyerismo è ricorrente ma l’occhio che guarda è sempre velato dalla tristezza. Le opere del pittore americano, infatti, vanno lette ben oltre al valore artistico, per il loro contenuto civile: vi è un senso di disagio e isolamento, nessuna socialità, quanto piuttosto la percezione di anonimato all’interno di una profonda solitudine metropolitana.

Tutto ciò è reso con paesaggi spogli, dai colori algidi, dalle linee geometriche; dal fatto che i pochi personaggi presenti in questi interni bui hanno un atteggiamento languido e sembrano provare una profonda sensazione di nostalgia.

Interessantissima, al piano superiore, è l’analisi dello stretto rapporto che il cinema internazionale ebbe con questo artista acuto e perspicace.

Wim Wenders affermò che “i dipinti di Hopper sono sempre l’inizio di una storia” e lo tenne a mente per le sue inquadrature. Hitchcock si ispirò al delicato erotismo dei suoi quadri nella regia del film La finestra sul cortile e ad una delle tante case disegnate da Hopper per ambientarvi un intero film (il Bates Motel di Psyco). David Lynch ne riprodusse i personaggi seducenti e le atmosfere strane e rarefatte.

Si pensi all’immagine della pompa di benzina in mezzo al nulla, ricorrente in numerosi film (al Vittoriano è esposto il disegno di Hopper Study for Gas del 1940, a cui si sono ispirati vari registi), così come a quei bar dalle vetrate enormi e i tavoli appoggiati ad esse, che si affacciano sulle larghe strade poco animate delle città americane.

Hopper aveva inventato inconsapevolmente un modo “filmico” di guardare la realtà. Inoltre, aveva sottolineato con linee e colori quel profondo senso di alienazione e inquietudine che sarà il tema fondamentale non soltanto del cinema ma di tanta arte del XX secolo…dalla follia del maestro Dario Argento, al mitico personaggio della penna di Raymond Chandler, magistralmente interpretato da Humphrey Bogart, nel ruolo di Philip Marlowe, nel Grande Sonno.

 

 

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