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LA VITA IN DANZA DI LIFAR HA ATTINENZA CON LA VITA IN MUSICA DI CIAJKOVSKY

di Francesco Angellotti (AG.RF 18.06.2020)

 (riverflash) – I personaggi di cui si possono ammirare le composizioni il mercoledì sera su Rai 5, sono un punto fisso nella Cultura, seguendo la vena musicale nella sua qualità.

   L’unicità di SERGE LIFAR è stata focalizzata, scandendola scevra di tutte le critiche che non potevano aver riscontro; dato che prendevano spunto da comportamenti apparenti, senza valutare quelli che sono stati gli impegni coraggiosi per i quali avrebbe dovuto meritare ancor più ammirazione.

   Nato nel 1905 a Kiev da padre funzionario, ha scoperto la sua interiore attitudine alla Danza trovandosi casualmente presso la Bronislava Nijiska scuola di danza. La sua Arte viene alla luce dando spazio alla sua purezza interiore, espressa nella fluidità del movimento. Nonostante che si sia avvicinato tardi all’armonizzazione dell’eleganza del corpo, è stato presto notato e si è subito inserire nell’elité del settore, portando nuove idee con uno stampo intransigente, eppure profondamente umano.

   Scelse Parigi per esprimere la sua Arte, perché riteneva che non c’era niente di più bello dell’Opéra de Paris. Le sue interpretazioni erano grandiose, ed inseriva nuove figure stilistiche eseguite con tale perfezione, da lasciare increduli i presenti. Quando nel 1939 scoppiò la Guerra, e la Francia subì una tremenda sanguinosa disfatta, fu esonerato dall’arruolamento nelle truppe militari, ove invece furono coinvolti tanti altri Artisti; infatti non era cittadino francese ma risultava “apolide”.

   Fu questa la fortuna dell’Opéra de Paris, perché i tedeschi, invasa la capitale, avrebbero reso il Teatro un’ufficio; ma Lifar, che era la guida coordinatrice de l’Opéra, riuscì a mettere in programma 12 rappresentazioni in 1 anno, e quindi il Teatro mantenne la sua funzione. Certo, l’atteggiamento doveva essere molto subalterno, quindi fu anche conveniente ingraziarsi il Comando degli invasori, che poté solo apprezzare la grandezza del Direttore Ballerino. Tanto che fu invitato a Berlino da Hitler, per discutere sul suo trasferimento in Deutschland, onde dar vita ad una nuova scuola di danza. Viene poco calcolato che Serge trovo il modo di dire No. Ma tornò lo stesso a Parigi, onde svolgere la carica che aveva lasciato. Molte altre le avventure, destreggiandosi anche tra critiche ed invidie, a cui controbatteva con un comportamento molto sprezzante. Alternanze d’indirizzi politici lo hanno voluto anche in Australia, ove volle andare in un momento difficile in Francia; ma la sua grandezza, mancando, metteva in luce la sua indispensabilità; allora tornò, sempre all’Opéra, che era la sua culla. La sua attività era soprattutto quella di direttore degli allievi, ai quali trasmetteva un’armonia unica. Svolse l’ultima rappresentazione a più di 40 anni, quindi ad età indubbiamente matura; ma fu di una perfezione ineguagliabile. Anche se i soliti invidiosi, non potendo fare critiche tecniche, dissero che ormai era troppo anziano per andare ancora in scena.

   Ma la sua direzione lasciò il segno nella Scuola, che elevò la sua classe come una Punta di Diamante.

   Eppure, dopo aver condotto per 30 anni, la stanchezza di dover minimizzare le continue irriverenze sconclusionate, lo deprimevano; e la sua fragilità ne risentì soprattutto quando dopo così tanto tempo, gli fu detto che l’Opéra esigeva di una spinta innovativa. Si allontanò molto amaramente e la depressione invase il suo animo. Fino a che, come capita nelle fiabe, non è arrivata la Fata Turchina dalla Svezia, che lo ha accolto tra le sue grazie; per l’Artista è stata una svolta essenziale, l’ancella assunse il ruolo di mamma, che per un anziano è importante. Lo portò fino a Losanna, curato ed osannato fino al 15 dicembre 1986.

   Avrei dovuto curare più a lungo la grandezza e la bravura di Serge Lifar, personaggio unico nella Danza come ballerino e maestro; che ha dato più volte esempio di sapersi sacrificare per un File Superiore.

   Ma è stata su Rai 5 solo la premessa di un’Opera che ha offerto molti spunti per un’osservazione attenta, il cui risultato desta ammirazione.  È andata in onda subito dopo un’Opera di un autore che aveva molto a che fare con la Danza, ed ha scritto l’Opera in cui ha trasmesso tutta la carica della sua interiore problematicità, che traversò nella sua vita che non durò più di 53 anni.

   Nato nel 1840, Petr Il’ic Ciajkovskij ha scritto il “Eugenij Onegin”, Opera che si svolge pochi anni prima della nascita dell’autore, ovvero nel 1920 a Pietroburgo. Il contenuto è pieno del romanticismo che Petr Il’ic postava in cuore, ricco di fonte realistico – romanzesca; ma la sensibilità apriva gli occhi verso una modernità in cui evidenziava uno sguardo lucido sulla coscienza ed il disincanto. Importante che, nella sua breve vita, l’Autore ebbe molti momenti difficili d’affrontare; traumi familiari, che sperò di superare con il matrimonio di una sua allieva di danza; che invece fu catastrofico. Ebbe difficoltà che lo condussero ad esaltare atteggiamenti e percezione. Quindi uno spirito sensibile come il suo è arrivato ad ampliarsi trovando sfogo nell’Arte e nell’espressione del corpo; oltre ad atteggiamenti omosessuali, anche con bellissime danze, di cui basti ricordare “Il Lago dei Cigni”, “La Bella Addormentata”, “Lo Schiaccianoci”.

   L’Opera che è stata rappresentata al Teatro dell’Opera di Roma: la direzione di James Conlon ha articolato un insieme organico con tutte le altre specialità, per attuare una scena emozionante: Roberto Gabbiani direttore del Coro, Robert Carsen per la regia teatrale, Barbara Napolitano quella televisiva, il baritono Markus Werba era Eugenij Onegin, Maria Bayankina il soprano che impersonava Tat’jana, la sorella Olga era il contralto Yulia Matochkina ed il tenore Samir Pirgu aveva la parte di Lenskij. Basta così, ma la troup era molto ampia, con tante altre parti più limitate ma determinanti.

   Importante sapere che il libretto è stato scritto da Kostantin Silovskij, che ha preso spunto dal romanzo omonimo di Aleksandr Puskin, in cui esprimeva parte del suo dramma.

   Tutta la troup ha sviluppato uno spettacolo molto riuscito con diverse soluzioni molto significative; come le voci dentro e fuori campo; oppure l’effetto delle luci che evidenziano il colore che assume aria blu intensa quando muore in duello in personaggio più onesto; in un ambiente di contrasti tra gesti ed immagini, svolti da ritratti canori in soluzione difforme.

   La costumistica è molto ricca e dettagliata, come le scene, per quanto riguarda la necessità d’azione dei personaggi; mentre invece l’ambiente era un’immagine riguardo lo svolgimento d’azione, ma senza alcun ornamento accessorio, perché era una rappresentazione su sfondo. Importante, quindi, il discorso già fatto per altri allestimenti, in cui dev’essere adeguata la costumistica  e la scena ricca solo dell’essenziale.

   La trama incide molto nella critica verso quella che era l’enfasi dei nobili russi all’inizio dello scorso secolo; ma si evidenzia rifinito il discorso sul carattere dei personaggi, perché vengono messi in luce atteggiamenti che avevano perso valore, e Ciajkovskij li mostra inattuali: il duello, il personaggio dandy, il proprietario terriero fiero ed altero, tante sottigliezze nei loro riguardi evidenziati nel canto. Come è molto evidente anche la differenza tra le due sorelle: la sposa del protagonista, il quale assume la parte del narciso di stampo byroniano, molto spigliata e leggera; la donna che s’innamora dell’uomo di mondo ormai disilluso, che non vuole rovinare un’anima ancora pura, ben più romantica. Finezze da non trascurare.

   A conclusione,  ci associamo anche noi alla dedica a cui è stata rivolta quest’opera. Dopo 19 anni che non veniva più rappresentata, ha trascinato l’interpretazione del ruolo di Tat’jana eseguito da Mirella Freni, che ho avuto modo di conoscere come Grande Artista poco prima che terminasse la carriera.

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