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IL MIRACOLO, LA PRIMA VOLTA DI AMMANITI SHOWRUNNER

di Sabrina Sciabica (ag. rf. 10.05.2018) 15252885354324-cs_il_miracoloSono otto, scioccanti e sorprendenti, le puntate della miniserie dello scrittore italiano più letto da un popolo che – ahi noi – legge pochissimo.

La penna di un autore di talento si nota in ogni scena, così come nelle inquadrature, nelle musiche e davvero in ogni dettaglio, dato che Niccolò Ammaniti ha voluto mettersi in gioco personalmente in questo nuovo compito. Ha scritto e soprattutto diretto, cimentandosi come showrunner, un ruolo più ampio di quello del regista cinematografico in quanto supervisiona e gestisce la produzione giorno per giorno. Al contrario di molti film tratti dai suoi romanzi, in questo caso ha inventato il plot del Miracolo immaginandolo proprio per la tv, perché soltanto lo schermo poteva dare forza a questa storia.

La serie, che andrà in onda su Sky Atlantic HD il martedì, racconta di una madonnina che sanguina e, sin dal principio, lo spettatore è informato sul fatto che non ci sono trucchi. Le analisi scientifiche avviate hanno appurato che questa statuetta di plastica non segue le regole della fisica e produce sangue umano. Il primo ministro italiano viene avvisato dell’accaduto prima di chiunque altro, anche perché il ritrovamento è avvenuto a casa di un boss appena arrestato; egli deve decidere se e come svelare quest’incredibile mistero.

Le peculiarità di Ammaniti scrittore si riconoscono tutte: a partire dai personaggi molto realistici (e ben definiti) che devono affrontare un dilemma, qualcosa che avviene in un momento in cui la loro esistenza era già in crisi e, di per sé, complicata. Essi sono descritti in tutta la loro umanità, anzi, soprattutto, nelle loro debolezze; è proprio il lato oscuro che emerge prima di ogni altra caratteristica.

Come nel suo stile, l’autore ama l’esagerazione. La madonnina non piange qualche lacrima, ma litri e litri di sangue al giorno. Il prete non è soltanto in crisi spirituale, ma anche sessodipendente e ludopatico. Ai confini con lo splatter, in questa serie, il sangue scorre e la violenza è ben ritratta; gli uomini vivono come animali in gabbia e gli italiani stanno per affrontare un referendum per decidere se restare o no nell’Unione Europea… insomma uno specchio veritiero della società in cui viviamo. Molto particolare è la musica, onnipresente e piacevole perché è di ogni genere. Si passa dalla classicità di Vivaldi e Tchaikovsky, al pop di Fontana, al jazz di Gregory Porter, al minimalismo di Murcof, compositore messicano.

Bisogna ammettere che alcune scene, soprattutto quelle iniziali, de Il miracolo sono inquietanti e disturbanti. Inoltre, rimandano allo spettatore echi di altre fiction (da quelle americane al sorrentiniano The Young Pope) e lo stesso Ammaniti conferma di essersi ispirato a numerose serie tv.

Eppure Il miracolo è diverso; è una serie originale in quanto non classificabile in un genere preciso, ma piuttosto – esattamente come tanti libri del genio della narrativa – un puzzle di stili, una miriade di velature, che vanno dal grottesco al realistico, dal mistico all’onirico al surreale, per ritornare alla quotidianità e alla nostra contemporaneità.

È una serie ben fatta per la bravura di ogni attore – ricordiamo Guido Caprino, Elena Lietti, Lorenza Indovina, Sergio Albelli, Alba Rochrwacher, Tommaso Ragno – e di ogni tecnico e sceneggiatore che la ha curata. È accattivante, avvincente, e certamente ci terrà con il fiato sospeso fino alla fine; è travolgente, perché cambia continuamente i punti di vista, mostrando una realtà pirandelliana in cui i ruoli possono rovesciarsi: oltre al prete dalla doppia vita, una donna di scienza, l’ematologa, crede al miracolo più di chiunque altro.

Risulta interessante perché affronta tematiche filosofiche e ancestrali, come quella delle fede. Forse a Gesù non piaceva fare i miracoli, li faceva perché era obbligato. Se ci riflettiamo, chi crede non ne ha bisogno, i miracoli servono per chi non ha fede o la sta perdendo, spiega padre Marcello al ministro. E noi? Come reagiremmo davanti ad una situazione limite?

Quanto ci inquieta il lato oscuro degli altri?

Abbiamo mai indagato profondamente sul nostro?

Ammaniti, già dalle prime due puntate presentate alla stampa, vince pienamente la sfida e conferma il suo eccezionale talento: la capacità di “prenderci e portarci via”, come fece nel romanzo che lo ha reso famoso.

Ci trascina fino all’estremo, ci sbatte in faccia la durezza dell’esistenza, ci impasta con quella violenza che solo apparentemente non ci appartiene e, alla fine del rocambolesco viaggio, ci lascia sempre qualcosa dentro.

 

 

 

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