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I Millennial riscoprono il valore del lavoro agricolo

In tempi di crisi occorre rimboccarsi le maniche, e sembra proprio che i giovani italiani abbiano deciso di cogliere questo suggerimento alla lettera: numerose ricerche segnalano infatti un grande ritorno per le attività lavorative nel mondo agricolo, ritenuto un ambito dove è ancora possibile impegnarsi e trovare la propria strada.

Un cambiamento epocale

“È in atto un cambiamento epocale che non accadeva dalla rivoluzione industriale”, ha dichiarato a questo proposito il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, sottolineando in modo particolare come “il mestiere della terra non è più considerato l’ultima spiaggia di chi non ha un’istruzione e ha paura di aprirsi al mondo, ma è la nuova strada del futuro per giovani generazioni istruite e con voglia di fare tanto”.

I giovani tornano alla terra

Altri dati sono stati diffusi da Vincenzo Gesmundo di Coldiretti, che ha reso noto i risultati di un’analisi eseguita proprio dall’associazione dei coltivatori, che evidenziano come quasi “30 mila giovani nel 2016/2017 hanno presentato in Italia domanda per l’insediamento in agricoltura dei Piani di sviluppo rurale (Psr) dell’Unione Europea, con ben il 61% concentrato al Sud e nelle Isole e il 19% al centro e il resto al Nord”, superando “di circa il 44% il totale degli insediamenti previsti per l’intera programmazione fino 2020”, come rivela appunto l’analisi della Coldiretti sui dati regionali.

Imprese agricole under 35 da record

L’agricoltura italiana del nuovo millennio ha trovato dunque nuova linfa grazie agli under 35: le imprese agricole guidate da giovani sono 55.121, dato più elevato in tutta Europa, e in media possiedono una superficie superiore di oltre il 54 per cento rispetto alle altre, ma anche un fatturato più elevato del 75 per cento e il 50 per cento di occupati per azienda in più.

Inversione di tendenza

Una inversione di tendenza tanto positiva quanto sorprendente rispetto alla progressiva fuga dalla terra che l’Italia ha vissuto sin dagli anni Cinquanta, quando il “miracolo economico” aveva avuto come conseguenza non secondaria lo svuotamento delle campagne, proseguito nei decenni successivi. Ad esempio, tra il 1960 e il 1970 le nuove aziende agricole sono calate del 2 per cento all’anno, e il declino è andato avanti fino a oggi, al punto che soltanto tra il 1982 al 1992 il nostro Paese ha perso 245.826 imprese nel settore, equivalenti a un totale di 929.140 ettari in meno adibiti a coltivazione.

Le ambizioni dei giovani

Ma non è solo nella dura vita da agricoltore che riservano speranze i giovani italiani: un altro sondaggio rivela infatti che oggi il 57 per cento dei giovani preferirebbe gestire un agriturismo piuttosto che lavorare in una multinazionale (18 per cento) o fare l’impiegato in banca (18 per cento), grazie anche al nuovo trend legato alla ristorazione, un’attività decisamente sulla cresta dell’onda.

Ancora tanti ostacoli

Ovviamente non mancano problemi e ostacoli sul cammino dei Millennial farmers made in Italy, a cominciare da un fattore tutt’altro che trascurabile: l’Italia vanta un mesto record europeo sui costi di terra arabile. Per la precisione, un ettaro di terreno coltivabile arriva a costare in media 40.153 euro (le differenze territoriali vanno ai 17.571 euro della Sardegna ai 68.369 del Veneto, fino al record della Liguria che, con 108 mila euro all’ettaro, è la regione più cara d’Europa in assoluto), e inoltre gran parte dei terreni agricoli sono in mano alle amministrazioni pubbliche. Secondo la Coldiretti, nello specifico gli enti pubblici possiedono nelle proprie “casse” un patrimonio di 9,9 miliardi, che però spesso è sottoutilizzato.

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