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CURARSI SI PUO’…. SOLO SE SI PAGA PRIVATAMENTE

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AG.RF.(MP).09.06.2016

“riverflash” – La sanità è al collasso e questa non è certo una novità: ma il dato più sconcertante è che oggi, se non hai i soldi, non ti puoi curare. A evidenziarlo è una ricerca del Censis-Rbm Assicurazione Salute presentata nei giorni scorsi a Roma, in occasione del VI «Welfare Day». Dall’indagine, emerge infatti, un forte aumento della spesa sanitaria privata, arrivata a 34,5 miliardi di euro, con un incremento in termini reali del 3,2% negli ultimi due anni (2013-2015): il doppio dell’aumento della spesa complessiva per i consumi delle famiglie nello stesso periodo (pari a +1,7%). La causa di tutto ciò è l’aumento della spesa relativa ai ticket sanitari, visto che il 45,4% (cioè 5,6 punti percentuali in più rispetto al 2013) ha pagato tariffe nel privato uguali o di poco superiori al ticket che avrebbe pagato nel pubblico. E così, sono circa 10,2 milioni gli italiani che fanno un maggiore ricorso alla sanità privata rispetto al passato, e di questi il 72,6% a causa delle liste d’attesa che nel servizio sanitario pubblico si allungano. Come far fronte allora a questa situazione? “, “Bisognerebbe ripensare le agevolazioni fiscali per le forme sanitarie integrative – ha spiegato Marco Vecchietti, amministratore delegato di Rbm Assicurazione Salute – per assicurare tutte le prestazioni che oggi sono pagate di tasca propria dagli italiani e per rimuovere le penalizzazioni di natura fiscale per i cittadini che decidono su base volontaria di assicurare la propria famiglia. La sanità integrativa è oramai un’esigenza per tutti gli italiani e non può più essere considerata un benefit per i lavoratori dipendenti o un lusso per i più abbienti”.  Sono 7,1 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno fatto ricorso all’intramoenia (il 66,4% di loro proprio per evitare le lunghe liste d’attesa). Il 30,2% si è rivolto alla sanità a pagamento anche perché i laboratori, gli ambulatori e gli studi medici sono aperti nel pomeriggio, la sera e nei weekend. Pagare per acquistare prestazioni sanitarie è per gli italiani ormai un gesto quotidiano: più sanità per chi può pagarsela. La causa di tutto ciò è dunque il peggioramento della qualità del servizio sanitario nazionale: per il 45,1% degli italiani tele qualità nella propria regione, regione è peggiorata negli ultimi due anni (lo pensa il 39,4% dei residenti nel Nord-Ovest, il 35,4% nel Nord-Est, il 49% al Centro, il 52,8% al Sud), per il 41,4% è rimasta inalterata e solo per il 13,5% è migliorata. Il 52% degli italiani considera inadeguato il servizio sanitario della propria regione (la percentuale sale al 68,9% nel Mezzogiorno e al 56,1% al Centro, mentre scende al 41,3% al Nord-Ovest e al 32,8% al Nord-Est). La lunghezza delle liste d’attesa è il paradigma delle difficoltà del servizio pubblico e il moltiplicatore della forza d’attrazione della sanità a pagamento. E così, oltre la metà degli italiani pensa che, chi può permettersela, dovrebbe ricorrere alla sanità integrativa e in questo modo, potrebbe anche ottenere benefici pubblici, molte persone utilizzerebbero le strutture private, liberando spazio nel pubblico, e ci sarebbero così maggiori risorse nel sistema sanitario. Sono ormai più di 26 milioni gli italiani che si dicono propensi a sottoscrivere una polizza sanitaria o ad aderire a un Fondo sanitario integrativo. Se la sanità integrativa attraesse effettivamente tutte queste persone, considerando una spesa pro-capite pari all’attuale spesa privata media nel complesso, si avrebbero 15 miliardi di euro annui per la salute. Tramite la sanità integrativa si potrebbero acquistare molte più prestazioni per i cittadini di quanto riescano a fare oggi singolarmente sui mercati privati. Tra gli aderenti alla sanità integrativa, il 30,7% ha aderito perché spendeva troppo di tasca propria e ora risparmia, e il 25% perché la copertura è estendibile a tutta la famiglia. Infine, c’è il problema degli esami e visite inutili: sono 5,4 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno ricevuto prescrizioni di farmaci, visite o accertamenti diagnostici che si sono rivelati superflui, anche se il 51,3% degli italiani si dichiara contrario a sanzionare i medici che fanno prescrizioni che non servono.

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