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CROCEFISSIONE DI LUCE, DAL 6 MAGGIO NELLA CHIESA MADRE DI GIBELLINA

(BR)Croce-Fissione di luce, olio su tavola,trittico cm 200x460, 2010copy copiadi Sabrina Sciabica (AG. RF. 05.05.2016)

(riverflash) –  Crocefissione di luce è un trittico del pittore Giuseppe Modica, ideato per la Chiesa Madre di Gibellina, in provincia di Trapani.

Il piccolo comune nell’entroterra balzò agli onori della cronaca negli anni 70 quando grazie alla figura del sindaco Corrao, diventò luogo di rinascita artistica e culturale. L’avvocato Ludovico Corrao fu un professionista leale e combattivo che difese con successo la giovane Franca Viola, simbolo di emancipazione femminile in quanto ebbe il coraggio di rifiutare il matrimonio riparatore con un mafioso locale che l’aveva segregata e abusata. Corrao decise, successivamente, di entrare in politica e venne eletto deputato all’Assemblea Regionale Siciliana e, nel  1985, sindaco di Gibellina (per due interi mandati).

In quel periodo, a seguito dei gravi danni del terremoto che rase al suolo la valle del Belice nel 1968, Corrao si concentrò sulla ricostruzione del suo paese auspicando un analogo sviluppo sociale. Creò le Orestiadi di Gibellina, un festival internazionale che continua ancora oggi, dedicato alla cultura e al teatro ed arricchì il territorio con il contributo di urbanisti, architetti e artisti.

Poiché la zona denominata Gibellina vecchia era stata totalmente distrutta e nessuno voleva più abitarvi, Alberto Burri ideò il suo Grande Cretto. Per riempire quel vuoto, per ricordare le macerie, l’artista ha realizzato enormi blocchi di cemento (che hanno coperto quel poco che restava del paese) alti un metro e sessanta. Tra le fratture di cemento è possibile camminare e meditare, anche  sulla nullità e sull’apocalisse che tutto distrugge. L’opera si sviluppa per 8000 metri quadrati, tanto che si tratta di una delle opere d’arte contemporanea più grandi del mondo.

La Valle del Belice è stata definita una “utopica officina delle arti” ed è rimasta al centro del panorama artistico internazionale per tanti anni grazie agli artisti che risposero all’appello del sindaco, come la pittrice Carla Accardi, lo scultore-sperimentatore Pietro Consagra. Il celebre architetto Ludovico Quaroni costruì la Chiesa Madre nel punto più alto del paesino in collina che oggi viene chiamato Gibellina nuova.

Il 6 maggio la chiesa si arricchirà della Crocefissione di luce, che verrà collocata nella parete destra. Si tratta di tre tavole ad olio di grandi dimensioni: 2 metri per 4,60. L’opera site-specific si integra perfettamente con la struttura pulita e geometrica dell’edificio religioso.

Fu lo stesso Ludovico Corrao che la commissionò al pittore definendolo “Artista di essenzialità e silenzi metafisici”. Per anni Modica pensò, da laico, a come declinare il tema religioso e, al tempo stesso, legarlo ad un luogo come la cittadina sicula che stava rinascendo. Per diversi mesi lavorò alla realizzazione e, dopo varie vicissitudini, l’opera trova adesso una sua collocazione definitiva.

Giuseppe Modica è siciliano di nascita; comincia a produrre giovanissimo esponendo tra Mazara, Palermo e Firenze, dove ha completato gli studi. Oggi vive e insegna nella capitale. Ha ricevuto riconoscimenti internazionali come l’acquisizione di tre opere nella prestigiosa Collezione Farnesina, la personale alla Galerie Sifrein di Parigi, il primo premio (medaglia d’oro) al Festival Internazionale d’Arte di Nanchino e, in preparazione, una mostra al Prince Kung’s Palace Museum di Pechino.

Nella Crocefissione ritroviamo i colori mediterranei e le forme care al pittore, i suoi paesaggi mistici in cui oggetti concreti assumono una dimensione trascendente. Gli opposti sono una costante: la chiusura di un muro e l’apertura all’esterno attraverso le finestre, il pieno e il vuoto, la luce e l’ombra. Proprio le ombre delle croci, ognuna diversa dall’altra, aggravano l’atmosfera di malinconia, di solitudine e di dolore, caricando l’opera di una profonda spiritualità.

Scale abbandonate suggeriscono un’attività operaia, una ri-costruzione. Sono, forse, metafora di elevazione, o volontà di sporgersi per andare o guardare oltre.

Nel pannello di sinistra c’è un oggetto misterioso per la sua forma irregolare, un elemento riproposto in diversi quadri dell’autore: un enigmatico poliedro appoggiato al davanzale, un po’ omaggio a Dürer, un po’ simile ad un frammento dechirichiano.

Non c’è nessuna presenza viva in questi geometrici silenzi e l’unica sagoma umana è un’ombra, drammaticamente appesa alla croce. Eppure c’è tanta luce.

E c’è, al di là dei mattoni e oltre lo steccato, un orizzonte di mare che si trasforma in un limpido cielo di speranza e resurrezione.

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