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“BONNY AND CLYDE” (“GANGSTER STORY”) USA 1967 DI ARTHUR PENN

di Marino Demata (RiveGauche)

(AG.RF 17.02.2020) – Bonny & Clyde (in italiano Gangster story) rappresenta, senza alcun dubbio, un film assolutamente innovativo nella storia del cinema. Arthur Penn spazza via tutti gli stereotipi del vecchio “Gangster movie” americano. Il gangster, secondo le regole del cinema di Hollywood, non può apparire altro che un pericolo pubblico da catturare e da abbattere; è un elemento di disturbo e di eversione rispetto all’ordine costituito. E lo schema narrativo dei gangster movies, dagli anni ’30 fino agli inizi degli anni ’60, mostra da un lato, nel gangster, l’evoluzione della malvagità in ferocia, e dall’altro, nelle forze dell’ordine o nell’eroe occasionale che surroga magari la debolezza della polizia, l’abnegazione e il sacrificio di chi ha scelto di lottare per ripristinare quei valori calpestati su cui si fonda la società. In quel periodo della storia del cinema, il vero protagonista è quest’ultimo e il film è in genere la storia dei sacrifici e delle capacità di lotta contro chi ha violato le leggi. Lo stesso modo di girare il film, la distribuzione delle luci e delle ombre, il tipo di inquadrature riservate al gangster e all’eroe, i primi piani, sono tutti elementi funzionali a creare, nei confronti del pubblico, un’atmosfera negativa nei confronti del malvivente e di solidarietà nei confronti di chi lo combatte. C’è la possibilità di una evidente lettura politica di tale procedimento, che ci porta a concludere che la costante accettazione di tali procedure narrative è funzionale alla accettazione di un ordine sociale che va assolutamente salvaguardato.
Bonny Clyde1Di fronte a tali regole, Arthur Penn si sente in grado, forte della coraggiosa sceneggiatura di Robert Benton e David Newman, di girare un film innovativo in tutti i sensi. A partire dal titolo, che fa risaltare i nomi dei due gangster. Non è stato frequente in passato che film avessero per titolo nomi di gangster. Ricordo Scarface e pochi altri. Nel caso di Scarface, interpretato dal Paul Muni, il titolo serviva ad incutere timore e curiosità nel pubblico, perché tutti avrebbero voluto vedere le efferatezze di un malvivente tra i più sanguinari della storia. Per il film di Penn il caso è diverso. Lo spettatore, al termine del film, guarda i due nomi stampati suo cartellone e consente implicitamente con la scelta del titolo. Penn ha realizzato un meraviglioso affresco che è innanzitutto una tenera storia d’amore tra un uomo e una donna che non possono fisicamente amarsi per l’impotenza di Clyde. Come afferma Tullio Kezich, nella sua ispirata e, come al solito, eccellente recensione, Il film ha creato fra i due “un rapporto schietto e profondo: tanto che, sotto un certo profilo, Gangster story è la più gentile storia d’amore comparsa da anni sugli schermi” .
È un amore che si nutre di una profonda complicità e che nasce dalla prima sequenza del film. Lo spettatore, dopo aver visto scorrere i titoli di apertura su un primissimo piano della labbra sensuali di Bonnie/Faye Dunaway, assiste al primo incontro tra i due futuri gangster. Bonnie, uscita da un negozio, vede da uno specchietto un uomo vicino alla propria auto e gli dice “Ehi, giovane, cosa stai facendo con l’auto di mia mamma?”. In quel momento gli sguardi si incrociano e si collegano per non scollegarsi mai più, fino alla fine del film e della storia. E in quel momento avviane anche l’immediato collegamento empatetico con lo spettatore, che sarà anch’esso costante (o meglio in costante crescita) fino alla fine del film. Questo significa che fin dalle prime battute il regista ha voluto creare una corrente di simpatia e di affetto triangolare, tra Bonny, Clyde e il pubblico. Eppure, si tratta di due persone che, poche sequenze dopo, inizieranno una lunga serie di azioni contro la legge. Per dirla in breve, Penn è stato dunque in grado di costruire una storia, fedelissima ai fatti realmente accaduti, nella quale due gangster, per la prima volta nella storia del cinema, ricevono l’incondizionata simpatia del pubblico.
Sono presenti – tra l’altro – anche aspetti di divismo negli atteggiamenti dei due protagonisti, con Bonny Clyde3quali il pubblico consente pienamente: ci riferiamo alla soddisfazione di Bonny e Clayde quando vedono le loro foto sui giornali, o quando notano che la stampa li segue con morbosa attenzione. Fino al punto che i due protagonisti finiscono per inviare direttamente foto e altro materiale alla stampa.
Ad un certo punto dello svolgimento del film appare chiaro che il pubblico è stato completamente affascinato e rapito dalla storia e dalle gesta dei due gangster. Perché quest’amore a prima vista, e poi sempre crescente da parte del pubblico?
Non basta la bravura registica di Arthur Penn a spiegare tutto: non bastano gli studiati movimenti della macchina da presa, gli efficaci shot-reverse, i primi piani, sguardo nello sguardo, e il mantenere un punto di vista della narrazione sempre dalla parte dei due protagonisti. Certo c’è anche tutto questo. Ma non si può prescindere da due ordini di considerazioni di carattere socio-politico, per così dire:
1- La storia di Bonnie e Clyde (e quindi il film) si svolge in un lasso di tempo di due anni, dal 1932 al 1934, un periodo buio della storia americana, da un punto di vista sociale. È il periodo della grande depressione, che nel cinema era stato fatto rivivere in Furore di John Ford, tratto dal grande romanzo di John Steinbeck. E l’America descritta da Penn è simile a quella di Ford: un’America poverissima e sottoproletaria, dove la diffusa miseria stride con la ricchezza delle classi al potere. In questo contesto, i crimini di Bonnie e Clyde, che prevalentemente sono rapine in banche sparse nei vari Stati degli Usa, vengono visti dalla popolazione poverissima dell’epoca come una giusta punizione verso i ricchi. Le banche in particolare sono molto odiate, perché non concedono prestiti a Bonny Clyde4chi non offre sufficienti garanzie e tolgono la casa a chi non paga una sola rata di mutuo: nell’immaginario collettivo della povera gente sono il vero nemico. In una delle prime sequenze Bonny e Clyde si riposano in una casa appartenente abbandonata, do ve si imbattono in un uomo anziano. Poco distate c’è una vecchia auto con una donna e due bambini. L’auto è piena di vecchie masserizie, qualche materasso, altri oggetti ammassati che testimoniamo l’estrema povertà di quelle persone. L’uomo spiega: “una volta questa era la mia proprietà. Adesso non più. Se l’è presa la banca. Ci hanno sfrattati. Ora appartiene a loro” E indica un cartello proprio davanti all’edificio: “Property of Midlothian Citizens Bank”. La macchina da presa passa dal primo piano del cartello all’espressione un po’ sbigottita di Clyde e poi a Bonny che, con aria di sincera indignazione afferma: “Che vergogna!” Aggiungiamo che nel corso delle loro frequenti ruberie, i due gangster molto raramente colpiscono persone indigenti. Insomma, nel film non si scorge nessuna esplicita riprovazione per i crimini dei due gangster da parte delle popolazioni povere. E nessuno pare abbia mai smentito questa versione di Penn e nessuno l’ha mai accusata di essere immaginaria. I due gangster venivano visti, in quell’epoca buia di miseria e di sopraffazione, come due eroi, impegnati essenzialmente contro le sopraffazioni delle banche.
2 – Penn narra la sua storia in un momento particolare della storia americana. Il 1967, quando esce il film, è l’anno delle grandi manifestazioni contro la guerra e contro la politica Usa. A marzo ha luogo un oceanico raduno delle forze della “contro-cultura”.   Il 21 ottobre, cioè poche settimane dopo l’uscita del film nelle sale, mentre i veterani della guerra marciano verso la Casa Bianca, 50.000 giovani si ammassano al Lincoln Memorial, fino ad arrivare a circondare il Pentagono. Facile e logico il collegamento con i due gangster visti nel film, che vogliono guadagnarsi la loro libertà attaccando il cuore del potere: le banche.
Penn stesso è ben lungi dal prendere le distanze da questa interpretazione del film e dal messaggio di cui era portatore e sostiene invece esplicitamente l’attualità del film per il momento storico nel quale esso è stato girato ed è uscito nelle sale. Lo stesso regista racconta orgogliosamente alla più importante rivista francese di cinema, “Les cahiers du Cinema”, che cinque uomini di colore, durante la proiezione del trailer di Bonnie and Clyde, si identificarono a tal punto con i due personaggi, che affermarono: “ecco, così bisogna fare…In questo modo”. Tra l’altro, lo stesso Penn era certo che si fosse alla vigilia di una rivoluzione che forse sarebbe partita dall’America di colore. E uno dei più grandi critici cinematografici americani, Roger Ebert, nella sua consueta recensione sul “Chicago Sun-Times”, solo poche ore dopo l’uscita del film nelle sale, lo definì “una pietra miliare nella storia del cinema americano, un’opera intensa e brillante”. E aggiunse, sull’attualità del film, “il fatto che la storia si svolga 35 anni fa non significa niente. Doveva pur avere una collocazione temporale. Ma è stata girata ora e parla di noi.”
Infatti, lungo tutto l’arco del film, la storia dei due gangster appare come la storia di due persone alla ricerca della propria libertà e felicità, contro un ordine sociale che tendenzialmente nega, a gran parte della popolazione, entrambi gli obiettivi. Noi comprendiamo bene allora che, nelle intenzioni del regista, la corrente di simpatia che si crea fin dall’inizio del film, tra lo spettatore e i due protagonisti, è finalizzata non tanto a creare direttamente una incondizionata ammirazione verso chi delinque, ma a rendere sempre più intollerante proprio quell’ordine sociale contro il quale tanta parte della società scende in piazza o comunque protesta o almeno dissente.
E la morte violentemente tragica di Bonnie e Clyde, alla quale, nella sceneggiatura di Robert Benton e David Newman si allude soltanto, viene mostrata da Penn in tutta la sua spietata crudeltà. Robert Kolker, nel suo bellissimo saggio “A cinema of loneliness”, rassegna di autori innovativi negli anni ’60 e ’70, nel capitolo dedicato a Arthur Penn, si sofferma proprio sulla scena dell’uccisione dei due gangster e sugli effetti che essa determina nel pubblico. La simpatia e l’affetto che, lungo tutto l’arco del film, è cresciuta verso i due protagonisti da parte dello spettatore, spinge quest’ultimo a desiderare la loro sopravvivenza. Quando invece Penn, modificando la sceneggiatura, offre al pubblico, attraverso la sequenza dell’imboscata e dell’uccisione dei due gangster in slow-motion, una immagine di grande sofferenza, lo spettatore si sente lasciato solo. Quei due personaggi che ha amato fin dalla prima sequenza sono stati annientati. Il sogno di libertà e felicità – perché tale appariva allo spettatore – si è infranto. L’operazione filmica messa in essere da Penn, con la violenta sequenza finale, in contrasto con l’originaria sceneggiatura, non rappresenta, secondo Robert Kolker una sorta di nemesi alla quale lo spettatore sarebbe sottoposto nel finale a dispetto della forte simpatia verso i due protagonisti. Al contrario le atrocità dell’agguato e della morte hanno la funzione di “rafforzare la mitica dimensione dei due personaggi”, e, rafforzandone la dimensione, ne confermano la simpatia, a cu si aggiunge il rimpianto per la loro fine.
D’altra parte, non c’è alcun dubbio che mettere lo spettatore di fronte ai particolari di una fine violenta e tragica è un ulteriore elemento innovativo nella storia del cinema, ed è il risultato di alcune svolte “reali” nella storia americana di quegli anni. Ci riferiamo naturalmente all’assassinio di Kennedy (a cui Penn continuamente allude in questo e in altri suoi film) e alla guerra del Vietnam. Cioè i due traumi degli anni ’60, che hanno reso “la cultura particolarmente attenta ai dettagli della sofferenza fisica, e hanno inserito tali dettagli in un contesto profondamente emozionale, per non dire politico.” (R. Kolker: “A cinema of loneliness” – pagg 45-46.)

 

Fonte: https://rivegauche-filmecritica.com/

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