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Ascesa e declino di Borsalino

borsalino-casablanca-02 di Valentina Riso  (AG.RF  29.12.2017)   ore 00: 20 (riverflash)

Tutto ha inizio nel 1857, ad Alessandria. E, sempre nella città piemontese, nel  dicembre 2017 tutto ha una fine. La Borsalino ha accompagnato oltre un secolo di storia dello stile italiano nel vestire, creando mode che ancora oggi sono riconosciute dal mercato.

Tuttavia, vi è un paradosso la Borsalino fallisce non perché i suoi prodotti non vengono più richiesti, ma solamente per questioni finanziarie. L’azienda infatti è stata coinvolta nei guai finanziari dell’imprenditore astigiano Marco Marenco.

Percorrendo un viaggio a ritroso, centosessant’anni fa la Borsalino era rappresentata da due fratelli, Giuseppe e Lazzaro, che crearono un laboratorio di cappelli. Poi si trasformò in mito, soprattutto quando Humphrey Bogart ne indossò uno per la scena finale di Casablanca. Tempi ormai lontani, perché oggi, dopo travagliate vicende, per la prima volta nella storia dell’azienda è stata scritta una nuova parola: fallimento.

E’ l’ultima tappa di un lungo percorso, che tra l’inizio e la fine del ‘900 ha visto una piccola bottega di Alessandria trasformarsi nella più grande fabbrica della città e in uno dei primi veri campioni dell’export italiano. Il Borsalino divenne un “must” soprattutto per attori, politici e pure gangster. Era il cappello preferito di Al Capone, ma diventò un successo planetario soprattutto quando lo indossò Humphrey Bogart in Casablanca.

Dopo arrivarono altri testimonial come Alain Delon e Jean-Paul Belmondo, o come Federico Fellini, che si faceva fare un modello tutto suo, il “Fedora”, poi fortemente cercato pure da Robert Redford. Robert De Niro ne indossa uno in “Gli Intoccabili”, il presidente francese François Mitterand lo portava spesso, come pure, prima di lui, Winston Churchill, Pancho Villa, Gabriele D’Annunzio, Ernest Hemingway. E anche Silvio Berlusconi è tra i patiti di Borsalino.

Nel corso dei decenni la produzione alessandrina si è via via ridotta, anche perché a metà ‘900 il Borsalino si è trasformato da prodotto di massa a oggetto di culto. A inizio anni 90 l’azienda finì nel vortice di Tangentopoli.

Poi la Borsalino passò di mano più e più volte, fino al mega crac da 3,5 miliardi dell’imprenditore astigiano Marco Marenco. Il buco è quasi tutto legato a un’ottantina di società che producono e commercializzano energia, ma tra le sue partecipazioni c’è pure l’azienda dei cappelli, rilevata a inizio anni 2000. Il buco di Marenco viene fuori due anni fa. L’impresa alessandrina ottiene un concordato preventivo dal tribunale.

A quel punto i commissari straordinari Stefano Ambrosini e Paola Barisone affittano il ramo d’azienda all’imprenditore svizzero Philippe Camperio, che prende in mano un’impresa tornata a concentrarsi esclusivamente sui cappelli. La Borsalino tira avanti, fino al 18 dicembre 2017, giorno in cui la nuova richiesta di concordato avanzata dalla Haeres Equita di Camperio viene respinta del tribunale e per l’impresa viene decretato il fallimento.

Nessuno vuole credere davvero che la storia di Borsalino sia finita. «Preserveremo un patrimonio d’eccellenza del sistema manifatturiero italiano» ha assicurato Camperio. «Speriamo che da quel marchio di proprietà dell’imprenditore svizzero si possa ripartire per conservare occupazione e produzione in Alessandria», ha affermato Riccardo Molinari, assessore alle Politiche del lavoro e allo sviluppo economico del Comune di Alessandria.

Intanto, la città di Alessandria si è mobilitata per salvare Borsalino. Sui social network è nata la pagina “Gli alessandrini per Borsalino” da cui è partito il tam-tam a sostegno dei lavoratori con l’hashtag #saveborsalino. E sabato scorso in molti tra gli alessandrini sono scesi in piazza indossando cappelli della rinomata maison per manifestare il loro sostegno ai 130 dipendenti della società.

“Marchio, azienda e fabbrica sono qui da 160 anni e devono rimanerci”, è la convinzione espressa dal sindaco Gianfranco Cuttica di Revigliasco, in prima fila.  “Realizziamo cappelli che vengono esportati in tutto il mondo”, ha detto con orgoglio Francesco Spera, da vent’anni alla Borsalino.

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