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«AFTER LIFE» (1998) DI HIROKAZU KORE-EDA: NEL CINEMA C’È L’IMMORTALITÀ!

di Marino Demata (RiveGauche)

(23.07.2019) – After life (1998) è stato il secondo film di Hirokazu Kore-eda, che, assieme al suo film precedente, Maborosi, fece conoscere e apprezzare il regista in tutto il mondo, a tal punto che ben presto cominciarono a sprecarsi i paragoni con grandi registi del passato . E, a proposito di questo, un grande critico americano, scomparso una decina di anni fa, Roger Ebert, non ebbe alcuna esitazione a paragonare Hirokazu Kore-eda di After life a Ingmar Bergman di Sussurri e grida, e a considerarlo uno dei capolavori del cinema giapponese contemporaneo.
La trama di questo film è apparentemente molto semplice: un gruppo di una ventina di persone tra uomini e donne di varie età, si ritrovano un mattino in una casa piuttosto malandata, circondata da un giardino malinconico, in un’atmosfera dai colori soffusi e grigi. Ad accogliere questa composita comitiva ci sono uomini, donne, ragazzi, il cui primo incarico è quello di comunicare con grande discrezione ai nuovi arrivati che essi sono morti da poche ore. In questo questa sorta di limbo, in questa strana casa,  resteranno per una settimana. L’incarico che viene assegnato loro è quello di scavare nei loro ricordi e trovare il momento più bello e più felice della loro vita. Avranno 3 o 4 giorni di tempo per fare questa ricerca all’interno del percorso la loro vita. Una volta trovato il momento più lieto e felice, questo sarà immortalato attraverso una ripresa cinematografica che cercherà di ricostruire nel miglior modo possibile tale momento. Una volta scelto il momento più felice della propria vita, resterà l’unico ricordo di cui ciascuno godrà per l’eternità.

Inizialmente sembra tutto abbastanza semplice; in realtà però il film ci presenta una grande varietà di situazioni. A chi si dimostra sicuro di sé nella scelta del ricordo più bello, fanno da contrappunto altri che incontrano molte difficoltà. A tal punto che qualcuno rifiuta di portare avanti questa ricerca motivando tale diniego col fatto che la propria vita (in qualche caso molto breve) non avrebbe avuto in definiva momenti felici. C’è perfino una persona di una settantina danni che fa il medesimo ragionamento: “la mia vita è stata grigia e anonima e non riesco a trovare un ricordo che valga la pena di sottolineare”. A questo punto gli impiegati di questa sorta di limbo gli consegnano una scatola pieno di VHS. In ciascuna cassetta è stato registrato un anno della sua vita: si tratterà dunque di vedere queste cassette registrate per verificare se si riesca a trovare qualcosa che valga la pena di ricordare come momento felice della propria esistenza.
In questo quadro si presentano dei momenti inaspettati e toccanti, uno dei quali si verifica quando un membro dello staff riconosce in una delle persone arrivate un suo passato amore.
E, a proposito dello staff, Kore-Eda non ci dice esplicitamente come vengono scelti iAfter life3membri incaricati di un così delicato compito. Ma dallo svolgimento del film scopriamo che a tale incarico vengono destinate proprio quelle persone morte che non riescono a ricordare nulla di piacevole nella propria vita o  rifiutano di farlo.
Da tutto quanto abbiamo detto, crediamo che emerga chiaramente che After lifenon è un film sulla morte, ovvero su quello che accade dopo la vita, ma sui ricordi: un film che ci insegna e ci spinge a valorizzare i ricordi positivi della nostra vita. Il che veramente è tanta roba, come si dice. Spesso infatti noi siamo portati a ricordare le cose negative con grande facilità mentre abbiamo delle difficoltà magari a riconoscere i momenti felici della nostra esistenza. Questo film ci insegna in certo senso a valorizzare i nostri ricordi positivi.
Hirokazu Kore-eda ci ha rivelato che, prima di partire con la macchina da presa a girare questo film, aveva fatto centinaia di interviste a passanti, a persone comuni, invitando gli intervistati a parlare dei ricordi più belli della propria vita. In questo modo ha raccolto un materiale che gli sarà stato di grande utilità nella stesura della sceneggiatura e nella stessa costruzione del film.
La cosa che ci ha lasciato stupefatti è che, al termine del percorso fino al ritrovamento del ricordo più felice, una rudimentale troupe cinematografica si incarica di immortalarlo. Insomma, alla fine dei sette giorni nella struttura di accoglienza, tutti quanti avranno un film che descrive il ricordo più bello di ciascuno e questo veramente è singolare. Per qualcuno il miglior ricordo è una passeggiata o lo stare in autobus spensierato in un certo momento della propria esistenza o il ricordo di un amore felice. Insomma per ognuno di queste persone viene costruito un film, E la cosa più singolare è che ciascun film è girato con i mezzi più rudimentali possibili, a tal punto che sembra che in questa struttura la modernità e l’innovazione e le nuove tecniche cinematografiche non siano mai arrivate. Gli stessi rumori vengono creati artificialmente e gli stessi dialoghi sono scarnificati e semplificati.
In tutto questo va sottolineata in realtà la volontà del regista di assegnare proprio al cinema questa funzione di eternizzare i ricordi. Si tratta in verità di un grande omaggio che il regista rivolge al cinema e alla sua funzione di raccontare ciò che è bello e/o importante in una vita e di renderlo eterno.
Un ulteriore elemento che val la pena di sottolineare, e che ha suscitato in me qualche perplessità, è costituito dalla concezione filosofica che sta sullo sfondo della narrazione, che sembrerebbe più occidentale che orientale. Infatti quello che emerge è una concezione lineare, dove la vita di ognuno è come una linea, ovvero un segmento, che si interrompe con la morte e poi con una eternità perenne e uniforme. La concezione orientale invece è circolare. Cioè non c’è nulla che finisca con la morte, che in realtà non esiste, essendo solo un passaggio tra la vita è un’altra vita, le cui caratteristiche, tra l’altro, saranno scelte dall’interessato sulla base del karma che si sarà formato o modificato nella precedente vita. In questa continua circolarità la morte è solo un episodio tra una vita e l’altra, in una perenne circolarità. Detto questo aggiungiamo che uno dei meriti del film è comunque quello di non soffermarsi su nessuna religione concreta e storica.
Dopo i primi due film, la carriera di Kore-eda si è snodata attraverso numerosissime altre opere, alcune quali sono rimaste nel solco del grande cinema messo in mostra nei primi due film.
Ci siamo soffermati su alcune di queste opere. Ricordiamo innanzitutto Nobody knows, definito dalla rivista Concrétisation un film che Bazin avrebbe amato molto, per il carattere assolutamente realistico del sui impianto, per arrivare a Still walking e a I wish, storia di due bambini uniti da un treno, e in generale film sui rapporti famigliari, sulla loro solidità ed anche sulla loro estrema fragilità che li rende tra cose più precarie dell’esistenza.

 

Fonte: rivegauche-filmecritica.com

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