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POPULISTI E BENPENSANTI

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AG.RF.(di Claudio Peretti).13.03.2018

“riverflash” – Durante la campagna elettorale che ha portato alle ultime elezioni si è fatto un gran uso del termine “populisti”. Il significato dato a questo termine era più che altro dispregiativo e negativo, la parola è diventata di uso comune per definire i partiti dell’opposizione che, rivolgendosi al popolo, ossia agli elettori, facevano promesse impossibili da mantenere (a parte il fatto che gli stessi partiti così detti “benpensanti”, facevano a loro volta promesse molto accattivanti per l’elettore comune, per prendere voti). Quindi la lotta, alla fine, si è svolta fra i due schieramenti, quella dei benpensanti e quella dei populisti. Poi è venuto fuori, casualmente, che siamo in democrazia e il voto del professore universitario e quello del professionista laureato vale come quello dell’operaio, del proletario e dell’analfabeta, per cui, con le regole in vigore, è ovvio che chi promette di più ottiene più voti. Ma cosa è in fondo la democrazia, se non populismo? A cosa servono i comizi ed i dibattiti elettorali se non a cercare di ottenere voti? E allora, perché i così detti benpensanti se la prendono coi populisti, usando questo termine per dileggiarli? Un po’ come dire: il partito populista fa promesse irrealizzabili, la gente ci crede e lo vota. Ma questa presa di posizione, questa idea di un popolo stupido e credulone, che vota i partiti populisti, non è una specie di presunzione, di un ritenersi superiori perché “noi si che siamo intelligenti e non ci lasciamo infinocchiare…”? O meglio, noi abbiamo la verità in tasca e gli altri sbagliano. Insomma, questo dare dei populisti agli altri non è altro che una posizione “radical chic” dei salotti buoni, di coloro che vedono il popolo credulone come una razza inferiore da tenere sotto lo schiaffo, di cui non ci si deve occupare.

Questa cosa è buffa e, in fondo, si collega al passato. Una volta era il partito comunista che recitava la parte di populista, con i dirigenti di partito che promettevano che le ricchezze sarebbero state condivise fra tutti dopo averle espropriate ai ricchi. Oggi il PD, erede del partito comunista, è diventato un partito elitario, che discute le proprie idee in un circolo elitario di intellettuali, alla Leopolda, votato soprattutto al centro di Roma ed al centro di Milano, che ha perso il contatto con il popolo vero, quello che stenta ad arrivare alla fine del mese, il partito che, per accogliere i migranti spende oltre 5 miliardi di Euro l’anno e che non si cura di chi perde il lavoro e dei pensionati che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese.

Cos’è, poi, un partito, se non l’unione di una parte di cittadini che hanno gli stessi interessi e le stesse idee? Forse che le idee che escono dalla Leopolda sono quelle della maggioranza dei cittadini? Se così fosse stato, il PD avrebbe vinto queste elezioni: le ha perse perché le idee che rappresenta sono di una piccola parte di cittadini, e non quelle della maggioranza.

E, infine, un partito è fatto da uomini, è un’organizzazione che nasce, si sviluppa, raggiunge una maturità, deperisce e poi muore, come ogni cosa di questa terra. Gli si può cambiare nome quanto si vuole, ma se gli uomini che lo compongono rimangono gli stessi o quasi, il partito, come qualsiasi altra organizzazione, prima o poi finisce. Ora ci sono partiti nuovi, partiti nati da quella parte di cittadini che condividono altre idee, non più di destra contrapposta alla sinistra, ma di efficientamento della cosa pubblica, di sicurezza, di un’economia più semplice e più certa.

Forse che sono sopravvissuti i Guelfi ed i Ghibellini? La DC,il partito Liberale, il partito Repubblicano ecc.. ecc ? Non ci sono più,  il  prossimo a chiudere i battenti sarà il PD.

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