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OSCAR 2018: PRONOSTICI E SPERANZE

oscars2018

di Valter Chiappa
(AG.R.F. 03/03/2018)

(riverflash) Fiato sospeso al Dolby Theatre di Los Angeles. La formula magica, “and the Oscar goes to…”, sta per essere pronunciata, sollevando il nome di un’eletta schiera di professionisti verso l’empireo della storia del cinema.

La 90a edizione degli Oscar si presenta quanto mai combattuta. Anche quest’anno c’è un potenziale asso pigliatutto: è “La forma dell’acqua – The Shape of Water”, forte di 13 nomination. Ma la sua corsa verso l’en plein appare tutt’altro che semplice.

A cominciare dal premio più ambito, quello per il Miglior film. La favola perfetta di Guillermo Del Toro, pur fregiatasi della vittoria a Venezia, deve temere innanzitutto lo scontro con il lucido e impietoso spaccato della Deep America di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Se i giurati dell’Academy vorranno, come spesso è accaduto nelle ultime edizioni, lanciare un forte messaggio politico, premieranno (ed è questo il nostro pronostico) l’opera di Martin McDonagh. Minori, ma non trascurabili chances, per l’originale racconto bellico di “Dunkirk” e il racconto di formazione di “Lady Bird”, nonostante il clamoroso successo negli USA e la vittoria ai Golden Globe.

Guillermo Del Toro potrebbe (si fa per dire) accontentarsi del premio per la Migliore regia. Ma noi riteniamo preferibile il visionario lavoro di Christopher Nolan, sia come giusto riconoscimento alla sua carriera di innovatore, che per i fantastici voli della sua macchina da presa, capaci di dipingere la guerra come mai si era fatto, un dramma collettivo in cui ogni possibile individualità è persa. Coloro che ben pensano vorrebbero invece che a salire sul palcoscenico fosse Greta Gerwig, quinta donna nella storia del premio ad essere nominata (la prima fu la nostra Lina Wertmuller, l’unica vincitrice Kathryn Bigelow); ma “Lady Bird” ci sembra pellicola troppo debole per meritare tanto onore.

È però sul premio al Miglior film straniero che si sofferma la nostra attenzione di cinefili. Cinque opere splendide, tutte degne di menzione: l’ungherese “Corpo e anima”, il cileno “Una donna fantastica”, il libanese “L’insulto”, il russo “Loveless”, lo svedese “The Square”. Prevarrà l’interesse per le tematiche geopolitiche su cui si incentra il racconto di Ziad Doueiri o per la scottante problematica dei diritti civili dei transgender, oggetto dell’opera di Sebastian Lelio? Difficile dirlo. Noi, controcorrente, tiferemo sfegatatamente per la poetica e romanticissima pellicola di Ildikó Enyedi.

Meno incerto lo scenario che riguarda i premi agli interpreti. Per il Migliore attore protagonista è strafavorito Gary Oldman, grazie alla sua camaleontica interpretazione di Churchill in “L’ora più buia”. Ma come trascurare la concorrenza di un mito come Daniel Day Lewis (“Il filo nascosto”), che peraltro ha annunciato un prematuro ritiro dalle scene? Nessun dubbio invece sembra esserci sulla statuetta alla Migliore attrice protagonista: vincerà, a meno di cataclismi, Frances McDormand, potente e strabordante in “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Eppure noi gioiremo per una affermazione di Sally Hawkins, la romantica eroina attorno a cui si impernia la delicatissima poeticità di The Shape of Water”. Si conferma il talento di Saoirse Ronan (“Lady Bird”) in attesa del ruolo che la consacri. Da rilevare infine la 21a candidatura per l’eterna Meryl Streep (“The post”). Come Migliore attore non protagonista, la vittoria sembra annunciata per Sam Rockwell, il poliziotto capace di redenzione di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Riteniamo però altrettanto meritevole il compagno di scena Woody Harrelson, pur se uscirà sconfitto nel derby interno. La Migliore attrice non protagonista è per noi Laurie Metcalf, capace di donare all’autoritaria madre della giovane Lady Bird una profondissima umanità.

Secco il nostro pronostico per la “Migliore sceneggiatura originale”: la violenza dell’impatto, la potenza delle metafore, l’ampio respiro della storia, che si eleva ben oltre gli angusti confini di Ebbing, Missouri fanno strameritare il premio a Martin McDonagh. Per la “Migliore sceneggiatura non originale” il tifo si accende di amore patriottico, per la candidatura della nobile penna di James Ivory. È questa la statuetta più verosimilmente raggiungibile dal nostro Luca Guadagnino e dal suo “Chiamami col tuo nome”.

Facile invece la previsione per il Miglior film d’animazione: vincerà “Coco”, l’ennesimo capolavoro della Pixar.

Nelle categorie tecniche, “Dunkirk” potrebbe mietere allori. Quanto meno per la splendida fotografia di Hoyte Van Hoytema, il montaggio di Lee Smith e il montaggio sonoro di Alex Gibson. Per quanto riguarda la colonna sonora però, a quella martellante ed ossessiva di Hans Zimmer, preferiamo quella melodica ed avvolgente di “The Shape of Water”, composta dall’onnipresente Alexandre Desplat. I costumi non possono essere altro che quelli meravigliosi, che Mark Bridges fa cucire al protagonista di “Il filo nascosto”. Il trucco senz’altro quello con cui Kazuhiro Tsuji ha riprodotto un credibilissimo Churchill in “L’ora più buia”. Fra i candidati per la Migliore scenografia c’è una speranza italiana, la triestina Alessandra Querzola, la quale ha peraltro concrete speranze di vittoria grazie agli onirici mondi creati per “Blade Runner 2049”.

E, a proposito di Italia, è doveroso concludere dando rilievo alla presenza a Los Angeles di Luca Guadagnino. Un regista italiano, con un film ambientato in Italia, ambisce a ben 4 statuette, fra cui quella più importante: una circostanza epocale. Eppure il regista siciliano, acclamato negli States, dove “Chiamami col tuo nome” ha avuto un successo trionfale, è misconosciuto in patria, dove in passato è stato anche ampiamente criticato. Una qualche sua vittoria, che fortemente auspichiamo, avrebbe stavolta un retrogusto amaro e imporrebbe severe riflessioni a chiunque in Italia si occupa di cinema.

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