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ARTEMISIA GENTILESCHI A PALAZZO BRASCHI

unspecifieddi Sabrina Sciabica (AG. RF. 02.12.2016)

(riverflash) – Celebrare il carattere di una donna intelligente e coraggiosa, ma soprattutto dotata di un eccezionale talento artistico, è l’intento della mostra Artemisia Gentileschi e il suo tempo, a Palazzo Braschi, a Roma, fino al 7 maggio 2017.

I tre curatori, Nicola Spinosa per la sezione napoletana, Francesca Baldassari per la sezione fiorentina, e Judith Mann per la sezione romana, sottolineano, al di là delle vicende personali che hanno fatto di lei il personaggio femminile più chiacchierato del Seicento romano, la straordinaria bravura della pittrice di scuola caravaggesca.

Si tratta, inoltre, di un evento raro poiché le opere esposte – un centinaio – sono frutto di una ricerca di tre anni, incentrata su prestiti provenienti da ben 80 musei di tutto il mondo.

Ci accoglie, in questa suggestiva location, la stessa pittrice, nei suoi autoritratti in cui, in particolar modo nella tela Autoritratto come suonatrice di liuto (1617-18) si rappresenta con sguardo impavido e atteggiamento fiero.

Si prosegue con il capolavoro Susanna e i vecchioni (1610) in cui, all’età di 17 anni, e da autodidatta, l’artista rappresentava la storia biblica della giovane Susanna importunata da due anziani lascivi e malvagi. Artemisia Lomi Gentileschi (Roma 1593 – Napoli 1653) mostrava già da allora la sua qualità di pittrice drammatica e narrativa, con una pittura potente e dall’approccio naturalistico: il nudo integrale, oltre che scelta ardita, è profondamente realistico nelle forme generose e nel colorito candido.

Chissà se ad influenzare questa sua attenta visione contribuì il fatto che qualche anno prima, all’età di sei anni, Artemisia aveva assistito, insieme al padre alla “decapitazione di spada” di Beatrice Cenci, una ragazza romana che stanca degli abusi subiti dal padre aveva cercato di ucciderlo, insieme ad altri familiari. Di quest’episodio sono arrivate a noi testimonianze storiche secondo le quali lo stesso Caravaggio era in piazza Castel Sant’Angelo per questo evento così cruento che ebbe luogo nel 1599.

Per una triste analogia – testimonianza del fatto che le donne non fossero minimamente tutelate o difese – la stessa Artemisia intorno ai 18 anni subì una violenza sessuale da parte del pittore Agostino Tassi, amico del padre e frequentatore della sua casa. Proprio per questo motivo è impossibile prescindere dalle vicende personali della pittrice quando si parla di lei o delle sue opere.

Tutta la violenza esposta a Palazzo Braschi –  da Medea, a Giaele e Sisara, alle innumerevoli versioni di Giuditta e Oloferne (tema ispirato alla Giuditta di Caravaggio, oggi conservata a Palazzo Barberini) – altro non è che la voglia di tirare fuori la sua rabbia. Il topos della donna che si ribella all’oppressore crudele è frequente ed è reso con scene feroci, con il terrore negli occhi dei personaggi, con coltelli affilati e notevoli schizzi di sangue.

Dopo un lungo processo, nel quale dovette persino subire la tortura della sibilla (le strinsero i pollici per farle confessare “la verità”) prima di poter vincere contro il suo aggressore, la donna non poté riprendere la sua normale esistenza, a causa delle continue calunnie. Fu costretta, dunque, a un matrimonio riparatore e a trasferirsi più volte, da Firenze, a Londra, a Napoli.

Nonostante ciò, l’artista da una tempra fuori dal comune, riuscì ad affinare la tecnica pittorica, già di ottimo livello, e a vivere della sua pittura, diventando imprenditrice di se stessa e intrattenendo relazioni intellettuali con personaggi illustri. Aveva appreso le lezioni dei maestri antichi e a lei contemporanei, aggiungendo il suo tocco personale, caratterizzato dalla morbida pennellata, da chiaroscuri ben riusciti, dall’abilità di creare scene comunicative grazie a personaggi profondamente espressivi.

L’esposizione a Palazzo Braschi vuole testimoniare il dialogo, lo scambio culturale e l’influenza reciproca di Artemisia Gentileschi con gli altri intellettuali del suo tempo. L’allegoria dell’Aurora (1625) ad esempio, è un omaggio agli studi di Galileo Galilei dei quali la pittrice venne a conoscenza a Firenze. Qui l’artista lavorò alla corte di Cosimo II e fu ammessa – prima donna ad accedervi – alla prestigiosa Accademia di Disegno fondata dal Vasari.

In mostra ci sono diverse tele di Orazio Gentileschi, dal quale la giovane Artemisia aveva imparato le basi della pittura e ci sono, ancora, opere di protagonisti del ‘600 come Cristofano Allori, Simon Vouet, Giovanni Baglione, Antiveduto Grammatica e Giuseppe Ribera.

Da questo interessante percorso espositivo emerge il ritratto di una donna appassionata e determinata, che osava sfidare le convenzioni di un’epoca in cui il maschilismo dilagava e imperava in ogni campo.

Tutto ciò ha fatto di lei un simbolo dell’emancipazione femminile ma anche un genio indiscusso dell’arte, un talento precoce, un’artista libera e indipendente, nella vita come nelle opere.

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