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Un Leone per pochi

di Valter Chiappa

AG. RF 07.09.2014 (riverflash)

Alfine, in una sobria e paludata cerimonia iniziata alle 19,00 di ieri in Sala Grande, presieduta impeccabilmente da Luisa Ranieri, sono arrivati i verdetti della giuria della Mostra del Cinema di Venezia.

I film

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Il Leone d’Oro della 71a edizione è andato a “A pigeon sat on a branch reflecting on existence” di Roy Andersson.

Leone d’Argento a “The postman’s white nights” di Andrey Konchalovskiy.

Il Gran Premio della Giuria è stato assegnato a “The look of silence”, il documentario di Joshua Oppenheimer dato tra i favoriti della vigilia. Apprezzato il cinema mediorientale, che riscuote il Premio speciale della Giuria, conferito al turco “Sivas” di Kaan Müjdeci e il Premio per la migliore sceneggiatura, andato a “Tales” della regista iraniana Rakhshan Bani-Etemad.

Ha colpito positivamente il Premio Marcello Mastroianni a un giovane attore emergente, conferito al 15enne Romain Paul, penetrante protagonista del francese “Le dernier coup de marteau” di Alix Delaporte.

Tornano a casa a mani vuote i due film di cui probabilmente si è più parlato: “Birdman” di Alejandro González Iñárritu e “Il giovane favoloso” di Mario Martone, così come l’acclamato “Anime nere” di Francesco Munzi, su cui si appuntavano le speranze di tanti cinefili italiani.

Ma la sorpresa è solo parziale. Chi ci legge potrà riscontrare come la Giuria abbia distribuito i premi a disposizione fra i film che, nei rumori della vigilia, si erano segnalati per un possibile alloro. Varie ragioni, non necessariamente tecniche, possono aver orientato le scelte; era ad esempio improbabile che un documentario ed un film italiano vincessero per il secondo anno consecutivo.

Ma il riconoscimento a  film come il “Piccione” di Andersson o il “Postino” di Konchalovskiy da però adito a delle riflessioni.

Il regista svedese, giunto al quinto lungometraggio in 71 anni di vita, ha citato, nel suo discorso di ringraziamento, De Sica e “Ladri di biciclette”, come sua fonte d’ispirazione. Ma, rispetto all’opera del grande neorealista, il suo cinema sembra esser privo di quella leggibilità popolare che riteniamo essere requisito fondamentale della “settima arte”. Esiste cinema perché esistono delle sale e queste esistono per essere riempite. Il pubblico è elemento essenziale di qualsiasi arte, in quanto destinatario finale di un processo creativo che altrimenti resterebbe masturbatorio; ma del cinema lo è forse di più, non da ultimo in quanto pagante, perché far cinema, ricordiamolo, costa.

I film premiati con le più alte onorificenze della rassegna sembrano invece destinati a pochi giorni di permanenza in cartellone; è difatti difficile presumere che Anderrson ottenga il grande impegno richiesto allo spettatore dal suo film, composto da una serie di quadri surreali e di difficile interpretazione; o che le vicende del “Postino” nelle terre di frontiera della Russia più remota tocchino le corde del sentimento, più del raffinato gusto estetico di qualche esigente addetto ai lavori.

Così il cinema si avvita su sé stesso in un dibattito fra iniziati, rinunciando così all’enorme potere di cui è dotato: la capacità di far giungere la sua voce e il suo messaggio ovunque, rompendo divisioni culturali, sociali, economiche.

Gli attori

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I verdetti per Ie Coppe Volpi, i premi tributati alle migliori interpretazioni, a nostro vedere sorprendono ancor più. Sono difatti saliti sul podio entrambi i protagonisti di “Hungry hearts”, Adam Driver e Alba Rohrwacher, spiazzando i favoriti Elio Germano e Zhong

Se è vero che la pellicola del figlio di Maurizio, Saverio Co stanzo, aveva positivamente impressionato, toccando gli spettatori con una vicenda emotivamente coinvolgente e se indiscutibile è la performance dei protagonisti, senz’altro ispirati, appare poco felice l’idea di concentrare tanto plauso su di un unico film, che non è sembrato ergersi significativamente non solo sopra le media dei partecipanti, ma anche rispetto agli altri due italiani in gara.

Accantonate però le polemiche, vogliamo concludere dando voce non solo all’orgoglio patriottico, ma anche alla passione di cinefilo per la vittoria della Rohrwacher, attrice che senz’altro meritava un alto riconoscimento per una carriera ancor breve, ma già brillantissima. Giunta al primo ruolo importante nel 2007, con “Mio fratello è figlio unico” di Luchetti, ha collezionato partecipazioni nei migliori film italiani degli ultimi anni (“Piano solo”, “Il papà di Giovanna”, “Cosa voglio di più”, “Bella addormentata”) e collaborazioni con registi quali Silvio Soldini, Pupi Avati e Marco Bellocchio. Nella sua ultima fatica, “Le meraviglie”, ha trovato dietro la macchina da presa la sorella Alice, costituendo un binomio vincente che ha portato al Gran premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes.

Che sia lei quindi a trainare il nostro cinema oltre i confini nazionali, la barriera dietro cui troppo spesso si ferma. Auguri, Alba.

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